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Biancaneve e i sette betabloccanti

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di Natalia Gelonesi

Ho un sogno: conoscere quei gran geni del marketing che danno il nome ai farmaci. Voglio invitarli a cena, farli bere, e capire cosa passava nelle loro menti contorte quando hanno partorito l’associazione tra un nome commerciale e un principio attivo.

Quando andavo all’università adoravo la farmacologia. Mi appassionavano quegli anelli benzenici che si concatenavano tra di loro per dar vita a composti, mi entusiasmavano gli incastri perfetti tra molecole e recettori, mi affascinava questo mondo sconfinato di scoperte solide e di ricerche in movimento.
Poi per..come si chiama quella cosa? Legge dell’attrazione? Forse per quella cosa lì, casa mia si è riempita di chimici farmaceutici e di farmacisti e ora, ai pranzi di famiglia, invece di dedicarci ad amene sessioni di taglio e cucito, come in tutte le famiglie che si rispettino, di litigare per il corredo e di scambiarci ricette, intavoliamo discorsi sul genere: “Hai visto le nuove linee guida Aifa sull’eritropoietina?”, “Ma quindi questi nuovi anticoagulanti non vengono metabolizzati dal citocromo P450?”, “Ah ma perché sai, la granulazione con triplo filotto reale ritornato con pallino si fa solo nei laboratori con certificazione autenticata”. Insomma, un divertimento.
Tornando alla mia passione per la farmacologia, appena ho iniziato a lavorare ero un prontuario farmaceutico vivente. Altro che app per Android. Tu mi dicevi un nome commerciale e io ti dicevo principio attivo e nota Aifa. Mi mancava solo conoscere i prezzi di listino.
Ma questo succedeva tanti anni fa. Quando ancora per ogni classe di farmaci e per ogni principio attivo c’erano due o tre grosse case farmaceutiche con altrettanti brand.
Poi mi sarò persa qualcosa, mi sarò un attimo distratta e tutti questi farmaci si sono riprodotti come in una gabbia di conigli. E intanto sono arrivati pure i generici. Ed è successo che quando scadeva il brevetto quelli “firmati” diventavano “genericati”. Come se, ad esempio, ti comprassi una Vuitton e dopo dieci anni ti dicessero: “Ora vale come quella della bancarella del senegalese”. Ecco, più o meno.
Praticamente adesso è già tanto se mi ricordo il principio attivo (va bè, sarà anche l’età). Però anche voi, benedette case farmaceutiche, un pizzico in più di impegno e di fantasia. E invece no.
Esce l’ace inibitore associato al calcio antagonista e tutti a fare l’ace inibitore associato al calcio antagonista. Esce il betabloccante associato al diuretico, e tutti a fare l’associazione betabloccante diuretico. Esce l’antipertensivo con le orecchie a sventola, e tutti a ricreare le orecchie a sventola in laboratorio.
Poi si associano pure tra di loro a volte, fanno i “cobranding”. Una sorta di partnership, o una partnerSHEEP, come sarebbe meglio chiamarla a sto punto.
Ma dico, avete ricercatori da pagare per stare in laboratorio: invece di tenerli chiusi a riprodurre e assemblare molecole trite e ritrite fateli divertire su qualcosa di diverso e innovativo. Che so, il farmaco definitivo per il colon irritabile, quello per i capelli crespi, quello per mangiare senza ingrassare. Che se il problema è il ritorno economico altro che ipertensione. Invece no, tutti a buttarsi sull’ipertensione, a riempirci la testa e la scrivania di scatoline dai nomi improponibili.
Perché uno pensa: se la concorrenza è così spietata, almeno la battaglia si deve consumare a colpi di strategie di marketing sul campo dell’immediatezza e della facilità del nome. Nulla di tutto ciò. Non solo fanno farmaci ripetuti, mettono pure nomi impronunciabili. Già fai fatica a ricordarteli tu, immaginate i pazienti. Che quando chiedi di dirti che terapia fanno manca solo che ti compaiano un paio di cuffie sulle orecchie, un timer alle spalle, e che torni Mike Bongiorno dall’Aldilà per farti piombare in un’atmosfera da quiz televisivo. “Terrazzo…Tarrecsa”, “Teraxan?”. “Sì, sì, quello! Allegria! Abbiamo la nuova campionessa!”.
Altro campo dove grandi e piccoli brand si sfidano in una guerra senza esclusione di colpi è l’ipercolesterolemia. Perché, sempre per essere la solita pedante, non so se ci avete fatto caso ma il più grosso giro d’affari ruota proprio intorno a patologie in molti casi curabili con la sola modifica dello stile di vita. Ma questa è un’altra storia. Per gli ipolipemizzanti i nomi dei principi attivi sono facili: statina preceduta da prefisso a vostro piacimento (love, prava, rosuva, sinva, atorva). I più tranquilli hanno dato ai loro composti con nomi semplici e soft, tipo Torvast o Sinvacor, altri sono stati chiusi in riunione giornate intere senza mangiare né bere, per partorire nomi come, ad esempio, Provisacor. Secondo me, quando metti un nome a un farmaco è come quando metti un nome a un cane a un gatto, mica puoi chiamarlo Giangiacomo Augusto, su. Amici delle case farmaceutiche, Bill Gates delle sospensioni orali, Rockefeller delle compresse divisibili, parliamone.
Parliamo dei beta bloccanti: di carvedilolo, atenololo, propanololo, nebivololo, labetalolo, metoprololo e sotalolo. Biancaneve, per la disperazione, è scappata col Revivan.
Parliamo anche di quel meraviglioso antibiotico che avete chiamato Abba. Ogni volta che lo vedo mi si allungano i capelli, il camice si trasforma in una una gonna a fiori, in fronte mi spunta una fascetta e inizio a cantare “Dancing queen” per tutto il reparto. E poi il Vagilen? A cosa servirà mai il Vagilen? E’ un antiparassitario che non si usa solo nelle infezioni vaginali, ma anche in quelle intestinali, quindi magari la signora che vede la scatolina sul comodino dell’ignaro marito mica pensa all’Helicobacter Pylori, pensa che s’è fatto l’amante tedesca. Il mio preferito, però, rimane sempre il Celestone (betametasone): mi sono innamorata dalla prima volta che l’ho visto. Mi fa pensare a un pupazzo morbidoso, ovviamente azzurro, a cui puoi abbracciarti nei momenti di tristezza per tirarti su (e in effetti il cortisone questo effetto un po’ ce l’ha).
E poi ci sono i nomi intelligenti, quelli evocativi, tipo LevoTuss (dove il Levo non è prima persona del presente del verbo levare ma sta per levodropropizina, il nome del principio attivo, una genialata insomma), oppure il Corlentor che è un farmaco per rallentare la frequenza cardiaca (che solo per la scelta batte di cinquemila punti il suo diretto concorrente) o ancora il noto Spasmex, che chi di noi non ha mai assunto nella sua vita?
E poi, cosa tira più di ipertensione e colesterolo? Più di un carro di buoi? Sempre quella cosa, la forza propulsiva che muove il mondo. E quindi, come sottrarsi al richiamo della disfunzione erettile? Dopo l’apripista Viagra, ecco arrivare il Cialis e il Levitra. Tutti nomi di ballerine estoni di lap dance. Ora ne è arrivato pure un altro. Si chiama Spedra. Lo devo dire al mio amico della Menarini che questo nome non mi convince granché. Sì, perché se letto all’inglese, Spidra mi va in assonanza con Speedy e qualche dubbio riguardo l’efficacia long term me lo lascia. Io l’avrei chiamato, che so, Siffedra. Non avrebbe avuto neanche bisogno di troppe presentazioni.

N.B. Per questo articolo non ho ricevuto nessun compenso dalle case farmaceutiche, anzi, forse, ora mi chiederanno di restituire tutte le penne che mi hanno regalato