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Taranto, la guerra dei magistrati contro l’Ilva

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Chi spiegherà al pm Carbone di sinistra (espressione di Area: Magistratura
Democratica e Movimento per la Giustizia) che le leggi si applicano e si
rispettano, e non si contestano? Scrive “Il Corriere del Giorno” il 6 luglio
2015. “No comment e musi lunghi tra i magistrati tarantini all’indomani
dell’ennesimo decreto del governo salva Ilva, l’ottavo, che dissequestra
l’altoforno 2 dell’Ilva di Taranto, azzerando il provvedimento cautelare era
stato deciso dalla procura dopo l’incidente dell’8 giugno scorso in cui ha
perso la vita l’operaio trentacinquenne, Alessandro Morricella, investito da
una colata di ghisa fusa. Per il magistrato inquirente prima, e per il gip
dopo, l’impianto non era sicuro pertanto doveva essere fermato per evitare
altri incidenti mortali. Questa presunta pericolosità è ora scomparsa per
decreto” secondo quanto racconta il Corriere del Mezzogiorno, cioè
l’edizione barese del Corriere della Sera – “Ad esprimere il malessere che
serpeggia tra i magistrati tarantini, ma non solo, è il segretario
dell’Associazione nazionale magistrati, Maurizio Carbone, egli stesso
pubblico ministero presso la Procura della Repubblica di Taranto.”. Il
segretario dell’Associazione nazionale dei magistrati, dimenticando che le
Leggi si rispettano ed applicano…contesta quanto deciso dal Governo ed
avvallato dal Presidente della Repubblica sostenendo che “Il caso ILVA –
dice – è la dimostrazione di come il legislatore tuteli l’interesse
economico rispetto ad altri interessi come quelli sulla sicurezza dei
lavoratori e della tutela ambientale». Il segretario dell’Anm – sempre
secondo il Corriere del Mezzogiorno – mette in luce una pericolosa
spaccatura tra i due poteri dello Stato. “Tutto questo – continua Carbone –
crea una ulteriore contrapposizione tra potere giudiziario e potere
legislativo sulla base di una evidente e più volte dimostrata priorità di
quest’ultimo verso la tutela economiche rispetto ad altri diritti…. Ognuno
–ha concluso Carbone – valuta le situazioni a modo suo. Certo è che scelte
come questa sull’ ILVA, da parte della politica, non possono che lasciare
perplessi e destare preoccupazione e non soltanto tra gli operatori della
giustizia». Il dottor Carbone non spende nessuna parola però sulla
circostanza che non risulta che la Procura e tantomeno il gip abbiano
richiesto a dei periti (da nominare) una perizia tecnica sull’incidente
mortale, nè tantomeno il magistrato si sofferma sulla circostanza che i
soliti giornalisti “ventriloqui” di Palazzo Giustizia , abbiano censurato
quanto circola in ambienti industriali interni (fornitori e dipendenti) allo
stabilimento siderurgico dell’ ILVA, e cioè che il tragico incidente occorso
all’operaio Alessandro Morricella sia stato provocato e determinato in
realtà da comportamenti operativi di alcuni operai, molto lontani dalle note
vigenti disposizioni aziendali in materia di sicurezza . Comportamenti
analoghi a quelli che proprio nei giorni scorsi hanno portato alla condanna
di alcuni operai dell’ILVA, responsabili di “scherzi” poco piacevoli ad un
loro collega. Secondo nostre fonti confidenziali infatti, sembrerebbe che
l’operaio deceduto non indossasse l’abbigliamento tecnico di sicurezza
necessario sul posto di lavoro, di cui infatti nei primi rilievi di polizia
giudiziaria dicono non ci sia alcuna traccia. Ma tutto questo nessuno lo
dice e racconta. Come nessuno in Procura si meraviglia che il marito di un
magistrato ricopra incarichi di gestione e rappresentanza societaria in
aziende municipali e pubbliche. O di altro “professionista” tarantino legato
ad un altro magistrato che vive, lavora e guadagna fior di quattrini
(letteralmente) grazie alle CTU cioè le “perizie” affidategli dal Tribunale
di Taranto, come questo quotidiano in un recente articolo ha già raccontato
e denunciato. Di questi conflitti d’interesse, l’Associazione Nazionale dei
Magistrati ed il suo segretario none parlano. Strano vero? Poi qualcuno si
meraviglia che in un recente passato a Taranto siano stati arrestati un
magistrato ed un giudice! Tutto ciò probabilmente spiega anche le ragioni
per cui il dr.Cataldo Motta, Procuratore della Repubblica di Lecce, che
regge anche il vertice della Direzione Distrettuale Antimafia che
sovrintende per competenza sul territorio di Taranto, ha ottenuto dal plenum
del Consiglio Superiore della Magistratura con parere favorevole del
Ministro di Giustizia, la deroga a reggere il suo incarico sino al 2017.
Mentre invece per il dr. Franco Sebastio, procuratore capo della repubblica
di Taranto, la deroga non è arrivata. P.S. nel frattempo attendiamo ancora
risposta ad una richiesta “pubblica” al dr. Sebastio di intervista da video
filmare (invito che estendiamo anche al dr. Carbone). O forse le nostre
domande scomode danno un pò di fastidio…?

La “guerra” dei magistrati di Taranto al risanamento in corso dell’ILVA,
scrive il 14 luglio 2015 Antonello de Gennaro su “Il Corriere del Giorno”.
Mentre il Governo Renzi è impegnato a reperire i fondi e le garanzie per
portare a compimento il risanamento ambientale dello stabilimento
siderurgico dell’ILVA di Taranto, ed a garantire lavoro e stipendio a circa
18.000 famiglie, in Tribunale a Taranto il pubblico ministero Antonella De
Luca ed il Gip Martino Rosati, avevano disposto secondo noi con “leggerezza”
la chiusura dello stabilimento tarantino in conseguenza della morte
dell’operaio Alessandro Morricella, dimenticandosi che i tecnici dello
Spesal dell’Asl Taranto dopo il sopralluogo immediato all’incidente, non
avevano ordinato il fermo immediato dell’impianto, ma soltanto imposto delle
prescrizioni di sicurezza “da attuare in 60 giorni” . Prescrizioni che sono
state immediatamente recepite ed attuate dall’azienda. Come non dare ragione
allo Confindustria di Taranto quando sostiene che “risanare un’azienda
diventa impossibile se l’unica risoluzione da adottare rimane la sua
chiusura”? E come restare silenti, quando il Governo Renzi interviene per
evitare la chiusura dello stabilimento e l’esplosione sociale e civile di
una città sull’orlo del fallimento economico? Come è accettabile dover
vedere i commissari del Governo ed i legali del più grosso stabilimento
siderurgico d’Europa costretti a fronteggiare alcuni recenti provvedimenti
esagerati da parte di qualche magistrato che ci sembra molto solerte, a far
uscire i propri atti sui giornali, invece di limitarsi ad applicare e
rispettare le Leggi. Ma non è finita. Sapete cosa accade nel Tribunale di
Taranto? Un giudice per le indagini preliminari si rivolge alla Corte
Costituzionale sostenendo che il decreto “Salva Ilva” con cui è stata
disposta la produzione siderurgica attraverso l’utilizzo dell’Afo 2 sarebbe
“incostituzionale”. Opinione e decisione rispettabile dal punto di vista
formale. Ma a dir poco assurda dal punto di vista del dovuto rispetto
istituzionale nei confronti dei “poteri” dello Stato. Di chi viene eletto
per legiferare. Oggi, infatti, il gip Martino Rosati, ha sollevato nei
confronti dell’ultimo decreto “salva Ilva” la questione di legittimità
costituzionale dell’articolo 3 del decreto legge del 4 luglio 2015, numero
92, in relazione agli 2, 3, 4, 32 comma 1, 41, comma 2 e 112 della
Costituzione italiana. Con un ricorso di quattordici pagine, il gip
tarantino intende confutare la sostanza dell’ultimo decreto legge del
Governo che è stato attuato per evitare all’ ILVA di dover di fatto chiudere
la fabbrica, con conseguenti drammi occupazionali ed economici, non solo
sull’occupazione locale, ma su tutta la filiera produttiva in Italia. Il
giudice, nella sua memoria, sostiene che nulla è stato previsto per la
“tutela dei lavoratori e per garantire la sicurezza nell’impianto”, dal
momento che l’unico obiettivo, appunto, sembra essere quello di
anestetizzare gli effetti dell’intervento della magistratura di Taranto.
Affermazioni pesanti e gravi che cozzano non solo contro il decreto di
Palazzo Chigi, ma anche contro la relazione tecnica dello Spesal dell’ASL
Taranto, cioè di tecnici che ci auguriamo abbiano più competenze tecniche
operative in materia di sicurezza dei magistrati e giudici, che non a caso
fanno un altro lavoro. Inoltre il pubblico ministero De Luca ed il Gip
Rosati ci sembrano aver dimenticato in merito al tragico incidente che
l’inchiesta sulla morte di Morricella non si è ancora conclusa, così come
non sono state ancora accertate delle inconfutabili comprovate omissioni,
cioè responsabilità dell’azienda sull’incidente mortale. Lo stesso gip
tarantino sostiene “non manifestamente infondata” la questione di
legittimità costituzionale della norma e scrive che “su un assetto normativo
siffatto che si vorrebbe ispirare a quello del decreto legge 207 del 2012 ma
che non gli somiglia affatto, se non nell’obiettivo di neutralizzare gli
effetti di una pronuncia giurisdizionale, s’impone dunque al giudice di
invocare lo scrutinio di legittimità”. In conseguenza del ricorso del gip
(ma il Presidente del Tribunale, il capo dei Gip l’hanno condivisa? n.d.a.)
è conseguenziale la sospensione del giudizio in corso attivato dai legali di
ILVA Spa in amministrazione straordinaria. Quindi gli atti saranno
trasmessi alla Corte Costituzionale, e l’iniziativa verrà comunicata per
dovuta conoscenza al presidente della Repubblica Mattarella. Il decreto
“salva Ilva” ci corre obbligo ricordarlo, ha solo evitato che il sequestro
senza facoltà d’uso ordinato dalla Procura di Taranto a seguito
dell’incidente mortale spegnesse l’impianto e di fatto “paralizzasse” lo
stabilimento siderurgico. Peraltro l’ILVA, sempre secondo il decreto, è
tenuta ad informare all’autorità giudiziaria come intende intervenire sull’
Afo2 (l’altoforno 2) per renderlo più sicuro mediante l’adozione di “misure
e attività aggiuntive anche di tipo provvisorio”. Peraltro per attuare tutto
ciò il decreto contestato dal gip Rosati, non concedeva molto tempo
all’azienda considerato che il piano va presentato all’autorità giudiziaria
entro 30 giorni dal sequestro (siamo quindi nel pieno del periodo previsto)
e gli interventi devono essere effettuati entro 12 mesi. Non a caso giorni
fa l’ILVA ha annunciato che si sarebbe subito messa al lavoro. Ma i giudici
tarantini non si accontentavano di tutto ciò….
<http://www.ilcorrieredelgiorno.net/wp-content/uploads/2015/07/Schermata-201 5-07-14-alle-18.25.28.png> Ma qual è il “ruolo”, il compito dei magistrati?
Proprio secondo Mattarella non sarebbe né di protagonisti, né di burocrati.
Quello del magistrato, per il Capo dello Stato, che presiede il Csm, deve
essere “un compito né di protagonista assoluto del processo né di
burocratico amministratore di giustizia. Si tratta di due atteggiamenti che
snaturano la fisionomia della funzione esercitata”. A questo proposito
Mattarella ha voluto ricordare “il monito di Calamandrei”: “Il pericolo
maggiore che in una democrazia minaccia i giudici è quello
dell’assuefazione, dell’indifferenza burocratica, dell’irresponsabilità
anonima”. I tre obblighi da ottemperare: equità, imparzialità, tempestività.
Mattarella ha indicato tre necessità per la giustizia italiana:
“L’ordinamento della Repubblica esige che il magistrato sappia coniugare
equità e imparzialità, fornendo una risposta di giustizia tempestiva per
essere efficace, assicurando effettività e qualità della giurisdizione”. La
domanda che è lecita porsi è secondo noi anche la seguente: e se la Corte
Costituzionale dovesse smentire il supposto del Gip e rigettare il ricorso,
avrà questo Giudice il dr. Martino Rosati la coerenza di dimettersi, di
lasciare la magistratura? E se qualche impresa, o la stessa ILVA in
amministrazione straordinaria a causa dei ritardi conseguenti a tali
attività di contrasto al decreto legge da parte del Gip, dovessero fallire,
e decidessero di intraprendere un’azione civile risarcitoria (ora consentita
dalla Legge) nei confronti del Pubblico Ministero e del Giudice per le
indagini preliminari, cosa farebbero i magistrati “schierati”, cioè
politicizzati? Griderebbero al “colpo di stato” come fanno ogni volta che
gli si ricorda che il loro “potere” non può e non deve essere un potere
assoluto, e che in realtà il loro compito è solo quello di applicare la
Legge? Purtroppo ne siamo quasi certi…Abbiamo trovato un’intervista apparsa
sul quotidiano IL GIORNALE dello scorso 16 giugno 2014, che vi offriamo in
lettura e riproduciamo integralmente di seguito. Vale la pena leggerla sino
in fondo, in quanto contiene valutazioni dell’alto magistrato Corrado
Carnevale, ex Presidente di sezione della Corte di Cassazione che
sicuramente ha più esperienza e competenza dei suoi colleghi tarantini. Ed
anche di chi scrive. Questa scomparsa è il suo unico cruccio. Sulle
mascalzonate subite, fa il filosofo. «Che sentimenti ha verso Caselli?», gli
ho chiesto. «Nessuno», ha detto col tono di chi non dà spazio al superfluo.
Il mobbing giudiziario lo ha inseguito anche nello studio dove sediamo. Un
giorno scoprì che il telefono era isolato. Avvertì la Sip e vennero due tipi
che armeggiarono un po’. «Quanto devo?» chiese alla fine. «È gratis,
giudice», fu la risposta. «Come facevano a sapere che ero giudice?», sorride
oggi Carnevale. Così, intuì che era stato un trucco per mettergli delle
cimici e spiarlo in casa, non avendo potuto scoprire nulla con le normali
intercettazioni. Fatica sprecata: anche le cimici confermarono il
galantuomo. Carnevale è passato alla storia come l’Ammazza­sentenze per
avere annullato, da presidente di Cassazione, sentenze infarcite di
svarioni. Alcune riguardavano mafiosi, il che scatenò polemiche. Ma la
caratteristica di Carnevale è di essere inflessibile sul rispetto integrale
della legge. Ho isolato le seguenti frasi della nostra chiacchierata che
sono il cuore del suo credo: «Un giudice che ha dubbi su una norma, può
chiedere alla Consulta di cancellarla. Ma finché la norma c’è, la deve
rispettare. Gli piaccia o non gli piaccia. Non può scegliere, le deve
rispettare tutte. Non può inseguire le sue chimere (salvare il mondo, ndr),
fossero anche le più nobili. Suo unico compito è applicare tutte le regole
che l’ordinamento si è posto». Da scolpire nella pietra.

Il punto molle del processo penale è la troppa vicinanza del giudice al pm,
a scapito della difesa.

«Il nodo è chi ha permesso questa vicinanza. Ossia la politica che ha
consentito all’Anm di tutto e di più. Non c’è ormai alcun controllo
sull’idoneità dei magistrati. Basta che appartengano alla giusta corrente e
hanno carta bianca».

Che rapporto ha avuto con l’Anm?

«Mi dimisi nel 1957, quattro anni dopo l’ingresso in magistratura. Capii
subito che non si battevano per la giustizia ma per soldi e prebende,
nonostante il loro trattamento fosse già il più favorevole».

Separazione delle carriere?

«Per farlo, bisogna cambiare la Costituzione. Ma nulla vieta di impedire da
subito a pm e giudici di passare da una funzione all’altra, come oggi
sciaguratamente succede».

Una scuola post-laurea per pm, giudici, avvocati?

«Perfettamente inutile. Il problema è di cultura generale, non di cultura
giuridica».

Più ingressi di prof e avvocati in magistratura?

«Non serve a nulla, come dimostra il Csm in cui un terzo dei membri è
composto di docenti e avvocati, scelti dal Parlamento, che però si adeguano
puntualmente all’andazzo».

A che serve il Csm?

«Alla carriera dei magistrati appartenenti alle correnti giuste».

Come va riformato?

«Estraendo a sorte i membri. Che oggi sono invece scelti dalle correnti di
Anm tra i più supini ai loro diktat».

Com’è che lei, considerato un cannone, invece di essere il fiore
all’occhiello dei colleghi ha rischiato da loro la galera?

«È accaduto appena ho diretto uffici. Terminavo in tre mesi, ciò che gli
altri facevano in un anno. Ero la prova che i loro alibi ­ scarsità di
mezzi, troppe liti, mancanza di carta igienica – era il tentativo di
addebitare alla politica le proprie lacune».

Per questo volevano rovinarle la vita?

«Temevano che potessi salire tanto in alto da influire sul loro lassismo. È
la logica dell’invidia».

Quello di Caselli, dopo le calunnie di Mutolo, fu atto dovuto o smania di
annichilirla?

«Atti dovuti non esistono. L’attendibilità dei mafiosi va controllata con
rigore, nonostante la teoria di Falcone che i pentiti dichiarano sempre la
verità. Si voleva colpire me».

In un grado del processo prese sei anni per concorso esterno. Che pensa di
questo reato?

«Che non è configurabile. Il concorso esterno è un’invenzione che ha
sostituito il “terzo livello” con il quale si pensava di colpire i
politici».

Il fantomatico terzo livello…

«Il terzo livello non funzionò e si cambiò col concorso perché aveva una
parvenza più giuridica. In diritto esisteva già la categoria del concorso e,
a orecchio, lo si estese a “esterno”».

Se in Cassazione si fosse trovato davanti Dell’Utri, condannato a sette anni
per concorso esterno, che avrebbe detto?

«Che non era ravvisabile quel reato perché la legge non lo prevede. Ciò non
esclude però che i suoi comportamenti potessero avere un rilievo penale
diverso».

Ai mafiosi si applica un diritto speciale: 41 bis, ecc. Costituzionale?

«Assolutamente no. I cittadini sono uguali davanti alla legge».

Contro il Cav c’è stato un eccesso di zelo?

«Berlusconi, come tutti i magnati, compreso Agnelli, è stato disinvolto, ma
da imprenditore fu ignorato da Mani pulite. Entrò nel mirino da politico.
Segno della politicizzazione della magistratura».

Come ricondurre le toghe nell’alveo?

«Oltre all’estrazione a sorte del Csm, va introdotta la responsabilità
civile personale dei magistrati.

Esattamente ciò contro cui si batte in queste ore l’Anm».

Giudizio finale sullo stato della giustizia?

«Siamo tutti esposti a iniziative giudiziarie capricciose da Paese incivile.
Un brutto modo di vivere il tempo che ci è dato su questa terra».

IO, MAGISTRATO OLTRAGGIATA. Signor Presidente, le comunico l’irrevocabile
decisione di lasciare l’Associazione Nazionale Magistrati. Il plauso da lei
pubblicamente reso all’ingiustizia subita, per mano politica, da noi
magistrati della Procura della Repubblica di Salerno è per me
insopportabilmente oltraggioso. Oltraggioso per la mia dignità di Persona e
di essere Magistrato. Sono stata, nel generale vile silenzio, pubblicamente
ingiuriata; incolpata di ignoranza, negligenza, spregiudicatezza, assenza
del senso delle istituzioni; infine, allontanata dalla mia sede e privata
delle funzioni inquirenti, così, in un battito di ciglia, sulla base del
nulla giuridico e di un processo sommario. Per bocca sua e dei suoi amici e
colleghi, la posizione dell’Associazione era già nota, sin dall’inizio.
Quale la colpa? Avere, contrariamente alla profusa apparenza, doverosamente
adottato ed eseguito atti giudiziari legittimi e necessari, tali ritenuti
nelle sedi giurisdizionali competenti. Avere risposto ad istanze di verità e
di giustizia. Avere accertato una sconcertante realtà che, però, doveva
rimanere occultata. Né lei, né alcuno dei componenti dell’associazione che
oggi degnamente rappresenta ha sentito l’esigenza di capire e spiegare ciò
che è davvero accaduto, la gravità e drammaticità di una vicenda che chiama
a riflessioni profonde l’intera Magistratura, sul suo passato, su ciò che è,
sul suo futuro; e non certo nell’interesse personale del singolo o del suo
sponsor associativo, ma in forza di una superiore ragione ideale, che è – o
dovrebbe essere – costantemente e perennemente viva nella coscienza di ogni
Magistrato: la ricerca della verità. Più facile far finta di credere alla
menzogna: il conflitto, la guerra tra Procure, la isolata follia di “schegge
impazzite”. Il disordine desta scandalo: immediatamente va sedato e
severamente punito. Il popolo saprà che è giusto così. E il sacrificio di
pochi varrà la Ragion di Stato. L’Associazione non intende entrare nel
merito. Chiuso. Nel dolore di questi giorni, Signor Presidente, il mio
pensiero corre alle solenni parole che da Lei (secondo quanto riportato
dalla stampa) sarebbero state pubblicamente pronunciate pochi attimi dopo
l’esemplare “condanna”: «Il sistema dimostra di avere gli anticorpi».
Dunque, il sistema, ancora una volta, ha dimostrato di saper funzionare. Mi
chiedo, allora, inquieta, a quale “sistema” Lei faccia riferimento. Quale il
“sistema” di cui si sente così orgogliosamente rappresentante e garante. Un
“sistema” che non è in grado di assicurare l’osservanza minima delle regole
del vivere civile, l’applicazione e l’esecuzione delle pene? Un “sistema” in
cui vana è resa anche l’affermazione giurisdizionale dei fondamentali
diritti dell’essere umano; ove le istanze dei più deboli sono oppresse e
calpestato il dolore di chi ancora piange le vittime di sangue? Un “sistema”
in cui l’impegno e il sacrificio silente dei singoli è schiacciato dal peso
di una macchina infernale, dagli ingranaggi vetusti ed ormai
irrimediabilmente inceppati? Un “sistema” asservito agli interessi del
potere, nel quale è più conveniente rinchiudere la verità in polverosi
cassetti e continuare a costellare la carriera di brillanti successi? Mi
dica, Signor Presidente, quali sarebbero gli anticorpi che esso è in grado
di generare? Punizioni esemplari a chi è ligio e coraggioso e impunità a chi
palesemente delinque? E quali i virus? E mi spieghi, ancora, quale sarebbe
«il modello di magistrato adeguato al ruolo costituzionale e alla rilevanza
degli interessi coinvolti dall’esercizio della giurisdizione» che
l’Associazione intenderebbe promuovere? Ora, il “sistema” che io vedo non è
affatto in grado di saper funzionare. Al contrario, esso è malato,
moribondo, affetto da un cancro incurabile, che lo condurrà inesorabilmente
alla morte. E io non voglio farne parte, perché sono viva e voglio costruire
qualcosa di buono per i nostri figli. Ho giurato fedeltà al solo Ordine
Giudiziario e allo Stato della Repubblica Italiana. La repentina violenza
con la quale, in risposta ad un gradimento politico, si è sommariamente
decisa la privazione delle funzioni inquirenti e l’allontanamento da
inchieste in pieno svolgimento nei confronti di Magistrati che hanno solo
adempiuto ai propri doveri, rende, francamente, assai sconcertanti i vostri
stanchi e vuoti proclami, ormai recitati solo a voi stessi, come in uno
specchio spaccato. Mentre siete distratti dalla visione di qualche
accattivante miraggio, faccio un fischio e vi dico che qui sono in gioco i
principi dell’autonomia e dell’indipendenza della Giurisdizione. Non gli
orticelli privati. Non vale mai la pena calpestare e lasciar calpestare la
dignità degli esseri umani. Per quanto mi riguarda, so che saprò adempiere
con la stessa forza, onestà e professionalità anche funzioni diverse da
quelle che mi sono state ingiustamente strappate, nel rispetto assoluto,
come sempre, dei principi costituzionali, primo tra tutti quello per cui la
Legge deve essere eguale per deboli e potenti. So di avere accanto le
coscienze forti e pure di chi ancora oggi, nonostante tutto, crede e
combatte quotidianamente per l’affermazione della legalità. Ed è per essa
che continuerò sempre ad amare ed onorare profondamente questo lavoro.
Signor Presidente, continui a rappresentare se stesso e questa Associazione.
Io preferisco rappresentarmi da sola. Gabriella Nuzzi, Sostituto Procuratore
Salerno (tratta dall’edizione salernitana de “Il Mattino).

Di Antonio Giangrande