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Dipendenza da cocaina: ricerca canadese ha dimostrato che è possibile bloccarla nei topi

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Una piaga moderna che si credeva potesse essere legata solo al dorato mondo dell’alta
burocrazia e dello spettacolo. Ed invece, la cocaina è tra le droghe pesanti una
tra le più diffuse anche tra i ceti “più popolari”, con migliaia di persone
che ne sono o ne continuano a diventare dipendenti. Ora uno studio pubblicato su
Nature Neuroscience azzarda a ritenere che è possibile bloccarne la dipendenza,
almeno nei topi. La ricerca è stata condotta da un gruppo di ricercatori dell’Università
della Columbia Britannica in Canada che hanno modificato in laboratorio dei topi
in modo da renderli più resistenti tanto da confermare il ruolo decisivo che genetica
e biochimica avrebbero sulle dipendenze. Le cavie sono state geneticamente modificate
al fine di avere livelli più elevati della proteina che aiuta le cellule a legarsi
insieme, chiamata caderina. La sostanza in questione agisce nel cervello rafforzando
le connessioni tra i neuroni (sinapsi). E l’apprendimento – tra cui il conoscere
il piacere indotto da una droga – richiede un rafforzamento di alcune sinapsi. Così
i ricercatori hanno pensato che somministrare ai topi più caderina li avrebbe resi
più inclini alla dipendenza da cocaina. Ma si è verificato l’esatto contrario.
Analizzando il tessuto cerebrale dei topi geneticamente modificati i ricercatori
hanno rilevato che una maggiore quantità di caderina agisce invece da ‘barriera’
alla nascita di dipendenze, perché impedisce che un determinato recettore neurochimico
migri dal cuore della cellula nervosa fino alla sinapsi. L’indagine chiarisce un
nuovo meccanismo della dipendenza che in futuro potrebbe aiutare a capire chi è
più vulnerabile all’abuso di droghe. Anche se uno degli autori, Shernaz Bamji ha
fatto capire che la strada della ricerca è ancora lunga perché: “avremmo bisogno
di trovare una molecola che blocchi la formazione di un ricordo indotto da una droga,
senza interferire con la capacità di ricordare le cose importanti. L’ideale sarebbe
trovare una molecola che blocchi la formazione di un ricordo che porta alle droghe,
senza interferire con la capacità di ricordare cose importanti”. Resta coi piedi
per terra il chimico farmaceutico Antonello Mai dell’Università Sapienza di Roma
intervistato in merito. “La somministrazione di caderina non può risolvere il problema
dell’abuso di droghe – osserva – perché la struttura celebrale non può essere sempre
rigida: deve avere anche dei momenti di plasticità neuronale, per evitare conseguenze
imprevedibili. Lo studio è interessante e utile per aumentare la nostra conoscenza
dei meccanismi neuronali, ma da qui ad avere un trattamento terapeutico sull’uomo
ce ne passa”. Resta però la circostanza che nonostante decenni di studi per Giovanni
D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, la dipendenza da questo
tipo di droga resta ancora difficile da sconfiggere se non attraverso percorsi terapeutici
lunghi e che richiedono molto spesso il ricovero in cliniche specializzate o comunità
terapeutiche. Ecco perché si auspica che ricerche del genere possano portare soluzioni
che rendano i percorsi di disintossicazione e riabilitazione meno tortuosi e duraturi.