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L’Italia ha bisogno di governo, non di campagna elettorale permanente

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Editoriale di Bruno Morgante

L’Italia ha bisogno di governo, non di campagna elettorale permanente

Editoriale di Bruno Morgante 

 

 

Al congresso della Confcommercio il ministro Saccomanno viene contestato perché non annuncia e non prende chiaro impegno che non vi sarà l’aumento dell’IVA previsto per i primi di Luglio, in quanto ancora non si è conclusa positivamente la fase di ricerca delle risorse per compensare le minori entrate.
Il tutto segue un intervento pesante di Brunetta, capogruppo alla camera del PDL, il quale,avendo il ministro precisato che non era stato deciso niente nella riunione di maggioranza sull’IVA, perché ancora non c’è la copertura finanziaria, gli ha intimato di non parlare perché ministro tecnico e che l’IVA e l’IMU saranno cancellate e che, ha ripetuto la frase per tre volte, i soldi si troveranno.
L’Italia è stremata, sia economicamente che psicologicamente e può essere facile preda della demagogia se, in assenza di proposte concrete, anche se difficili, qualcuno illude il popolo e fa balenare un minimo di ripresa senza bisogno di affrontare i problemi, anche illudendo che il diavolo non è brutto quanto sembra.
Berlusconi sicuramente ha la maggiore responsabilità per la situazione, non solo perché ha governato per otto degli ultimi tredici anni, ma perché non ha affrontato per tempo nel duemila, all’epoca dell’entrata in vigore dell’euro, le riforme necessarie per rendere competitivo il nostro paese nei confronti degli altri paesi dell’euro, come ha fatto la Germania, con cui allora competevamo.
La sinistra riformista, prigioniera del bipolarismo muscolare, non ha proposto dall’opposizione idee e valori riguardanti il futuro del paese, ma ha esaurito la propria opposizione in una dura contrapposizione morale a Berlusconi.
Era quello il momento di riforme strutturali profonde per rendere competitivo il sistema Italia, dalla riforma della Pubblica Amministrazione e del taglio pesante della spesa pubblica, alla riforma delle istituzioni, alla riforma della giustizia, alla informatizzazione di tutta la macchina pubblica, all’abbattimento del costo della politica, alla riforma degli appalti e degli acquisti da parte di tutti gli enti pubblici, alle privatizzazioni, alle liberalizzazioni di molte attività oggi protette, alla premiazione del merito.
Niente di tutto questo è stato fatto ed è stata sprecata la più larga maggioranza parlamentare dal dopoguerra, né si è tentato di dare vita a grandi alleanze, come ha fatto la Germania, per essere più forti nel portare avanti riforme di grande impatto sulla vita della gente.
Si è preferito continuare il bipolarismo muscoloso e la guerra civile strisciante, aumentando la spesa pubblica corrente per garantirsi consenso.
Oggi la necessità ha imposto un “governo di servizio al paese”, come lo chiama il presidente del consiglio Letta, appoggiato dai due grandi partiti, PD e PDL, oltre al centro di Monti e Casini, al PSI e ai democratici di Tabacci.
Oggi la situazione non è quella del duemila.
L’Italia ha perso terreno in Europa ed è in atto un processo di deindustrializzazione preoccupante.
Le aziende falliscono al ritmo di migliaia al mese, la disoccupazione, specialmente giovanile e degli over quaranta, cresce continuamente e non si intravede il momento dell’inversione di tendenza.
C’è una recessione terribile e sempre meno liquidità per i consumi.
Si allarga la forbice tra megaricchi e poveri e si è bloccato l’ascensore sociale, per cui i ricchi sono sempre più ricchi, i figli dei poveri restano poveri, mentre tende a scomparire il ceto medio, che scivola verso la povertà.
Siamo arrivati ad essere tra i primi in Europa per livello di imposizione fiscale complessiva e i primi per tassazione degli utili di impresa, mentre i servizi in molte aree del paese sono al collasso.
Siamo tra i primi paesi in Europa per livello di evasione fiscale e per peso complessivo dell’economia mafiosa, entrambi fenomeni degenerativi, che impediscono la crescita dell’economia sana e della sana concorrenza.
Eppure siamo un grande paese, siamo ancora la seconda economia manifatturiera d’Europa, anche se in crisi preoccupante.
Non sembra esserci consapevolezza tra i partiti della grave situazione del paese, partiti che hanno dato vita a questo governo non per convinzione e per convergenza programmatica sulle riforme da apportare, ma per lo stato di necessità dovuto all’impasse in cui si erano trovati dopo l’esito elettorale, che non aveva determinato una maggioranza in entrambi i rami del parlamento, ma che aveva determinato solo la maggioranza alla camera del centrosinistra.
Non si potevano sciogliere le camere perché si era nel semestre bianco, periodo di fine mandato in cui il Presidente della repubblica in carica non può sciogliere le camere.
Non si nota un grande fervore di idee e proposte per uscire dalla crisi, ma sembra che si voglia galleggiare in attesa di nuove elezioni, dando la colpa all’euro e alla Germania di Angela Merkel, giocando a chi resterà con il cerino acceso in mano e scambiandosi assicurazioni di reciproca responsabilità insieme a colpi di fioretto e a veri e propri fendenti per mettere in cattiva luce l’avversario e per ricordare al proprio elettorato che questa è una maggioranza obbligata, ma che al momento opportuno ci sarà la resa dei conti.
Sicuramente la politica di austerità per contenere il deficit di bilancio imposta dall’Europa presenta aspetti insensati e sta portando alla più grande recessione dal dopoguerra, per cui è legittima la pretesa di un cambiamento a favore delle politiche attive del lavoro e a favore degli investimenti produttivi, politiche da scorporare dai vincoli di bilancio, ma ciò non toglie che noi italiani dobbiamo affrontare i nostri problemi, che sono la causa vera e profonda della nostra crisi.
A volte si ha l’impressione di essere in una campagna elettorale permanente.