Dr Antonio Giangrande di cosa si occupa con i suoi saggi e con la sua web tv
o con i suoi canali youtube?
«Denuncio i difetti e caldeggio i pregi italici. Perché non abbiamo orgoglio
e dignità per migliorarci e perché non sappiamo apprezzare, tutelare e
promuovere quello che abbiamo ereditato dai nostri avi. Insomma, siamo bravi
a farci del male e qualcuno deve pur essere diverso!»
Perché dice che i procedimenti giudiziari esecutivi sono truccati o
truccabili, siano esse aste giudiziarie, o procedimenti di sequestro o
confisca di beni presunti mafiosi, ovvero procedimenti concorsuali o
esecutivi.
«Oltre ad essere scrittore, sono presidente dell’Associazione Contro Tutte
le Mafie. Sodalizio nazionale antiracket ed antiusura (al pari di Libera).
Associazione già iscritta all’apposito elenco prefettizio di Taranto, ma
cancellata il 6 settembre 2017 per mia volontà, non volendo sottostare alle
condizioni imposte dalla normativa nazionale: obbligo delle denunce
(incentivo alla calunnia ed alla delazione) e obbligo alla costituzione di
parte civile (speculazione sui procedimenti attivati su denunce
pretestuose). Come presidente di questa associazione antimafia sono
destinatario di centinaia di segnalazioni da tutta Italia. Segnalazioni
ricevute in virtù della previsione statutaria associativa. Solo alcune di
queste segnalazioni sono state prese in considerazione e citate nei miei
saggi: solo quelle di cui si sono interessati organi istituzionali o di
stampa. Articoli giornalistici od interrogazioni parlamentari inseriti nei
miei saggi d’inchiesta: “Usuropoli. Usura e Fallimenti truccati” e “La Mafia
dell’antimafia».
Perché le segnalazioni sono state rivolte a lei e non agli organi
giudiziari?
«Per sfiducia nella giustizia. La cronaca lo conferma. Chiara Schettini
tenta di scrollarsi di dosso le accuse pesantissime che l’hanno portata in
carcere, aggravate da intercettazioni che la inchiodano a minacce, a frasi
sorprendenti come: “Io se voglio sono più mafiosa dei mafiosi”. Il Fatto
contro i giudici fallimentari: “Sono corrotti”. Il quotidiano di Travaglio
alza il velo sui giudici fallimentari. A parlare è una di loro: “Ci davano
150 mila euro e viaggi pagati per pilotare le cause…”, scrive “Libero
Quotidiano”. Il Fatto contro le toghe. No, non è un ossimoro, ma
l’approfondimento del quotidiano di Travaglio e Padellaro sui tribunali
fallimentari. Raramente capita di leggere sul Fatto qualche articolo contro
le toghe e la magistratura. Per l’ultimo dell’anno in casa travaglina si fa
un’eccezione. Così il Fatto alza il velo sullo scandalo dei magistrati
corrotti dei tribunali fallimentari. A parlare è l’ex giudice Chiara
Schettini, arrestata a giugno che al Fatto racconta: “A Roma era una prassi.
Viaggi e soldi in contanti erano la norma per comprare le sentenze. Si
divideva il compenso con il magistrato, tre su quattro sono corrotti”. La
Schettini è un fiume in piena e accusa i colleghi: “L’ambiente della
fallimentare è ostile, durissimo, atavico, non ci sono solo spartizioni di
denaro ma viaggi, regali, di tutto di più, una nomina a commissario
giudiziale costa 150 mila euro, tutti sanno tutto e nessuno fa niente”.
Infine punta il dito anche contro i “pezzi grossi” della magistratura
fallimentare: “Si sapeva tranquillamente che lì c’era chi per una nomina a
commissario giudiziale andava via in Ferrari con la valigetta e prendeva 150
mila euro da un famoso studio, tutti sanno ma nessuno fa niente…”. Cause
truccate, tangenti, favori. Tra magistrati venduti, politici, e top model
che esportano milioni – La giudice “pentita” Schettini, arrestata per
corruzione e peculato, ha cominciato a fare i nomi del “sistema”, tra
avvocati, commercialisti e legami tra professionisti e banditi della
criminalità romana…, scrive Dagospia. Corruzione al tribunale: voi fallite,
noi rubiamo, scrive, invece, Pietro Troncon su “Vicenza Piu”. Corruzione al
tribunale: voi fallite, noi rubiamo, scrive Lirio Abbate su L’Espresso n. 3
– del 23 gennaio 2014. Più che un tribunale sembra il discount delle grandi
occasioni. Una fiera dove la crisi fa arrivare di tutto: dagli hotel alle
fabbriche, a prezzi scontatissimi. Ma all’asta sarebbero finiti anche
incarichi professionali milionari, assegnati al miglior offerente. O
preziosi paracadute per imprenditori spericolati dalla mazzetta facile.
Minerva e il prezzo della verità. Fallimenti, magistrati e giornalisti,
scrive Francesco Monteleone su “Affari Italiani”. Giornalisti contro
magistrati. Quanto costa essere veritieri? E’ la domanda posta dai
giornalisti riuniti, all’ombra della statua di Minerva, sulle scale del
Palazzo di Giustizia di Bari. “Aste e fallimenti truccati…” Di fronte
all’ingresso dello stesso palazzo, una scritta sul muro sintetizza
impietosamente il comportamento vergognoso di alcuni magistrati responsabili
della Sezione Fallimentare, che hanno subìto provvedimenti duri da parte del
Consiglio Superiore della Magistratura. E la verità bisogna
raccontarla…tutta! Una scatola di pasta piena di soldi consegnata in un
parcheggio di Trezzano. Altre due buste di denaro, una passata di mano in un
ristorante di Pogliano Milanese e una in un pub in zona San Siro. Infine,
una borsa di Versace, regalata in un negozio del centro di Milano, scrive
Gianni Santucci su “Il Corriere della Sera”. Ruota per ora intorno a questi
quattro episodi l’inchiesta della Procura su un sistema di corruzione nelle
aste giudiziarie del Tribunale di Milano. Ville in Sardegna all’asta
assegnate dai magistrati ai loro colleghi. Sospeso il giudice Alessandro Di
Giacomo e un perito. Otto indagati in tutto. Il sospetto di altri affari
pilotati, scrive Ilaria Sacchettoni il 15 dicembre 2017 su “Il Corriere
della Sera”. Magistrati che premiano altri magistrati nell’aggiudicazione di
ville superlative. Avvocati che, in virtù dell’amicizia con presidenti del
Tribunale locale, si prestano a dissuadere altri avvocati dall’eccepire.
Colleghi degli uni e degli altri che, interpellati dagli ispettori del
ministero della Giustizia, su possibili turbative d’asta oppongono un
incrollabile mutismo. Massa e Pisa, aste truccate: “Dobbiamo rubare il più
possibile”. Chiesta la sospensione del giudice Bufo. L’accusa è di aver
sottratto soldi all’erario e aver dato gli incarichi alla figlia dell’amico.
Sette provvedimenti. Ai domiciliari anche l’ex consigliere regionale
Luvisotti (An), scrivono Laura Montanari e Massimo Mugnaini il 10 gennaio
2018 su “La Repubblica”. «Qui bisogna cercare di rubare il più possibile»
dice uno. E l’altro che è un giudice, Roberto Bufo, 56 anni, di Carrara ma
in servizio al tribunale di Pisa, risponde: «Esatto». E il primo: «Il
concetto di fondo è uno solo… anche perché tanto a essere onesti non
succede niente». La procura di Caltanissetta ha chiesto il rinvio a giudizio
per la Saguto e per 15 suoi amici, scrive il 26 ottobre 2017 Telejato. DOPO
MESI DI INDAGINI, INTERROGATORI, INTERCETTAZIONI, IL NODO È ARRIVATO AL
PETTINE. La procura di Caltanissetta ha chiesto il rinvio a giudizio per la
signora Silvana Saguto, già presidente dell’Ufficio Misure di prevenzione,
accusata assieme ad altri 15 imputati, di corruzione, abuso d’ufficio,
concussione, truffa aggravata, riciclaggio, dopo una requisitoria durata
cinque ore. Saranno invece processati col rito abbreviato i magistrati
Tommaso Virga, Fabio Licata e il cancelliere Elio Grimaldi. Tra coloro per
cui è stato chiesto il rinvio figurano il padre, il figlio Emanuele e il
marito della Saguto, il funzionario della DIA Rosolino Nasca, i docenti
universitari Roberto Di Maria e Carmelo Provenzano, assieme ad altri suoi
parenti, l’ex prefetto di Palermo Francesca Cannizzo. Virus su rai 2
condotto da Nicola Porro. 22:33 va in onda un servizio dedicato al caso del
magistrato Antonio Lollo di Latina. Gomez: “C’è un problema in Italia
riguardo i tribunali fallimentari. Non è la prima volta che un magistrato
divide i soldi con il consulente. Nelle fallimentari, è noto che c’è la
cosiddetta mano nera. Sulle aste, succedono cose strane. E se a dirlo è
Peter Gomez, il direttore de “Il Fatto Quotidiano”, giornale notoriamente
giustizialista e genuflesso all’autorità dei magistrati, è tutto dire. Ed
ancora. RACKET DI FALLIMENTI E ASTE. LE CONNIVENZE DELLA PROCURA FANTASMA
TRIESTINA, scrive Pietro Palau Giovannetti (Presidente di Avvocati senza
Frontiere). Non solo a Trieste. E adesso l’inchiesta sulle aste pilotate a
palazzo di giustizia potrebbe salire decisamente di tono: alla Procura di
Brescia, competente a indagare sui magistrati del distretto di Milano
(dunque anche quelli lecchesi), sarebbero stati inviati mesi fa una serie di
documenti di indagine, scrive Claudio Del Frate con Paolo Marelli su “Il
Corriere della Sera”. Ed ancora. Tangentopoli scuote ancora Pavia, scrive
Sandro Repossi su “Il Corriere della Sera”. Mentre il sostituto procuratore
Vincenzo Calia invia due avvisi di garanzia a personaggi “eccellenti” del
Policlinico San Matteo come Giorgio Domenella, primario di traumatologia, e
Giovanni Azzaretti, direttore sanitario, spunta un’altra ipotesi: un
magistrato sarebbe coinvolto nell’inchiesta sulle aste giudiziarie. Caso San
Matteo. Ed ancora. Il pm Paolo Toso ha presentato oggi le richieste di pena
per i 15 imputati del processo sulle aste giudiziarie immobiliari di Torino
e provincia: in totale 62 anni di condanna. Aste immobiliari, il business
dal lato oscuro. L’incanto di case e immobili, in arrivo da fallimenti di
privati e imprese è, complice la crisi, un settore in crescita esponenziale.
Ma anche uno dei più grandi coni d’ombra del sistema giudiziario, scrive
Luciana Grosso su “L’Espresso”. Se avete qualche soldo da riciclare, le aste
immobiliari sembrano essere fatte apposta. E sono tante: circa 50mila
all’anno, per un valore complessivo incalcolabile e, soprattutto,
incalcolato. Corruzione e falso, arrestati giudice e cancelliere a Latina,
scrive “la Repubblica”. Corruzione in atti giudiziari, concussione,
turbativa d’asta, falso. Sono alcune delle accuse contestate a otto persone
ai quali la squadra mobile di Latina ha notificato ordinanze di custodia
cautelare emesse dai giudici di Perugia e di Latina. Tra gli arrestati,
quattro in regime di detenzione in carcere e altrettanti ai domiciliari,
anche un magistrato e un cancelliere in servizio presso il tribunale del
capoluogo, alcuni professionisti e un sottufficiale della Guardia di
Finanza. Al giudice andava una percentuale dei compensi che, in sede di
giudizio, lo stesso giudice riconosceva ai consulenti. Le indagini avrebbero
accertato come i consulenti nominati dal giudice nelle singole procedure
concorsuali, abitualmente corrispondevano a quest’ultimo una percentuale dei
compensi a loro liquidati dal giudice stesso. Il filone di indagine ha
permesso anche di svelare altri illeciti sullo svolgimento delle aste
disposte dal Tribunale di Latina per la vendita di beni oggetto di
liquidazione. Tutto questo non basta ad avere sfiducia nella Magistratura?
Ogni segnalazione conteneva una denuncia presentata, che si è conclusa con
esito negativo. Sono stato sentito dagli organi inquirenti, territorialmente
toccati dagli scandali, per rendere conto del mio dossier. Gli ho spiegato
che sono uno scrittore e non un Pubblico Ministero con potere d’indagine,
con l’inchiesta giudiziaria bell’e fatta, né sono una parte con le prove
specifiche allegate alla singola denuncia rimasta lettera morta. Val bene
che una denuncia può non essere sostenuta da prove, o che al massino vale un
indizio. Ma decine di casi a supporto di un’accusa, valgono decine di indizi
che formano una prova. Se si ha fede si crede a ciò che non si vede; se non
si ha fede (voglia di procedere da parte di PM o suoi delegati), una
montagna di prove non basta! Anche il giornalista di Telejato, Pino Maniaci,
a Palermo non veniva creduto quando parlava di strane amministrazioni
giudiziarie sui beni sequestrati e confiscati a presunti mafiosi, che poi le
sentenze non li ritenevano mafiosi. Però, successivamente, l’insistenza e lo
scandalo ha costretto gli inquirenti a procedere contro i loro colleghi
magistrati, che poi sono i dominus dei procedimenti giudiziari, anche
tramite i collaboratori che loro nominano. Comunque di scandali se ne parla
e se ne è parlato. Quasi tutti i Tribunali sono stati toccati da scandali od
inchieste giudiziarie. Quei pochi luoghi rimasti immuni sono forse Fori unti
dal Signore…».
Spieghi, lei, allora, come si truccato le aste giudiziarie e i procedimenti
connessi…
«LA NOMINA DEI COLLABORATORI DA PARTE DEL GIUDICE TITOLARE. I custodi
giudiziari spesso si spacciano anche per amministratori giudiziari, per
poter pretendere con l’avvallo dei magistrati compensi raddoppiati e non
dovuti. Essendo i consulenti tecnici, i periti, gli interpreti ed i
custodi/amministratori giudiziari i principali ausiliari dei magistrati,
come a questi ci si pretende di porre in loro una fiducia incondizionata.
Spesso, però ci si accorge che tale fiducia è mal riposta, sia nei
collaboratori, che nei magistrati stessi. La nomina del curatore esecutivo o
del commissario concorsuale o amministratore dei beni mafiosi sequestrati o
confiscati si dice che avviene per rotazione. Vero! Bisogna però verificare
la quantità degli incarichi e, ancor di più, la qualità. Un incarico del
valore di 10 mila euro è diverso da quello di 10 milioni di euro. All’amico
si affida l’incarico di valore maggiore con liquidazione consistente del
compenso! Di quest’aspetto ne parla la “Stampa”. Giuseppe Marabotto era
scampato a un primo processo per un serio reato (aveva rivelato a un
indagato che il suo telefono era sotto controllo). Chiacchierato da molti
anni e divenuto procuratore di Pinerolo, ha costruito in una tranquilla
periferia giudiziaria un regno personale e il malaffare perfetto per chi,
come lui, si sentiva impunito stando dalla parte della legge: 11 milioni di
euro sottratti allo Stato sotto forma di consulenze fiscali seriali ed
inutili ai fini di azioni giudiziarie. Secondo quanto scrivono Il Messaggero
e Il Fatto Quotidiano la procura di Perugia sta indagando sulla gestione
delle procedure fallimentari del Tribunale di Roma. Ovvero di come il
Tribunale assegna i vari casi di crisi aziendali ai curatori fallimentari,
avvocati o commercialisti, che in base al valore della pratica che
gestiscono vengono pagati cifre in alcuni casi molto alte. L’ipotesi al
vaglio degli inquirenti è che a “guidare” queste assegnazioni ci sia un
sistema clientelare o corruttivo.
L’AFFIDAMENTO E LA GESTIONE DEI BENI CONFISCATI/SEQUESTRATI AI PRESUNTI
MAFIOSI. I beni dei presunti mafiosi confiscato o sequestrati
preventivamente sono affidati e gestiti da associazione di regime (di
sinistra) che spesso illegittimamente sono punto di riferimento delle
prefetture, pur non essendo iscritte nell’apposito registro provinciale, e
comunque sempre destinatari di fondi pubblici per la loro gestione, perchè
vincitori di programmi o progetti allestiti dalla loro parte politica.
LA DURATA DEL MANDATO. Un mandato collusivo e senza controllo porta ad
essere duraturo e senza soluzione di continuità. Quel mandato diventa
oneroso per i beni e ne costituiscono la loro naturale svalutazione.
Trattiamo della nomina e della remunerazione dei custodi/amministratori
giudiziari. In questo caso trattasi di custodia dei beni sequestrati in
procedimenti per usura. Il custode ha pensato bene di chiedere il conto alle
parti processande, ben prima dell’inizio del processo di I grado ed in
solido a tutti i chiamati in causa in improponibili connessioni nel reato,
sia oggettive che soggettive. Chiamati a pagare erano anche a coloro a cui
nulla era stato sequestrato e che poi, bontà loro, la loro posizione era
stata stralciata. Questo custode ha pensato bene di chiedere ed ottenere,
con l’avallo del Giudice dell’Udienza Preliminare di Taranto, ben 72.000,00
euro (settantaduemila) per l’attività, a suo dire, di
custode/amministratore. Sostanzialmente il GUP, per pervenire artatamente
all’applicazione delle tariffe professionali dei commercialisti, in modo da
maggiorare il compenso del custode, ha ritenuto che la qualifica spettante
al suo ausiliario non fosse di custode i beni sequestrati (art. 321 cpp,
primo comma), ma quella di amministratore di beni sequestrati (art. 321 cpp,
secondo comma, in relazione all’art. 12 sexies comma 4 bis del BL 306/1992
che applica gli artt. 2 quater e da 2 sezies a 2 duodecies L. 575/1965). Il
presidente Antonio Morelli ha riconosciuto, invece, liquidandola in decreto,
solo la somma di euro 30.000,00 (trentamila). A parte il fatto che non tutti
possono permettersi di opporsi ad un decreto di liquidazione del GUP, è
inconcepibile l’enorme differenza tra il liquidato dal GUP e quanto
effettivamente riconosciuto dal Presidente del Tribunale di Taranto. Anche
“Il Giornale” ha trattato la questione. Parcelle gonfiate, indagato
consulente del Pm. Avrebbe ritoccato note spese liquidate dalla Procura: è
stato nominato in 144 procedimenti. Con le accuse di truffa ai danni dello
Stato e frode fiscale, il pm Luigi Orsi ha messo sotto inchiesta il
commercialista M.G., più volte nominato consulente tecnico del pubblico
ministero e dell’ufficio del giudice civile e anche amministratore
giudiziario di beni sequestrati. E poi c’è l’inchiesta de “Il Messaggero”.
Tribunale fallimentare, incarichi d’oro. Inchiesta sui compensi da capogiro.
In tribunale, avvocati e cancellieri ne parlano con circospezione. E lo
raccontano come se fosse un bubbone che prima o poi doveva scoppiare, perché
gli interessi economici in ballo sono davvero altissimi e gli esclusi dalla
grande torta cominciavano a dare segni di insofferenza da tempo.
LA VALUTAZIONE DEI BENI. La valutazione dei beni da vendere all’asta
pubblica è fatta in ribasso, anche in forza di attestazioni false dello
stato dei luoghi. Per esempio: si prende una visura catastale in cui il
terreno risulta incolto/pascolo, ma in effetti è coltivato ad uliveto o
vigneto. Oppure si valuta come catapecchia una casa ben manutenuta e
rinnovata. Esemplare è il fallimento della Federconsorzi. Caposaldo dello
scandalo, la liquidazione di un ente che possedeva beni immobili e mobili
valutabili oltre quattordicimila miliardi di lire per ripagare debiti di
duemila miliardi. L’enormità della differenza avrebbe costituito la ragione
di due processi, uno aperto a Perugia uno a Roma. La singolarità dello
scandalo è costituita dall’assoluto silenzio della grande stampa, che ha
ignorato entrambi i processi, favorendo, palesemente, chi ne disponeva
l’insabbiamento.
LE FUGHE DI NOTIZIE. Le fughe di notizie sulla situazione dei beni, le
notizie sulla pericolosità o meno dei loro proprietari, o gli avvisi sulle
offerte sono cose risapute.
LA MANCATA VENDITA. Spesso ci sono dei personaggi, con i fascicoli dei
procedimenti in mano, che in cambio di tangenti promettono la sospensione
della vendita. Altre volte i proprietari mettono in essere comportamenti
intimidatori nei confronti dei possibili acquirenti, tanto da inibirne
l’acquisto.
LA VENDITA VIZIATA. La vendita del bene all’asta può essere viziata,
impedendo ai possibili acquirenti di parteciparvi. Per esempio si indica una
data di vendita sbagliata (anche da parte degli avvocati nei confronti dei
propri clienti esecutati), o il luogo di vendita sbagliato (un paese per un
altro).
L’AQUISTO DI FAVORE. L’acquisto dei beni è spesso effettuato tramite
prestanomi al posto di chi non è legittimato all’acquisto (come per esempio
il proprietario esecutato), e spesso effettuato per riciclaggio o auto
riciclaggio.
IL PREZZO VILE (VALORE TROPPO BASSO RISPETTO AL MERCATO). Il filo conduttore
che lega tutte le aste truccate è la riconducibilità al prezzo vile: ossia
il quasi regalare il bene da vendere all’asta, frutto di sacrifici da parte
degli esecutati, rispetto al valore di mercato, affinchè si liquidi il
compenso dei collaboratori del giudice, e, se ne rimane, il resto al
creditore».
Cosa si può fare contro il prezzo vile?
«Contro il prezzo vile, se si vuole si può intervenire. Casa all’asta:
addio aggiudicazione se il prezzo è troppo basso. Importante ordinanza del
Tribunale di Tempio sulla revoca dell’aggiudicazione di un immobile
all’asta, scrive la dott.ssa Floriana Baldino il 10 febbraio 2018 su “Studio
Castaldi” – Dal tribunale di Tempio, con la firma del giudice Alessandro Di
Giacomo, arriva un’importante decisione. Il giudice, a seguito del deposito
di un ricorso urgente, ha revocato l’aggiudicazione dell’immobile all’asta,
considerando la circostanza che l’immobile era stato venduto ad un prezzo
troppo basso rispetto al valore che lo stesso aveva sul mercato. Il giudice,
infatti, deve sempre valutare l’adeguatezza del prezzo di vendita rispetto a
quello di mercato onde evitare “l’eccesso di ribasso”, che sicuramente non
va a vantaggio né del creditore né del debitore. L’unico a trarne vantaggio
sarebbe soltanto colui che all’asta acquista l’immobile ad un prezzo
irrisorio. Il giudice Di Giacomo, accogliendo dunque la tesi dell’avvocato
difensore, ha revocato l’aggiudicazione dell’asta in base ai principi
stabiliti dalla legge n. 203 del 1991. Tale legge parla impropriamente di
“sospensione” ma, in verità, attribuisce al G.E. – fino all’emissione del
decreto di trasferimento – un vero e proprio potere di revocare
l’aggiudicazione dell’immobile a prezzo iniquo. Il potere di revocare
l’aggiudicazione, prima spettava solo al giudice delegato ex art. 108 della
legge fallimentare, ma la riforma ha attribuito questo potere al giudice
dell’esecuzione, allo scopo di “restituire il processo esecutivo alla fase
dell’incanto che andrà rifissato con diverse modalità, affinchè la gara tra
gli offerenti si svolga per l’aggiudicazione del bene al prezzo giusto”.
La sospensione della vendita. Già prima dell’approvazione del decreto del
2016, molti giudici, di diversi tribunali, avvalendosi della possibilità
riconosciuta loro ex art. 586 c.p.c., in seguito alle modifiche apportate
dalla legge n. 203/91 di conversione del D.lg. n. 152/91, sospendevano la
vendita quando il prezzo era notevolmente inferiore a quello “giusto”. Quel
decreto, urgente, era stato pensato per la lotta alla criminalità
organizzata delle vendite pilotate, ovvero negli anni in cui si assisteva ad
una serie di incanti deserti al fine di conseguire, attraverso successivi
ribassi, un prezzo di aggiudicazione irrisorio. Questa legge, pensata e
studiata per la lotta alla criminalità organizzata, è stata poi applicata in
diversi tribunali e per tutte le procedure che non avevano più alcuna
utilità. Ogniqualvolta i giudici ritenevano che gli interessi economici del
debitore e del creditore venissero frustrati dal prezzo troppo basso di
aggiudicazione dell’immobile, potevano, a discrezione, “sospendere la
vendita”. Così, ad es., il tribunale di Roma, sez. distaccata di Ostia, con
ordinanza del 9 Maggio 2013 che ha sospeso per un anno l’esecuzione
immobiliare dopo cinque tentativi di asta. Nella fattispecie, il prezzo del
bene si era talmente ridotto rispetto alla stima del perito che il giudice
ha ritenuto che la sospensione di un anno della procedura, potesse essere un
congruo termine per tentare la vendita dell’immobile ad un prezzo diverso, e
magari più adeguato. Al Tribunale di Napoli invece un giudice è andato oltre
restituendo il bene al debitore (ord. del 23.01.2014.), facendo riferimento
a due principi importanti. Il primo, della ragionevole durata del processo,
ed il secondo, principio cardine a cui il giudice napoletano ha fatto
riferimento, quello secondo cui, procedere con l’esecuzione, non era più
fruttuoso né per il debitore né per il creditore, sempre per il c.d. “giusto
prezzo”. Successivamente anche il Tribunale di Belluno si è espresso in tal
senso con ordinanza del 3.06.2013.
La necessaria utilità del processo esecutivo. Il processo esecutivo deve
avere una sua utilità. Soddisfare il creditore e liberare il debitore dai
suoi debiti. Il periodo storico in cui ci troviamo non è sicuramente dei
migliori ed il mercato immobiliare è sicuramente molto penalizzato. Si
assiste sempre a situazioni in cui alle aste non vi è alcuna proposta di
acquisto, almeno fino a quando il prezzo dell’immobile rimane alto. Poi il
bene viene venduto ad un prezzo veramente irrisorio ed il creditore non
viene soddisfatto dal prezzo ricavato dalla vendita, mentre il debitore si
ritrova senza immobile (in molti casi proprio la prima abitazione) e con
ancora i debiti da saldare. Molte norme sono intervenute in aiuto degli
imprenditori in crisi ed ora tutto sta nelle mani dei giudici dei tribunali,
che possono applicare le norme in una maniera più elastica e meno rigida.
La giurisprudenza. Importante, in materia di esecuzione, è la sentenza n.
692/2012 della Cassazione. Occupandosi di esecuzione in materia fiscale, la
S.C. ha ribadito che: “Nell’esecuzione esattoriale il potere del giudice di
valutare l’adeguatezza del prezzo di trasferimento non solo non subisce
alcuna eccezione rispetto l’esecuzione ordinaria ma deve essere esercitato
con particolare oculatezza, sì da valutare se, nel singolo caso, sia più
dannoso per lo Stato creditore il protrarsi dei tempi di riscossione o la
perdita della possibilità di realizzare gran parte del proprio credito, a
causa della sottovalutazione del bene pignorato”. Una massima enunciata
prima della approvazione del “decreto del fare”, ovvero quando ancora
Equitalia poteva pignorare e vendere all’asta gli immobili dei contribuenti.
La massima enunciata dalla Cassazione in materia tributaria, si adegua, ed
uniforma, a quello da sempre sottolineato nel procedimento civile.
Il processo esecutivo deve mantenere la sua utilità. La Cassazione specifica
inoltre che il concetto di prezzo giusto, non richiede necessariamente una
valutazione corrispondente al valore di mercato, ma occorre aver riguardo
alle modalità con cui si è pervenuti all’aggiudicazione, al fine di
accertare se tali modalità (pubblicità ed altro), siano stati tali da
sollecitare l’interesse dell’acquisto. Insomma, sempre più numerose le
sentenze a favore del consumatore indebitato che vede svendere i propri beni
senza ottenere, per di più, dalla vendita la soddisfazione dei creditori».
Come bloccare un’Asta?
«Se la tua casa è all’asta esistono diversi metodi per sospendere o bloccare
definitivamente il pignoramento a seconda delle situazioni. L’importante è
che le aste vadano deserte, scrive lo Studio Chianetta il 22 maggio 2017.
Molto spesso – specie quando si ha a che fare con la legge – si prende
cognizione dei problemi quando il danno è spesso irrimediabile. Succede a
chi ha la casa pignorata che, dopo aver ignorato gli svariati avvisi del
creditore e aver sottovalutato le carte ricevute dal tribunale, si chiede
come bloccare un’asta. In verità, anche per chi è soggetto a un’esecuzione
forzata immobiliare, esistono alcune scappatoie, pienamente legali, ma da
prendere con le dovute cautele. Infatti, se è vero che esse consentono di
sbarazzarsi del pignoramento dall’oggi al domani, dall’altro lato non
vengono accordate dal giudice con facilità e automatismo. Del resto, come
tutte le norme, anche quelle che consentono di bloccare un’asta immobiliare
sono soggette a interpretazione e, peraltro, come vedremo, lasciano un campo
di azione abbastanza ampio alla valutazione del giudice. Ma procediamo con
ordine. Il problema della casa all’asta resta il cruccio principale per
molti debitori che subiscono il pignoramento. Impropriamente si crede
peraltro che la «prima casa» non sia pignorabile, cosa non vera per due
ordini di motivi: innanzitutto il limite vale solo nei confronti dell’agente
della riscossione (Equitalia o, dal 1° luglio 2017, l’Agenzia delle
Entrate-Riscossione); in secondo luogo perché a non essere pignorabile non è
la «prima casa» ma solo l’unico immobile di proprietà del debitore (per cui,
se questi ha due case, ad essere pignorabili sono entrambe e non solo la
seconda). A dirla tutta, quando si tratta di creditori privati (la banca, un
fornitore o la controparte che ha vinto una causa) il pignoramento
immobiliare può essere avviato anche per debiti di scarso valore (invece,
per i debiti con il fisco il pignoramento è possibile solo superati 120mila
euro). Prima di capire come bloccare la casa all’asta sono necessarie due
importanti precisazioni. La prima cosa da sapere è che, di norma, prima di
procedere al pignoramento (e, quindi, all’asta), il creditore iscrive
un’ipoteca sull’immobile. Per quanto ciò non sia vincolante (lo è solo nel
caso in cui ad agire sia l’Agente della riscossione), avviene quasi sempre
perché attribuisce un diritto di prelazione sul ricavato: in altre parole,
il creditore con l’ipoteca si primo grado si soddisfa prima degli altri. La
seconda indispensabile precisazione è che, per bloccare la casa all’asta si
può contestare le ragioni del creditore solo se questi agisce in forza di un
assegno o di un contratto di mutuo. Viceversa, se il creditore agisce in
forza di una sentenza di condanna, il debitore non può più metterla in
discussione (avendo avuto il termine per fare appello o ricorso per
cassazione). Quindi, se il giudice ha fissato il nuovo esperimento d’asta e
il creditore agisce perché ha ottenuto un decreto ingiuntivo (ad esempio, la
banca per interessi non corrisposti) non è più possibile sollevare eccezioni
sul merito del credito (ad esempio sull’anatocismo)».
Ma allora quando si può bloccare la casa all’asta?
«Le ragioni sono essenzialmente legate all’utilità della procedura. Ci
spieghiamo meglio, scrive lo Studio Chianetta il 22 maggio 2017. Lo scopo
del pignoramento – e quindi delle aste – è quello di liquidare i beni del
debitore e, con il ricavato, soddisfare il creditore procedente. Una
procedura che realizza l’interesse di entrambe le parti: quello del
creditore – perché così ottiene i soldi che gli spettano – e quello del
proprietario della casa – perché in tal modo si libera del debito. Quando
però queste due finalità non possono essere realizzate, allora non c’è
ragione di tenere in vita la procedura. Si pensi al caso di un’asta battuta
a un prezzo ormai così basso da non consentire al creditore di recuperare
neanche la metà delle somme per le quali agisce, al netto delle spese legali
già sostenute. Nello stesso tempo, l’eventuale vendita – eseguita magari a
favore di chi, furbescamente, ha atteso diverse aste prima di proporre
un’offerta, in modo da far calare il prezzo – non consente al debitore di
liberarsi della morosità, peraltro espropriandolo di un bene per lui vitale.
Risultato: insoddisfatto il creditore, insoddisfatto il debitore.
Consapevole di ciò il legislatore ha, di recente, emanato due norme che,
sebbene possano apparire indipendenti tra loro, se applicate l’una con
l’altra possono favorire la rapida conclusione del pignoramento.
COME BLOCCARE L’ASTA. Qualora non si presenti alcun offerente alle aste
promosse dal tribunale, il giudice può disporre un ribasso del prezzo di
vendita del 25% (ossia di un quarto). Molto spesso, però, nonostante i
ribassi e il calo drastico del prezzo rispetto alla stima fatta all’inizio
del pignoramento dal consulente del tribunale (il cosiddetto «Ctu», ossia il
consulente tecnico d’ufficio), non si presenta alcun offerente. Con la
conseguenza che il prezzo d’asta scende sempre di più fino al punto da non
soddisfare le pretese dei creditori. Così il codice di procedura stabilisce
che «quando risulta che non è più possibile conseguire un ragionevole
soddisfacimento delle pretese dei creditori – anche tenuto conto dei costi
necessari per la prosecuzione della procedura, delle probabilità di
liquidazione del bene e del presumibile valore di realizzo – è disposta la
chiusura anticipata del processo esecutivo». In pratica, tutte le volte che
la casa, sottoposta a pignoramento immobiliare, non trova potenziali
acquirenti e la base d’asta, a furia di ribassi, arriva a un prezzo che non
è in grado di garantire un ragionevole soddisfacimento dei creditori il
giudice decreta la fine anticipata del processo esecutivo. Si tratta di una
estinzione anticipata del pignoramento che non consente allo stesso di
risorgere in un secondo momento. Questo significa che il debitore torna
nella piena disponibilità della propria casa prima pignorata e non dovrà
subire alcuna asta. Ma quando è possibile raggiungere questo risultato?
Quante aste bisogna aspettare? In teoria molte. E proprio per questo è
intervenuta la seconda parte della riforma di cui abbiamo accennato in
partenza. La seconda norma in evidenza è contenuta nel cosiddetto «decreto
banche» dell’inizio 2016. In base all’ultima riforma del processo esecutivo,
quando il terzo esperimento d’asta va deserto e il bene pignorato non viene
aggiudicato, il giudice dispone un quarto tentativo di asta e, per rendere
più allettante la partecipazione degli offerenti, può decurtare fino a metà
il prezzo di vendita. Con l’ovvia conseguenza che, andata deserta anche la
quarta asta, il prezzo di vendita sarà sceso così tanto da consentire il
verificarsi di quella condizione – prima descritta – che consente
l’estinzione anticipata del pignoramento: ossia l’impossibilità di
conseguire un ragionevole soddisfacimento delle pretese dei creditori. Ecco
così che già dopo la quarta o la quinta asta, al più dopo la sesta, è
possibile bloccare le aste successive e chiudere una buona volta il
pignoramento. Del resto scopo del pignoramento è quello di soddisfare il
creditore e non infliggere al debitore una sanzione esemplare. Tanto è vero
che una recente ordinanza del Tribunale di Tempio ha stabilito che: «Neppure
le esigenze di celerità cui tale particolare procedura è improntata (si
riferisce all’ esecuzione esattoriale), in forza delle quali
l’espropriazione anche per prezzo vile trova la sua ragion d’essere nel
preminente interesse dello Stato procedente, possono giustificare che il
trasferimento degli immobili pignorati prescinda da un qualsiasi
collegamento con il valore dei beni e che tale valore possa essere anche
irrisorio, atteso che l’espropriazione ha la finalità di trasformare il bene
in denaro per il soddisfacimento dei creditori e non certo di infliggere una
sanzione atipica al debitore inadempiente». Secondo il giudice quindi è
anche possibile sospendere la vendita se il prezzo è troppo basso. Il che è
previsto dal codice di procedura civile che prevede la possibilità di
sospendere il pignoramento anche una volta intervenuta la vendita: «Avvenuto
il versamento del prezzo, il giudice dell’esecuzione può sospendere la
vendita quando ritiene che il prezzo offerto sia notevolmente inferiore a
quello giusto».
LA SOSPENSIONE DELL’ESECUZIONE FORZATA SULLA CASA. C’è poi la possibilità di
chiedere la sospensione del pignoramento quando il giudice ritiene che il
prezzo offerto sia notevolmente inferiore a quello giusto e di mercato. La
misura è nell’interesse sia del debitore (che ha interesse a che la casa si
venda al prezzo reale, per poter chiudere la partita col creditore), sia del
creditore stesso (che intende recuperare quanto più possibile delle somme
che gli spettano). Si tratta di un potere riservato al vaglio discrezionale
del tribunale (ma che, ovviamente può essere sollecitato dagli avvocati
delle parti) che comporta il differimento dell’asta pubblica “a data da
destinarsi” (ossia a quando il mercato sarà più “maturo”). Sempre che, nelle
more, non intervengano altri eventi modificativi del processo come, per
esempio, il disinteresse del creditore, una trattativa tra le parti che
porti a una transazione con sostanziale decurtazione del debito, ecc.
NEL CASO DI FALLIMENTO. Anche se la vendita avviene per via di un
fallimento, le cose non cambiano. Difatti, la legge fallimentare prevede,
nel caso in cui oggetto della vendita forzata sia un bene appartenente a un
imprenditore fallito, che «il giudice delegato, su istanza del fallito, del
comitato dei creditori o di altri interessati, previo parere dello stesso
comitato dei creditori, può sospendere, con decreto motivato, le operazioni
di vendita, qualora ricorrano gravi e giustificati motivi ovvero, su istanza
presentata dagli stessi soggetti». In passato il tribunale di Lanciano,
nell’ambito di pignoramento immobiliare conseguente a un fallimento ha preso
atto del notevole squilibrio tra il prezzo di base d’asta dell’immobile e
quello di mercato (per come attestato dalla perizia del Consulente tecnico
d’ufficio) e, sulla scorta di ciò, ha sospeso la vendita della casa
pignorata».