di Giuseppe Campisi
Diciamo subito, le primarie – e comunque tutte le consultazioni che chiamano i cittadini ad esprimersi in maniera diretta sulle questioni politiche e sui grandi temi sociali – sono un grande esercizio di democrazia. Ma la vittoria di Matteo Renzi in questa tornata di votazioni in casa Pd era, tutto sommato, abbastanza prevedibile se non scontata. E non solo e non tanto per la modesta caratura degli altri due competitors, il cui peso specifico è stato possibile ponderarlo con il voto dei circoli dove l’ex Presidente del Consiglio aveva già doppiato Orlando e praticamente stracciato Emiliano, ma anche per l’assoluta necessità di leadership di cui il partito aveva bisogno e di cui chiaramente né Orlando né Emiliano potevano possedere l’appeal tale da coinvolgere elettori e militanti. Insomma, Orlando ed Emiliano non sono dei trascinatori e quelli del Pd se ne sono accorti tanto da attribuire a Renzi, con un plebiscito, la riconferma del mandato a segretario nazionale con oltre il 70% dei consensi. Ma ciò che fa riflettere sono i dati di affluenza ai 10 mila gazebi sparsi in ogni dove sul territorio: 1.850.000 votanti per questa tornata interna contro i 2,8 milioni del 2013, i 3,1 milioni del 2009 i 3,5 milioni del 2007 ed addirittura i 4.311.000 delle primarie del 2005. Anche se un motivo per sorridere i maggiorenti del partito ce l’hanno: sono i quasi 4 milioni di euro pronta cassa che le primarie hanno portato in dote. Niente male per una giornata di gazebo. Un dato, quello della partecipazione attiva, continuamente in calo, tanto da far pensare quasi ad una conta, ad una piccola caccia al votante. Elettori? Merce rara dunque. Un bene prezioso depauperato (in linea generale, sia chiaro) nel corso del tempo dalla politica italiana, in crisi di identità e valori, che non riesce a fidelizzare i cittadini perché soprattutto non riesce a coglierne i veri bisogni deragliando dal tracciato del bene comune. Sia come sia il popolo dei democratici ha scelto il suo leader. Ed anche la Calabria ha dato il suo contributo confermando una fiducia dilagante a Renzi. A Vibo e provincia il riconfermato segretario raccoglie l’85% dei consensi (percentuale bulgara, di gran lunga la più alta tra le provincie calabresi), a Crotone il 79%, a Catanzaro il 67% mentre a Cosenza l’asticella si ferma al 62%. Percentuali altissime a Locri e Cinquefrondi (94%) dove l’ex premier ha prevalso rispettivamente con 341 e 290 voti ed a Polistena (93%) dove si sono contate ben 667 preferenze. Più che buona la performance di Reggio Calabria (76%) dove Renzi ha raccolto 4122 voti. Un po’ più opaca è stata invece la prova di Palmi e Gioia Tauro. Nella città di Leonida Repaci a prevalere è stato Emiliano con 178 preferenze contro le 148 di Renzi e le 151 di Orlando mentre a Gioia Tauro ha vinto Renzi con “soli” 156 voti utili. Una ondata di neo renziani ha così sommerso in Calabria le velleità del governatore della Puglia e del Ministro della Giustizia consegnando (in quota parte) all’ex sindaco di Firenze l’investitura a segretario nazionale e candidato premier in pectore. Un consenso che certo dirada ogni dubbio circa la trazione renziana del partito a cui molti orfani della “ditta” si sono votati, obtorto collo, più per necessità che convinzione forse per non restare fuori dalla linea di comando ma anche per non perdere visibilità (e preziose rendite di posizione) faticosamente conquistate in anni di militanza e di battaglie alla bisogna. Resta ora da capire quale sarà l’impatto dell’esito del voto dei democratici sulla vita del Governo Gentiloni nonché sulla durata dell’intera legislatura. Riflessi affatto scontati in un quadro politico che ha rimesso in sella il suo pretendente più scalpitante.