Editoriale di Bartolo Ciccardini
Sabato, domenica e lunedì…
Editoriale di Bartolo Ciccardini
Sabato: Dove era in quei giorni Pietro Scoppola?
Sabato 18 gennaio Pierluigi Castagnetti ci ha invitato a ricordare la data
del 18 gennaio, che fu, sì, il giorno in cui 94 anni fa Don Luigi Sturzo
fondò il Partito Popolare Italiano, ma fu anche, e non a caso, il giorno in
cui Mino Martinazzoli rifondò un nuovo Partito Popolare, esattamente venti
anni fa, nel 1994, l’anno della grande crisi della Democrazia Cristiana.
Quel giorno doveva essere drammatico perché Oscar Luigi Scalfaro, Presidente
della Repubblica, aveva appena sciolto le Camere. E (come dice Gerardo
Bianco) sorprese la DC in mezzo ad un drammatico guado.
In quei due terribili anni era scoppiata “tangentopoli”; la DC era sotto
accusa; la gerarchia aveva deciso di disconoscerla; e con essa, i potentati
economici speranzosi di saccheggiare il grande tesoro delle partecipazioni
statali. Segni con il suo movimento referendario aveva scosso alle radici il
sistema dei partiti ed imposto un cambiamento del sistema elettorale;
Scalfaro aveva negato la Presidenza del Consiglio a Craxi e scelto Amato, e
poi aveva scelto, per sciogliere le camere un Presidente del Consiglio che
non era democratico cristiano, Carlo Azeglio Ciampi, ex direttore della
Banca d’Italia.
In questa tempesta furiosa un Mino Martinazzoli disperato (così dice Franco
Marini nel suo intervento) accetta la Segreteria del Partito buttandosi con
coraggio a fare quei cambiamenti che la Democrazia Cristiana aveva
lungamente studiato e mai realizzato. Il cambio del nome del Partito non è
solo l’ostensione di una reliquia sacra in una stagione di peste, ma è la
volontà precisa di ritornare all’onestà severa ed alla laicità sofferta di
Luigi Sturzo del 1919.
Una pagina di storia drammatica avvincente ed, appunto, disperata.
All’ingresso dell’Istituto Sturzo mi sorprende un grande manifesto in cui è
riprodotto il “Gonfalone”, la nuova bandiera “popolare” adottata da Mino
Martinazzoli. Entro nell’aula dell’Istituto Sturzo e nell’angolo della sala
dove c’è il bellissimo busto dedicato al primo fondatore del Partito
Popolare, ci sono tre bandiere: quella europea, quella italiana ed il
gonfalone. Per tutti sarà occasione di commozione.
Dopo la lezione del professor, Malgeri, Rosetta, che fu Presidente del
Partito, rivendica con orgoglio la grande impresa. Le nuove regole austere e
severe, la grande intuizione di un nuovo programma ispirato all’antico, ma
prevedente il futuro, la serie lunga e dimenticata dei provvedimenti messi
in cantiere, la risposta orgogliosa e generosa della base del partito a
quello che si stava preparando contro la DC. È questo il suo punto di
memoria e d’onore: il popolarismo del 1994 fu un movimento di base.
Parla Gerardo Bianco, che raccolse l’eredità della breve segreteria di
Martinazzoli. Ha da poco scritto un libro su questa vicenda intitolato “La
parabola dell’Ulivo 1994-2000″ che è la continuazione di un altro libro
intitolato “La Balena bianca. L’ultima battaglia 1990-1994”. Gerardo dice di
non poter nascondere la furia e l’indignazione contro il giudizio
storiografico corrente nei confronti di tutta l’opera storica della DC,
compreso anche questo periodo, in cui i popolari condussero la loro ultima
battaglia. Esprime rifiuto del giudizio storiografico malmostoso e impudente
che offende il grande servizio che la DC ha reso al Paese.
Ma anche furioso nei confronti dell’oblio gettato come un sudario sulla
memoria di quegli anni. E rivendica la capacità di grande inteligenza del
momento storico, di grande coraggio e fedeltà che riuscì a portare forze
ancora fedeli sul fronte della battaglia. Quell’11% non era certo una
vittoria, ma poteva rappresentare un risultato significativo e determinante
per il futuro, se non ci fossero stati il tradimento, la scissione e l’opera
corruttiva di Berlusconi. Gerardo non si dà pace e non si arrende, convinto
come è che quel risultato non doveva andare disperso nella diaspora.
Parla Marini,: ricorda l’alta figura di Mino, ma ricorda anche di non averlo
perdonato. Parla con attenzione e rispetto di quell’orgoglio per cui
Martinazzoli si dimise ed abbandonò la battaglia. E ne trova una spiegazione
onorevole: in realtà era finita la DC. Dice Marini che la DC non era più
nell’anima popolare, era già stata condannata dalla gerarchia cattolica, che
aveva già fatto un’altra scelta, non era in grado di schierare in campo la
sua grande opera passata oscurata dagli ultimi anni del cedimento a Craxi.
La DC era finita e Mino Martinazzoli non lo ammetteva.
Infine parla l’ultimo segretario del Partito Popolare, Castagnetti, che
portò i superstiti di quella battaglia, lui dossettiano, nella nuova
compagine del dossettiano Prodi, l’Ulivo, che nel ’96 sconfiggerà
Berlusconi.
Castagnetti ricorda tutto il positivo da rivendicare, ricorda l’attualità
del proposito di Mino: “Rinnovamento senza rinnegamento”. E cerca di dare
una spiegazione pacata di quell’11%: il Concilio, la società liquida, i
cattolici diventati minoranza sociologica. Non ci sarebbe stato mai più in
Italia quella soglia del 30% per i cattolici, né per nessun altro. Ma
quell’11% non era da buttare.
Dice Castagnetti: “Berlusconi fece a Mino Martinazzoli un’offerta
disdicevole: offrì a Martinazzoli in cambio dal ritiro della lista del
Partito Popolare dalle elezioni un seggio sicuro per lui. Niente di più di
quello che avrebbe offerto ad una escort di seconda classe.
Ma Martinazzoli con il suo orgoglio non rispose neppure. (Benedetto
orgoglio, caro Franco Marini!). Castagnetti accenna anche ad un programma
per il futuro: non un partito, non una formazione politica, ma un focolare
dove resti accesa la fiamma del popolarismo. Forse è troppo poco e per ora
basta così. ma non temere, dossettiano Pierluigi, i ragazzi che verranno ad
accendere le loro torce a questo focolare sono già nati.
Bartolo Ciccardini
P.S.: Una meditazione personale. Signori del Partito Popolare di Mino
Martinazzoli, dove era Pietro Scoppola? Sappiamo tutti dove eravate voi, nel
posto giusto, al momento giusto e con voi c’era Gabriele De Rosa e Leopoldo
Elia. Fra le cause che hanno meritevolmente o improvvidamente scosso la DC
ci sono stati anche i referendum popolari di Mario Segni a cui capitò di
scuotere tutta l’opinione popolare, attorno ai destini dell’Italia. Voi
foste colpiti, forse ingiustamente, da quel ciclone. Ma quel ciclone ci fu.
In quei mesi Oscar Luigi Scalfaro studiò attentamente come neutralizzare i
danni del ciclone. E soprattutto ad impedire la vittoria di Segni che non
stimava e di cui non condivideva né il pensiero né le azioni. Fu Mino
Martinazzoli a studiare l’operazione con Scalfaro. Dopo il no a Craxi e la
grande crisi della Presidenza Amato, Scalfaro propose un Governo Prodi, con
lo scopo di indebolire Segni. Prodi non accettò l’operazione (e sbagliammo
tutti, perché avrebbe dovuto accettare per risolvere la crisi economica e
portare con sé un Segni Ministro plenipotenziario per le riforme
istituzionali, la cui battaglia aveva condiviso con Segni). Scalfaro promise
Leopoldo Elia, presidente ad Occhetto perchè abbandonasse Segni ed Occhetto,
che di Segni era geloso e che prevedeva una pericolosa emorragia dei
comunisti verso Segni, accettò. Ma Scalfaro non gli fece trovare alle
Consultazioni Elia, ma Ciampi. E la battaglia del 1994 si fece con i
democratici cristiani, i popolari, i dossettiani, i segnani, fuori del
governo.
Operazione brillante che distrusse Segni, ma molti altri con lui.
Come se questo non bastasse Segni entrò in un periodo poco felice.
Circondato da una serie infinita di personaggi, come accade in Italia ai
trionfatori, fu sottoposto a pressioni contrastanti in cui perse la bussola.
Si ammalò di nuovismo e si dedicò con puntigliosa ed inutile cura a mettere
veti, quasi fosse il direttore spirituale di un convento giovanile
(incominciò quel lavoro, che poi sarà chiamato “rottamazione” e lo
incominciò proprio con me, che ho imparato nella mia esperienza che è meglio
essere rottamato dagli amici che dai nemici). Aveva fondato un Movimento dei
Popolari della Riforma che poteva essere benissimo una rifondazione del
Partito Popolare, ma poi preferì mettere l’accento su una sorta di pensiero
liberaldemocratico che non ci appartiene.
Rifiutò onorevolmente una proposta non ancora oscena di Berlusconi e cercò
improvvidamente un accordo con Bossi, trattando con Maroni e prendendosi in
faccia la porta sbattuta da quel brigante senza patria che avrebbe poi
accettato la proposta sventurata di Berlusconi.
In quel momento in cui i suoi conquistavano Roma con Rutelli, sorprese
Pietro Scoppola con l’annuncio che si ritirava dalla grande alleanza di
centro-sinistra e sciolse Alleanza Democratica. Ricordo ancora la sorpresa e
la disperazione di Pietro Scoppola. Scelse infine di fare l’accordo, “il
Patto”, con Mino Martinazzoli. Non fu un errore: fu qualcosa paragonabile
soltanto alla tempesta che distrusse l’Invincibile Armada nel Golfo di
Biscaglia.
Il Patto fra il Partito Popolare ed il Movimento dei Popolari della Riforma
non prese l’11%, ma il 14%. E nella proporzionale il Partito Popolare che si
era accodato a Segni prese più di lui, l’11% e Segni solo il 4%.
Quindi è vero ciò che alcuni hanno detto, in primis Gerardo Bianco, che non
fu una sconfitta. Quell’11% era non insignificante e poteva rappresentare la
base di una importante azione politica. Il vero sconfitto fu Mario Segni,
con il suo 4%. Ed, in definitiva, il disegno di Scalfaro, di Ciampi e di
Martinazzoli registrò una vittoria completa. Il “pericoloso” Mario Segni fu
eliminato dalla scena politica. E sostituito con Berlusconi.
Esco dalla riunione commosso, coinvolto in una passione che è stata anche
mia, ma nello stesso tempo colto da uno strano pensiero. Ma cos’è stato
questa mattina? Un dramma psicologico? Una rimozione freudiana? Una damnatio
memoriae? Una cancellazione delle persone dalle fotografie, di stile
stalinista? Dove era Pietro Scoppola? Perché nessuno ha nominato Mario
Segni? Forse Martinazzoli scrisse un telegramma improvvido, ma lo sconfitto
non era lui, era Segni. A suo modo, poteva trattarsi di una grande vittoria.
Per favore, parliamone!
Domenica: Come cambiare la situazione italiana in un batter d’occhio
Una modesta utopia di Bartolo Ciccardini all’Assemblea dei democratici
cristiani
Domenica 19 gennaio 2014, Gianni Fontana, gentilissimo, ha deciso di fare
l’assemblea federativa dei democratici cristiani, vicino casa mia. Lo
ringrazio vivamente ed ho sentito il dovere di parteciparvi con attenzione e
simpatia. Il tentativo di Gianni Fontana di federare tutte le sigle che si
rifanno all’impegno politico dei cattolici merita di essere appoggiato ed
aiutato, anche per lo stile, la moralità e la pazienza che Gianni vi dedica.
Certo il compito non è facile e non solo a causa dei nostri inveterati
difetti.
Su ogni forma di aggregazione pesa una sorta di pregiudizio o di scelta
finale: quanti dei presenti si schiereranno comunque con una formazione di
destra in funzione “anticomunista” o per contrastare le unioni civili? E
quanti si schiereranno comunque per un programma di sinistra, con alcuni
punti indisponenti, ma tuttavia dalla parte dei più poveri e dei più colpiti
dalla crisi? O in maniera più volgare, quanti sceglieranno ancora Berlusconi
e quanti non ne possono più di Berlusconi?
Comunque l’atmosfera è piena di memorie, di ricordi, di orgogliose
rivendicazioni e di buoni sentimenti. Quindi avanti così, Gianni!
La conseguenza pratica è che si sente una forte opposizione ai sistemi
maggioritari ed una forte nostalgia per il metodo proporzionale. Si
comprende benissimo che non può non essere così, anche se la realtà politica
va in tutt’altra direzione: il bipartitismo esiste, la necessità di un
governo stabile spinge comunque ad un premio di maggioranza, e l’unica
soluzione non è il mugugno, ma è quella di diventare abbastanza forti da
occupare con la forza dei voti lo spazio del centro-sinistra, prosciugando
la destra o viceversa di proporre un proprio spazio di centro(-destra)
prosciugando la sinistra.
Ma per far questo bisognerebbe avere nei sondaggi una aspettativa di voto
favorevole almeno superiore al 20%.
Ascolto gli interventi ed i discorsi che hanno una tendenza a parlare di
questo e di altri universi concentrandomi su questa difficoltà. Come
riuscire a collegarsi fra l’11% del Partito Popolare di Martinazzoli, ed il
20% sperato da Monti e Riccardi ed ottenuto invece da Grillo?
Quando sta per chiudere l’assemblea l’Onorevole Tassone che presiede, mi
rivolge un caldo saluto. (Sto evidentemente diventando molto vecchio!). E’
molto tardi e penso di non far perdere tempo all’assemblea, ma Tassone
insiste ed io, pregato di dire pochissime cose in pochi minuti, riassumo
così il mio pensiero: “Non vi preoccupate per l’unità dei cattolici: esiste
quando la si vuole veramente ed il conto viene comunque presentato ai
democratici cristiani. Quindi non teorizzatela, fatela!
Non si esce dal bipolarismo con i desideri, ma portandosi dietro il mondo
cattolico, quelle che Pistelli chiamava “le fanterie cattoliche”,
disprezzandole un poco, ma utilizzandole molto. L’occasione c’è. La
minoranza sociologica dei cattolici in Italia è divisa su tutto ma è unita
su una cosa: è l’unico gruppo che vuole, veramente, sinceramente e
fortemente l’Europa, perché lo hanno scritto a tutte lettere tutti i Papi,
sia quelli che erano democratici-cristiani, sia quelli che non lo erano.
Su questo punto i cattolici sono tutti d’accordo e possono manifestare
questa loro unità in polemica con tutti, leghisti, fascisti, euroscettici,
banchieri e metalmeccanici, stupidi austriacanti o borbonici. Quindi l’unica
cosa da fare rendere un utile servizio (e la politica è servizio)al mondo
cattolico. Chiamarlo a fare le primarie per scegliere i suoi uomini di
convinzioni federaliste europee da mandare in Europa. Questa iniziativa non
tocca l’equilibrio politico italiano (per ora), non fa cadere il governo,
non si arrende alla tattica antieuropea della destra o al sospetto
antieuropeo della sinistra, non può essere criticata di ingerenza clericale,
vaticana, o robe del genere, per l’evidente disinteresse della chiesa
cattolica alle cose italiane. Possiamo fare finalmente una scelta libera
senza ricatti
Coinvolgere le associazioni, creare comitati parrocchiali, chiedere il
permesso ai vescovi, e, fare le plenarie di tutti i cattolici per l’Europa.
Chiedere ai vescovi di farle nelle parrocchie. E se non lo danno farle
davanti alle parrocchie, sul sagrato
Se questo si facesse, i cattolici conoscerebbero una piccola pausa di unità
politica, l’Italia avrebbe una rappresentanza almeno europeista. E tutto
diventerebbe diverso, in un batter d’occhio.
Lunedì: Il pacchetto di Matteo Renzi
Puntualmente, come annunciato da prima di Natale, lunedì 27 Gennaio la
direzione del Partito Democratico vota a grande maggioranza un pacchetto di
riforme che vanno dalla nuova legge elettorale all’abolizione costituzionale
dello spericolato carnevale delle spese regionali ed all’abolizione delle
provincie e del senato attuale.
Colpo grosso di Matteo Renzi. Questa puntualità dà una scossa alla politica
impaludata da venti anni.
E tutti se ne accorgono. Naturalmente il pacchetto è un compromesso con gli
altri partiti. Tutti, meno gli “zombetti” di Grillo: peggio per loro!
È naturale che s’accenda una discussione sul compromesso, che per essere un
compromesso, non può accontentare tutti. Al centro del malumore l’idea, che
a far parte del compromesso, ci sia un Berlusconi troppo accomodante per
essere vero. Ed ancora, nella legge elettorale, il fatto che siano escluse
le preferenze, anche se la lista bloccata è molto piccina e quindi
“riconoscibile”.
Si guarda invece con poca attenzione al fatto che nel compromesso ci sia nel
cambio una grossa conquista da non sottovalutare: il ballottaggio fra le
prime due liste, se nessuna raggiungesse il 35%. Con, per di più, lo
sbarramento per le piccole formazioni politiche, invocato da secoli e mai
attuato.
Comunque il compromesso viene giudicato abbastanza bene da tutti.
L’obiezione che vi partecipa Berlusconi è stralunata: oggi l’opposizione
vera a questo Governo è retta, comandata e blindata da Berlusconi.
L’obiezione della mancanza delle preferenze è più seria ed è il vero
cedimento concesso a Berlusconi per avere il “pacchetto”.
Ma il problema è mal posto. Le preferenze sono un problema, perche hanno
delle contro indicazioni. La vera soluzione è il collegio uninominale che
permette scelte alternative. Ma se c’è una lista, l’unica soluzione è la
preferenza, anche con i suoi difetti.
Tuttavia un rimedio c’è ed è praticabilissimo. Già il PD ha dichiarato che
l’ordine di lista dei suoi candidati sarà determinato con le primarie. È un
gesto virtuoso e democratico importante.
Senza sfasciare il “pacchetto” si può aggiungere una iniziativa parallela,
che è una semplicissima legge di applicazione dell’art.49 della
Costituzione, quello che sancisce che i partiti esistono “per concorrere con
metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Vale a dire che
devono dimostrare che la scelta dei candidati delle sue liste, atto
principale dei partiti, è effettivamente democratico,ossia frutto della
partecipazione dei suoi dirigenti, dei suoi iscritti e dei suoi elettori,
cioè con le primarie. Sarebbe un’iniziativa non polemica, non
contraddittoria al pacchetto proposto e persino necessaria per risvegliare
l’art. 49, in sonno da 70 anni..
Il pacchetto è stato approvato dal PD a grande maggioranza senza voti
contrari e con un fisiologico gruppo di astenuti. E questo è talmente bello
da far temere che ci sia sotto qualcosa.
Il primo sintomo è la strana suscettibilità, da signorine uscite dal
collegio delle Orsoline, del gruppo degli oppositori a Renzi. Si dimettono
con capriola drammatica, come fa Balotelli quando viene sfiorato da un
terzino avversario. Effettivamente Matteo, con la sua franchezza, con la sua
irrequietezza fiorentina da Giamburrasca è talvolta aspro e pungente. Ma le
mammolette lo chiamavano fino a ieri “fascistoide”. Domani chissà!
Tuttavia il pericolo che la battaglia per la preferenza democratica, che non
era mai piaciuta così tanto alla sinistra del Pd, faccia saltare il
pacchetto, esiste. Sorridendo pacatamente D’Alema ha detto: “Il pacchetto è
un buon risultato. Che ovviamente sarà discusso, migliorato ed approvato dal
Parlamento come avviene in una democrazia normale”. Questo avvertimento mi
preoccupa. La funzione democratica normale del Parlamento, correttiva e
migliorativa ha abbattuto Prodi due volte come Presidente del Consiglio, ed
una volta come Presidente della Repubblica. E’ cosi, quando D’Alema sorride,
scotendo sardonico la testa, come fa nella sua imitazione Sabina Guzzanti.
Bartolo Ciccardini