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Italia, un paese annichilito

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Editoriale di Corrado Tocci

Italia, un paese annichilito

Editoriale di Corrado Tocci

 

 

Gli ultimi scandali EXPO e MOSE ci mostrano una fotografia dell’Italia come di un Paese annichilito, dove i cittadini si sentono umiliati, dove si comincia a prendere coscienza di vivere all’interno di un sistema che cerca sistematicamente di annullare l’individualità della persona, dove i cittadini sono privati di ogni possibilità di reazione, umiliati profondamente, costretti al silenzio e all’immobilità come forma di sopravvivenza.
Disertare le urne non può più essere visto come un distacco dal sistema democratico ma come la reazione di cittadini umiliati che prendono atto che della propria volontà non interessa niente a nessuno.
La nostra Repubblica Italiana deve la sua costituzione alla presenza di grandi uomini di formazione e cultura diversa che si sono incontrati-scontrati nella redazione della Carta Costituzionale. Per comprendere il valore di questi uomini basta rileggere gli atti della sotto-commissione costituzionale “Rapporti Economici”.
Questi uomini espressione delle culture dei territori di provenienza, culture religiose e non, erano animati dallo stesso fondamento etico, ricercavano il bene comune.
Costoro hanno rappresentato la élite italiana del dopoguerra, pur militando in sistemi ideologici contrapposti non hanno mai messo in seconda linea il bene supremo del Paese.
Costoro erano élite perché non avevano mai posposto l’interesse del Paese a quello personale. Mi ritorna sempre alla mente l’immagine di Palmiro Togliatti, segretario del PCI, in piena estate in una spiaggia prossima alla città di Anzio, dove come un cittadino qualsiasi cammina in mezzo alla gente in calzoni corti, con qualcuno che lo saluta e qualcuno no.
Il disastro antropologico odierno ha inizio alla fine degli anni ’60, con l’affacciarsi in politica della seconda generazione di politici cresciuti nelle segreterie dei partiti. Costoro si trovarono di fronte ad una serie di problemi: il primo era quello del cambiamento della società italiana che da agricola si stava trasformando in industriale; il secondo della urbanizzazione; il terzo, non ultimo per importanza, la ricerca di nuovi strumenti da mettere in campo per la ricerca del consenso, che mentre per i Padri Costituenti era strettamente legato alla loro storia e alla loro personalità, le nuove generazioni dovevano ricercare il consenso percorrendo altre strade, non ultima quella “dell’arruolamento delle clientele”.
Nei Partiti, diminuendo il numero degli uomini che avevano combattuto il fascismo, questa nuova generazione di dirigenti ricercò il consenso puntando sempre meno sulla ideologia e sempre più verso forme capaci di “arruolare clientele” sempre più numerose.
Questo cambiamento del ruolo dei Partiti favorì anche una trasformazione antropologica di parte dei cittadini italiani. Costoro abituati come erano nella società agricola mercantile a doversi organizzare da soli “per mettere su famiglia”, con la società industriale che avanzava si resero conto che fosse sufficiente entrare a far parte di una clientela di qualche partito e in qualche forma il problema personale da qualcuno sarebbe stato risolto.
Questo nuovo percorso non solo comportò una modificazione antropologica della popolazione, ma comportò una modificazione strutturale del sistema partito, dove non contavano di più le idee ed i progetti ma coloro che erano capaci di arruolare e soddisfare più clientela.
Così all’interno dei partiti per un certo numero di anni convissero le due anime dei militanti, una legata alla visione etico- costituzionale, l’altra tesa a far affermare sempre più quelle componenti che erano capaci di soddisfare clientele sempre più vaste.
E’ in questo periodo che comincia a farsi strada quella che successivamente verrà chiamata “Costituzione parallela”.
Le correnti dei partiti erano affamate di consenso, questo consenso potevano ottenerlo solo con la distribuzione continua di posti di lavoro e di incarichi. Era necessario moltiplicare incarichi professionali, numero di dirigenti, posti di lavoro.
In questa strategia bisognava coinvolgere anche il sindacato dei lavoratori. Anche il sindacato venne coinvolto e convinto a partecipare alla gestione del Paese di concerto con i partiti. Questa scelta permise al sindacato di nominare propri rappresentanti all’interno dei Consigli di Amministrazione e delle Assemblee, e la possibilità di ottenere distacchi sindacali sia nel privato che nel pubblico. Questo istituto nel pubblico è stato utilizzato negli anni successivi per aumentare il numero dei distacchi sindacali attraverso la costituzione di nuovi sindacati locali o di categoria.
In questo periodo inizia il “battage politico” contro il centralismo e l’inefficienza della macchina statale. Si accusa lo Stato di essere troppo burocratico e lontano dalle esigenze dei cittadini, anche se, attraverso le Prefetture, lo Stato era molto vicino alle esigenze dei cittadini, soprattutto dei piccoli Comuni.
Ecco allora giunto il momento dell’avvio delle Regioni a statuto ordinario.
In questo modo i partiti in base alla loro influenza politica regionale poterono: moltiplicare incarichi professionali, nominare dirigenti e funzionari, assumere “clientes”.
Le Regioni, che avrebbero dovuto essere uno strumento snello di programmazione e di sostegno allo sviluppo locale, con il tempo sono diventate dei mostri mangiasoldi capaci di moltiplicare i difetti dello Stato centralista.
Con la fine degli anni ’70 il sistema regionale non era più sufficiente a garantire le richieste della clientela necessaria a garantire il consenso.
Il sistema dei partiti aveva bisogno di individuare un altro settore da “arare e mettere in produzione”. Il settore individuato fu quello della sanità, e mentre il Regno Unito abbandonava un tipo di sistema sanitario che si era dimostrato fallimentare, la politica italiana ritenne che quella fosse la riforma giusta.
Con la motivazione che era tempo di garantire l’assistenza medica ed ospedaliera anche a coloro che ne erano sprovvisti, si avviò la riforma sanitaria.
Il problema si poteva risolvere a basso costo estendendo la copertura INAM, gestita dallo Stato, a coloro che ne erano sprovvisti, costoro vennero tacciati di essere antiprogressisti e fautori delle discriminazioni sociali, dato che il sistema mutualistico era articolato per categorie e settori dove gli appartenenti alla categoria o al settore gestivano direttamente la propria mutua e nelle Assemblee annuali venivano decise la tipologia delle prestazioni e delle convenzioni, e i relativi costi.
Questo tipo di gestione sanitaria escludeva il sistema dei partiti. Le nomine e le convenzioni venivano decise durante le Assemblee annuali, nel rispetto della legge che fissava i ruoli e gli obiettivi della mutua.
La legge della “Riforma Sanitaria”, passando dal sistema delle categorie e dei settori ad un sistema territoriale, annullava il ruolo di coloro che fissavano i criteri ottimali minimi per la propria salute e metteva in mano alle segreterie locali dei partiti la possibilità di assegnare nuovi incarichi, di nominare ulteriore dirigenza, di assumere personale.
Ma l’affare che con il tempo si è dimostrato sempre più vantaggioso per i politici interessati al settore è stato quello delle convenzioni. Mentre nel sistema sanitario precedente il costo delle prestazioni era concordato tra i responsabili delle mutue eletti dalle assemblee e le strutture sanitarie private, questi accordi passati nelle mani dei partiti hanno permesso alle stesse prestazioni di avere costi sempre più alti. Per giungere ai nostri giorni dove il settore sanitario assorbe la maggior parte dei bilanci delle Regioni, rendendo sterile il loro ruolo istituzionale di Enti preposti alla programmazione e allo sviluppo del territorio.
Nella seconda metà degli anni ’80 avviene l’applicazione sistematica della “Costituzione parallela”, ogni incarico gestito dal partito doveva portare un “contributo” alle casse del partito.
L’incarico non era più assegnato in funzione di una meritocrazia sociale, la persona non veniva scelta in base al suo impegno civile, sociale, economico, ma alla sua capacità e disponibilità a far di tutto per portare soldi in cassa al partito.
Questo cambio di strategia ha rappresentato l’inizio della fine del sistema partito fondato su culture e letture storiche della realtà. Il sistema partito passa dalla gestione delle segreterie, anche se parzialmente elette dagli iscritti, nelle mani di lobby affaristiche che utilizzano lo strumento partito e la sua rappresentanza per ottenere vantaggi personali.
Queste lobby rappresentano dei raggruppamenti trasversali che includono tutte le categorie che intervengono durante l’iter procedurale, iter che deve garantire il successo del progetto a danno della finanza statale.
Il fenomeno emerse in tutta la sua gravità con i processi “di tangentopoli”. Ma gli anni successivi hanno dimostrato che il focus dei processi di tangentopoli non era mirato giusto. Tangentopoli si concentrò sul sistema di alcuni partiti, ma non riuscì a capire che quei partiti già non esistevano più, che non rappresentavano che un ombrello sotto il quale si muovevano gruppi intenti a raggiungere obiettivi privatistici, che la corruzione dilagante non si sarebbe fermata con quei processi, anzi la cancellazione di quei partiti avrebbe dato la possibilità a ciascuno di costituire o di far parte di una lobby, per dedicarsi allo “spolpamento” di un settore utilizzando la leva del debito pubblico.
Per spolpare un settore occorreva la connivenza dei vari ruoli istituzionali, i quali dovevano intravedere nel progetto una rendita pluriennale, e per far questo era sufficiente far approvare il progetto, poi con l’allungarsi dei tempi di realizzazione sarebbero lievitati costi e le conseguenti rendite degli attori coinvolti.
La cosiddetta “seconda repubblica” rappresenta l’applicazione sistematica di questo metodo, dove un sistema virtuale di contrapposizione politica garantisce alle lobby lo spolpamento del bilancio statale e l’impoverimento del Paese.
In questa fase assistiamo al grande ruolo svolto dai tecnici.
Il bilancio sociale della seconda repubblica è alquanto amaro, il prodotto finale è l’annichilimento del popolo italiano, che si sente tradito, offeso e umiliato.
Un Popolo che non sa più come uscire da questo tunnel, che sembra senza fine, che ad ogni curva diventa sempre più buio.
Si potrà uscire dal tunnel se i cittadini cominceranno a rioccupare “l’agorà”, se saranno capaci di dialogare tra loro sui territori, cercando le soluzioni possibili ai loro problemi territoriali, chiudendo con il virtuale dei salotti televisivi, concentrandosi sulle risorse e sulle capacità locali disponibili, evitando di farsi abbindolare dalle promesse del capo popolo di turno.
Tutto questo si potrà realizzare basandosi sulle risorse locali, coscienti che le grandi concentrazioni sociali, economiche, bancarie non sono state funzionali agli interessi dei cittadini ma a quelli delle lobby che hanno dissestato il Paese.

Corrado Tocci
Segretario Politico “Popolari Glocalizzati”.