Cinquefrondi, Pd e sindaco Michele Conia ai ferri corti


di Giuseppe Campisi

Cinquefrondi – Si alza la temperatura (e non solo quella metereologica) in questo frangente di un giugno canicolare nel dibattito politico cinquefrondese. Ad alimentare il già rovente crogiuolo l’ultima “mossa” dei consiglieri di minoranza del PD, Michele Galimi e Angelo Burzese, che di concerto (e con la benedizione) del coordinatore della Federazione Metropolitana Reggio Calabria del partito, Giovanni Puccio hanno – predisposto i primi ed avallato il secondo – una missiva “pesante” indirizzata al Prefetto Massimo Mariani nella quale sostanziano l’inagibilità democratica nel civico consesso frutto del modus operandi politico del primo cittadino Michele Conia e nella quale, di fatto, i due avrebbero reso noto al responsabile del Palazzo del Governo di essersi ufficialmente autosospesi dall’incarico e dal partecipare ai lavori consiliari. Una azione dirompente per la democrazia cittadina che prenderebbe le mosse, secondo rumors, dall’operazione strategica di chiara matrice tecno-politica condotta magistralmente dal sindaco e dalla maggioranza negli ultimi mesi del 2015, quella cioè di accettare le dimissioni delle consigliere Manfrida e Sorbara (alle quali poi sarebbe toccato in dote una nomina assessorile esterna, ndr) per “allargare” la maggioranza con l’ingresso in consiglio dei fedelissimi non eletti Fausto Cordiano e Flavio Loria e dalla “rivoluzione” della ridefinizione delle indennità di carica dei componenti la giunta.

Questioni mai digeste alla minoranza piddina e sollevate sin dalla prima ora dal capogruppo democrat Galimi in ogni piazza e circostanza e puntate, a più riprese e senza esitazione, come un colpo di cannone contro la maggioranza di Rinascita. Ma la reazione di Conia non si è fatta attendere e, a mezzo social, ha provveduto tempestivamente a chiarire la propria posizione: «Il coordinatore provinciale del PD ha “ratificato” una lettera inviata, addirittura, al Prefetto – ha scritto Conia – da due consiglieri comunali del PD nella quale si dice espressamente che io provoco una inagibilità democratica, faccio giochetti di Palazzo e “faccio dimettere le persone”. Si tratta di affermazioni gravissime – ha sottolineato – ed a questo punto, se il problema per la democrazia e la legalità in Calabria come a Cinquefrondi sono io, dichiaro ufficialmente la mia disponibilità a mettermi subito da parte, ma credo sia giusto che il partito democratico provinciale renda pubblici gli atti così gravi che io ho commesso, questo lo dovete ai cittadini non all’uomo Michele che avete deciso di massacrare con azioni ad orologeria e ci siete riusciti» è stato il primo passaggio di uno sfogo amaro all’indirizzo della dirigenza piddina che, probabilmente, avrebbe deciso di pigiare il piede sull’acceleratore delle contromosse amministrative per alzare la voce tirando per la giacca l’UTG sollecitando, magari, un intervento diretto del rappresentante del Governo in punta di dottrina e regolamento.

Una escalation di rimbrotti e polemiche mai sopite ma tenute alla brace sottotraccia e destinate ad alimentare un dissenso politico ed amministrativo con una larga fetta della minoranza (con la parziale resistenza di Upp) di fatto esploso vulcanicamente con il “caso Longo”, nel lungo e travagliato cammino che ha condotto il consigliere dimissionario dai ranghi della maggioranza a quelli dell’opposizione rimettendoci dapprima lo scranno di vice sindaco delegato e poi finanche il seggio consiliare. «Essere considerato il problema democratico per la Calabria tanto da impegnare un coordinatore provinciale è la cosa più umiliante, dopo 25 anni di attività politica, che poteva capitarmi, chiedo scusa a tutte e tutti quelli che hanno creduto in me e che mi sostengono, per questo atteggiamento, ma non ho più forze a rispondere a questi attacchi continui, avrei preferito usarle per risolvere problemi della gente e provare a continuare a portare bellezza nella mia Cinquefrondi» è stato, quindi, il secondo pensiero infarcito della velata minaccia di far saltare nuovamente il banco rievocando lo spettro di potenziali dimissioni a poco più di un anno dal varo del Conia II, stavolta con Longo comodamente seduto a fare il convitato di pietra.