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Diritto d’autore e finanziamento pubblico

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In questa Italia, quanto vale il diritto del cittadino, rispetto al diritto
della lobby dell’informazione?

Il cittadino utente è titolare del diritto d’autore rispetto alle opere
intellettuali prodotte da aziende che si finanziano totalmente o
parzialmente con i soldi pubblici: quindi, opere pagate dallo stesso
cittadino contribuente?

Queste sono le risposte che nessun giornalista darà mai. Sfido la Milena
Gabanelli e la redazione di Report a trattare questo tema delicato. Lei che
lavora in Rai ed al Corriere della Sera.

La tematica da approfondire è nata sulla diatriba dell’uso libero a fini non
commerciali dei video e specialmente sull’utilizzo dei video soggetti al
diritto di cronaca pubblicati sul web.

Insomma si parla del divieto persistente di scaricare e pubblicare
liberamente su youtube il video di terzi.

Per quanto riguarda l’impedimento dello scarico dei suoi video da parte di
Mediaset si potrebbe prospettare una ragione palesata dal suo spot sulle
reti del Biscione:

“Qui non incassiamo finanziamenti pubblici

qui non siamo colossi americani

qui contiamo solo sulle nostre forze

e qui ogni mattina arrivano migliaia di persone

che cercano di fare il massimo per regalare una televisione moderna, vivace
e completa.

Undici reti gratuite e centinaia di programmi in onda ogni giorno, anche su
Internet.

Che non ti costano niente, niente.

Nemmeno un bollettino postale.

Così… giusto per ricordarlo.”

Al contrario la Rai è concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo;
percepisce, come finanziamento pubblico, un canone pagato dai cittadini e
stabilito per legge; con denaro pubblico vengono ripianificati i passivi di
cui l’azienda è gravata; è una impresa a carattere pubblico, con finalità
non legate al profitto; per le prerogative suddette deve assicurare una
comunicazione (politica, culturale, di intrattenimento) equa e qualificante.

Secondo le previsioni della riforma del canone Rai l’importo massimo
dovrebbe oscillare intorno ai 60 euro, il minimo intorno ai 35 euro.
L’introito stimato per finanziare il servizio pubblico sarà intorno ai 2
miliardi, rispetto al miliardo e 700 milioni attuale, anche grazie a parte
dei proventi che lo Stato ricava da tutti i Giochi, compresa la Lotteria
Italia.

Ergo la Rai è servizio pubblico e quindi risponde al cittadino contribuente
utente.

Eppure su “Il Corriere della Sera” on line del 6 giugno 2014 si legge
“Quaranta video. E’ quanto rimane degli oltre 40 mila video storici del
canale YouTube della Rai. Nei giorni scorsi, come raccontato anche dal
Corriere della Sera, era stato annunciato: i filmati verranno rimossi tutti
i 40.000 mila video verranno progressivamente smantellati da YouTube e
trasportati sulla piattaforma Rai.tv. E lo stesso accadrà anche per la
grande quantità di materiale collocato su YouTube da singoli utenti che
hanno ripreso, anche artigianalmente, intere trasmissioni o singole parti:
video che comunque appartengono alla Rai. Morale, tutti i video – anche
quelli storici – spariscono dal canale. Il rapporto tra la piattaforma video
e viale Mazzini si è chiuso senza incidenti. E la motivazione è di tipo
prettamente economico. Il ritorno economico di 700 mila euro all’anno è
stato considerato insoddisfacente dalla Rai. Da qui la decisione di
rimuovere i contenuti dalla piattaforma di Mountain View e di trasferirli su
un portale Rai. Morale, per il momento, su YouTube rimangono solo 40 clip.
La più vista? «Non ci resta che…», con un’intervista a Massimo Troisi,
scomparso 20 anni fa. Poi il link al portale RaiTv per vedere l’intervista
integrale.”

Andiamo ai giornali. Se infatti è vero che grandi testate come Il Corriere
della Sera, Repubblica, Il Sole 24Ore, non ricevono sussidi diretti, è
altrettanto vero che beneficiano ogni anno, come tutti gli altri giornali,
dei cosiddetti contributi indiretti: un mare magnum all’interno del quale è
difficile orientarsi e che è quasi impossibile censire, visto che le varie
agevolazioni fanno riferimento a diversi ministeri e organi di competenza,
scrive Gabriella Colarusso su “Lettera 43”. Il grosso dei contributi
indiretti ai giornali viene dalle riduzioni fiscali e dalle «forfetizzazioni
dell’Iva sulle rese». I quotidiani cartacei infatti pagano l’Iva al 4%,
agevolazione che non è concessa anche alle testate giornalistiche online
perché la direttiva europea sul commercio elettronico non riconosce loro
questo beneficio. Non solo, i giornali di carta hanno anche la possibilità
di forfetizzare l’Iva sulle rese (art. 74, dpr 633): l’imposta cioè non
viene pagata sulle copie effettivamente restituite, non vendute, ma
calcolata a forfait. Si tratta non di soldi dati direttamente ai quotidiani
o ai periodici ma di mancate entrate per lo Stato, il cui importo è quasi
impossibile conoscere visto che non risulta agli atti del bilancio della
presidenza del Consiglio. È l’«Agenzia delle Entrate che ha questi dati»,
dice una fonte ministeriale a Lettera43.it, «ma finora non li ha resi noti».

Dice il Dr Antonio Giangrande: di questo come di tante altre manchevolezze
dei media petulanti e permalosi si parla nel saggio “Mediopoli.
Disinformazione. Censura ed omertà”. E’ da venti anni che studio il sistema
Italia, a carattere locale come a livello nazionale. Da queste indagini ne
sono scaturiti decine di saggi, raccolti in una collana editoriale “L’Italia
del Trucco, l’Italia che siamo”, letti in tutto il mondo, ma che mi sono
valsi l’ostruzionismo dei media nazionali. Pennivendoli venduti ai
magistrati, all’economia ed alla politica. Book ed E-Book che si possono
trovare su Amazon.it, Lulu.com. CreateSpace.com e Google Libri, oltre che in
forma di lettura gratuita e free vision video su www.controtuttelemafie.it
<http://www.controtuttelemafie.it/> , mentre la promozione del territorio è
su www.telewebitalia.eu <http://www.telewebitalia.eu/> .

Parlando con un giornalista di un noto quotidiano nazionale – continua il dr
Antonio Giangrande, sociologo storico – dopo averne tessuto le lodi per un
suo coraggioso video servizio, scaricato da me tal quale da un canale
youtube e divulgato sui miei canali web senza profitto, e di cui mi
segnalava la mancanza del logo de “Il Corriere della Sera” detentore dei
diritti, ho avuto contezza del problema che ha dato spunto a questa
inchiesta.

Giornalista A.C.: “Gentile dott. Giangrande, mi hanno appena linkato il
canale youtube dell’Associazione contro tutte le mafie, di cui lei è
presidente, con la raccolta delle mie inchieste sulle carceri. La ringrazio
per l’attenzione ma la pregherei di inserire la fonte da dove ha preso quei
video, ossia il sito del Corriere della Sera, nonché di inserire i link
originali delle videoinchieste . La precisazione è doverosa poiché il
Corriere della Sera detiene i diritti d’autore delle mie opere (quindi non
basta citare l’autore) ed è l’unico soggetto legittimato a disporne la
pubblicazione, tanto più che dai video caricati su YouTube risulta tagliato
il logo CorriereTv in alto a destra che ne indica la proprietà. Sicuro di
un suo sollecito riscontro, le porgo cordiali saluti”.

Giangrande: “Le porgo le mie scuse, oltre che annunciarle la mia
ammirazione. In 20 anni, su 70 libri scritti e pubblicati e centinaia di
video montati e pubblicati, nell’indifferenza generale dei media, è la prima
volta che qualcuno sollecita una modifica al mio lavoro. Faccio ammenda ed
ho già provveduto alla sua sollecitazione, visibile sulla presentazione del
video in oggetto, annunciandole che la modifica è possibile sulla
presentazione, ma non nel video, in quanto gli spezzoni originali usati e
tratti da altre fonti erano già di per sé sguarniti del logo. Salutandola
cordialmente le indico che questa è la modifica inserita in presentazione.
Ove non bastasse, mi si solleciti la cancellazione totale del video ed io lo
farò, tenendo presente comunque che attraverso il mio canale decine di
migliaia di utenti usufruiscono della visione. – Inchiesta video del bravo e
coraggioso giornalista A.C., pubblicata su you tube in vari video e su varie
fonti, che ne hanno consentito la copia ed il montaggio. Da queste fonti è
omessa l’indicazione del logo del detentore dei diritti di pubblicazione.
Mancanza non riconducibile al curatore di questo video, ossia il dr Antonio
Giangrande, che immediatamente provvede a precisare su sollecitazione
dell’autore. La precisazione è doverosa poiché il Corriere della Sera
detiene i diritti d’autore delle opere dell’autore (quindi non basta citare
l’autore) ed è l’unico soggetto legittimato a disporne la pubblicazione,
tanto più che dai video caricati su YouTube risulta tagliato il logo
CorriereTv in alto a destra che ne indica la proprietà. Di seguito si indica
la fonte ….. Il video serve a sollecitare l’interesse dell’opinione pubblica
ed a far conoscere la problematica e l’autore che se ne è interessato,
attraverso i canali di una associazione nazionale antimafia riconosciuta dal
ministero dell’interno. Uso del video non a fini commerciali. E’ interesse
del detentore dei diritti sollecitare l’immediata cancellazione del video,
nel caso in cui non aderisse all’iniziativa benefica. Si dà il caso che,
invece, sul libro anche a lettura libera “Giustiziopoli. Ingiustizia contro
i singoli”, saggio esclusivo d’inchiesta sulla giustizia italiana, ogni
articolo di stampa riporta autore e testata di riferimento con il link che
riporta all’articolo originale…..Si cerca di fare servizio pubblico,
disinteressato e con ritorsioni impunite e taciute, nel rispetto della
legalità. Per questo si ringraziano i detentori del copy right dei pezzi di
cui non si è chiesta la cancellazione”.

Giornalista A.C.: “La ringrazio per le parole di stima. I suggerimenti che
le davo erano per evitare che si attivi l’ufficio legale del Corriere. Ho
visto che nel testo ha inserito le precisazioni ma il video risulta ancora
senza logo CorriereTv. Se guarda il link che le ho inviato può vedere che il
logo c’è e c’è sempre stato. Pertanto le suggerirei di prendere le
videoinchieste nella loro interezza come da pubblicazione.”

Giangrande: “Dr A.C. il video in oggetto ha avuto 27.613 visioni e non sono
pochi, tenuto conto dell’argomento che tira poco, rispetto alla visione di
tette e culi che vanno per la maggiore. Questo è anche merito del canale
divulgativo con i canali ad esso associati. Canali che non ricevono
emolumenti da You Tube per la pubblicità, nonostante le 50 mila visioni
settimanali dei suoi video.

Con questo mio video ho voluto dare onore a lei, e solo a lei, per il lavoro
svolto, rimarcando il nome dell’autore. Del fatto che il Corriere ne
detenesse i diritti non ne ero a conoscenza, fino a quando non mi è arrivata
la notizia da lei, tanto è vero che i video li ho tratti da….. Video
pubblici e liberamente scaricabili. Youtube mi ha comunicato la semplice
violazione di brani, che colpiscono il video sin dall’origine e che ne
vietano la visione in Germania…..Una cosa le voglio precisare: Il Corriere
della Sera, a differenze di La Repubblica o altri giornali con TV web, non
permette assolutamente lo scarico dei suoi video, o così risulta a me. I
video di La Repubblica ed altri si possono scaricare per pubblico
interesse, attinenza e verità. Essi sono già con il logo incorporato ed il
nome dell’autore. E’ scandaloso non poter scaricare i video, se il Corriere
percepisse il finanziamento pubblico per l’editoria. In tal caso il diritto
d’autore dovrebbe essere condiviso col pubblico, come dovrebbe essere per la
Rai. Anche in questo caso ci troviamo a non poter scaricare i video,
nonostante da pagatori del canone siamo piccoli azionisti della RAI.
Visionarli e sciropparci preventivamente la pubblicità, invece sì, ci è
permesso. Comunque, per gli effetti dell’impedimento, anche se volessi, non
potrei riprogrammare il video. A questo punto, non potendomi permettere una
lite con il Corriere, né con chicchessia; Avendo già ampie ritorsioni per
quello che io faccio, e che nessuno fa, contro i poteri forti: specialmente
i magistrati, che in galera ci mandano, spesso, gli innocenti. Non avendo
amici a cui chiedere aiuto, né sovvenzionamenti, non essendo di sinistra, e
non essendo Libera; Essendo già vittima predestinata di ritorsioni impunite;
Tenendo alla mia onorabilità ed alla mia missione improntata alla difesa
della legalità, in estrema gratuità, non mi rimane che eliminare il video
dal mio canale, così la forma è fatta salva, mentre per la sostanza non
mancherò di produrre altri video trattanti il tema. In questo modo tutti
saremo contenti, meno la libertà dell’informazione: la verità esiste solo se
conosciuta e certamente non va remunerata. Ogni forma divulgativa va
sfruttata. Mi spiace per lei, il cui nome non sarà più accomunato ad una
giusta battaglia. Ed è quello che fino ad oggi ho voluto fare. Con ossequi,
rimanendo intatta la mia stima per lei.”

Giornalista A.C: “Non sto qui a discutere la sua personale interpretazione
del diritto d’autore (lei vuole scaricare gratis ciò che altri hanno pagato
senza neanche chiedere il permesso). I video che segnala non sono pubblici e
nemmeno liberamente scaricabili, presto o tardi verranno bloccati da chi ne
detiene i diritti, avendoli pagati. Stia tranquillo che la libertà di
informazione su questo tema non sarà intaccata. Tutte le videoinchieste
sulle carceri sono liberamente visionabili con una semplice ricerca su
google, sono stabilmente in home page sul sito del Corriere (home- inchieste
– Le nostre prigioni) e non hanno bisogno di pubblicità avendo superato le
migliaia di visualizzazioni. Inoltre periodicamente sono riprese dai vari
network che ne hanno interesse previo consenso del Corriere. Nessuno le ha
imposto di togliere i video ma di citarli correttamente e mandarli in onda
senza alterazioni rispetto all’originale. Se questo per lei rappresenta una
difficoltà allora fa bene ad eliminarli. Può piacere o meno ma questi sono i
doveri e hanno pari dignità dei diritti. La ringrazio per le intenzioni più
felici e nobili, spero di esserle stato di aiuto in qualche modo.”

Non ho voluto andare in polemica, sicuro della piega che il seguito avrebbe
avuto. Passare per stravagante ed ignorante va bene, ma avevo ben fatto
intendere che tenendo alla mia onorabilità ed alla mia missione improntata
alla difesa della legalità, in estrema gratuità, non mi rimaneva che
eliminare il video dal mio canale, non potendolo modificare, né lo potevo
scaricare direttamente da “Il Corriere della Sera”. Così la forma è fatta
salva, mentre per la sostanza non mancherò di produrre altri video trattanti
il tema.

Ma la doverosa precisazione va data a tutti quelli che pensano di detenere
lo scettro della verità e questo potere usato per far poltiglia
nell’opinione pubblica.

Per prima cosa va detto, per chi è digiuno di giurisprudenza, che il Diritto
materiale nasce su volontà di una maggioranza storica in Parlamento, spesso
trasversale e molte volte influenzata da lobbies di potere. Solo per questo
la maggioranza in Parlamento ha sempre ragione, traviando l’interesse della
maggioranza dei cittadini. Comunque dura lex, sed lex.

Per secondo va precisato che non è degno di vanteria il fatto che qualcuno
paghi dei diritti, arrogandone la proprietà, con i soldi di terzi (i
cittadini), a cui poi se ne nega la paternità.

Queste convinzioni, essendo tacciate di opinioni, vanno supportate da fatti,
iniziando proprio da quel brocardo “dura lex, sed lex”.

C’è un articolo, nella legge sul diritto d’autore, che rappresenta, mutata
mutandis, quello che in altri paesi del mondo viene chiamato fair use e fair
dealing: è l’art. 70 della Legge 22 aprile 1941 n. 63, che al primo comma
recita: “Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di
opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso
di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché
non costituiscano concorrenza all’utilizzazione economica dell’opera; se
effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l’utilizzo deve
inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali.”
Questa norma, massima espressione del concetto di libera utilizzazione, è
sempre più dimenticata ed ignorata, scrive “Movimento Costo Zero”.
Addirittura c’è chi sostiene, come Enzo Mazza, presidente di FIMI
(Federazione Industria Musicale Italiana) che “l’uso di materiale coperto da
diritti senza autorizzazione è sempre illecito, le storie sull’education
ecc. sono bufale che girano in rete”. Ad affermazioni di questo genere,
fanno eco le spiegazioni delle denunce che SIAE ha indirizzato verso i
gestori di siti didattici e culturali: ecco che la citazione parziale di
un’opera, così come permessa dall’art. 70, diventa una manipolazione (non
gradita: ma la lesione dell’onore e della reputazione non dovrebbe essere
rilevata dagli autori o dai loro eredi?) dell’opera stessa, che SIAE, non si
capisce a che titolo (visto che il mandato SIAE può avere ad oggetto
soltanto i diritti di utilizzazione economica), avrebbe il dovere di
sanzionare.

“Il giornalista è uno che, dopo, sapeva tutto prima”. (Karl Kraus), scrive
Dagoreport su “Dagospia”. “Il Salario (confutato) dell’impostura. “Su un
punto la tranquillizzo: i contributi pubblici ai giornali indipendenti come
il nostro sono oggi (per fortuna) inesistenti. I nostri stipendi ce li
pagano lettori e inserzionisti”. L’impudica rispostina di Sergio Rizzo
(“contributi inesistenti”) appariva sotto la lettera di un ingenuo deputato,
Silvano Moffa, che si lagnava per la campagna anti parlamentari del
Corrierone. Per altro, meritevole. Nonostante le omissioni. Si tratta
presidente della Commissione lavoro della Camera che una volta ricevuti i
pesci in faccia dal Corriere, si troverà nell’aula di Montecitorio a votare
l’ennesima proroga milionaria ai Signori dell’editoria.
Almeno fino al 2014, secondo la promessa di Monti. Una missiva garbata e
argomentata in cui il povero Moffa, en passant, ricordava al Gabibbo
(impunito) i contributi pubblici versati all’editoria (un miliardo di euro
annui) con cui anche i giornalisti arrotondano lo stipendio. Magari
turandosi il naso o ignorandone addirittura la puzza (di provenienza). Ma i
professionisti dell’Anti casta sono fatti così. Moralisti à la carte. Tant’è
che al momento di andare al “mercatino delle pulci” (altrui) non guardano
mai cosa si vende (di guasto) sulle proprie bancarelle dove acquistano per
mangiare. E fanno finta di non vedere che da molto tempo i grandi giornali
(Corriere, Repubblica, Stampa etc) sono in mano ai Poteri marci. E che
questi giornaloni, come ha osservato Salvatore Bragantini (autorevole
collaboratore del giornale in cui scrive, spesso sbugiardato, Sergio Rizzo),
“sotto il profilo della cronaca economica (…) formano una formidabile
flotta, che segue per lo più un’aurea massima: Cane non mangia cane”. La
citazione appare nel volume dal titolo eloquente: “Capitalismo all’italiana,
come i furbi comandano con i soldi degli ingenui”. Ma nella stampa (in
genere), rovesciando una massima di Calderon de La Barca: “Il servo più
furbo trova sempre che la valigia del padrone sia più leggera da portare
della sua”. Già, perché sembra calato dalla luna chi, proprio sul Corrierone
dei “padroni del vapore”, disquisisce di “giornali indipendenti” e senza
prebende pubbliche. O si sente addirittura fortunato, disconoscendo persino
che l’editoria non riceva soldi dallo Stato. Stiamo parlando di un miliardo
annuo pagato con le tasse dei cittadini attraverso ben sette voci di
sussidi: contributi diretti, credito d’imposta per investimenti, fondo
mobilità e rimborsi per carta e teletrasmissioni; Iva privilegiata al 4%
rispetto a un’imposta ordinaria del 20%. Un regalino da niente, da parte del
governo e del parlamento. Per poi sentirsi accusare di dirigismo. E mettere
in croce notai, benzinai, tassisti, avvocati, commercianti, medici e chi più
ne ha più ne metta. In un recente studio del Reuter Institute for the Study
of Journalism dell’Università di Oxford, tra i cinque paesi presi in esame
Italia risulta al primo posto quanto a flussi di sovvenzioni pubbliche
rispetto al numero effettivo dei lettori. Il campione esaminato riguarda
Italia, Francia, Stati Uniti, Inghilterra e Germania. Nello studio si
osserva pure che da questo meccanismo di aiuti (public support) non c’è
“nessuna correlazione tra spesa pubblica (sussidi) e penetrazione dei
giornali (copie vendute)”. Come a dire? Si stratta di soldi dello Stato che
finiscono al macero. Come le copie rese dalle edicole. Sergio Rizzo sembra
appartenere allora a quella categoria di giornalisti che, per dirla con
Francesco Giavazzi (altro editorialista di punta di Flebuccio de Bortoli),
“non sanno distinguere tra gli interessi dei loro editori e le regole della
trasparenza”. E, spesso, neppure si avvedono “che l’essenza della libertà
sta anche “nel diritto di opporsi a difendere le proprie convinzioni solo
perché sono le nostre convinzioni” (Isaiah Berlin).

E la doppia morale del Corriere della Sera? Scrive “Stampa Alternativa”. La
“Terza pagina” del Corriere della Sera, sabato scorso ha deciso di trattare
il libro La casta dei giornali di Beppe Lopez, edito da Stampa Alternativa e
Rai Eri, che in un paio di settimane è stato ristampato quattro volte e ha
venduto 50 mila copie. Un successo, nonostante lo spinoso tema: “come
l’editoria italiana è stata finanziata e assimilata dalla casta politica”.
Passaparola, grande accoglienza dal mondo di Internet e dei blog, della
televisione pubblica e privata, da radio e giornali regionali. I grandi
giornali nazionali, infatti, hanno sinora ignorato o trattato il libro
marginalmente, con reticenza o sotto titoletti incomprensibili. E il motivo
è comprensibile: La casta dei giornali racconta e documenta il portentoso
flusso di danaro pubblico, circa 700 milioni di euro all’anno, che finisce
nelle casse dei grossi gruppi editoriali, rimpolpaldo di conseguenza anche
gli utili degli azionisti. Andando più nel dettaglio, si parla di 29 milioni
a Mondadori, 23 milioni a Rcs, 19 milioni al Sole 24 Ore, 16 milioni a
Repubblica Espresso, eccetera. Con ovvia distorsione del mercato e
annientamento dell’editoria regionale e indipendente, e conseguente
manipolazione della circolazione delle idee e della democrazia. Ora, il
“Corriere della Sera” recensisce, meritoriamente controccorrente,
l’inchiesta di Lopez. Ma seguendo un metodo trasversale e liquidando con
poche battute il cuore del libro. Pierluigi Panza che ha scritto il pezzo ha
puntato a delegittimarlo, semplicemente parlando d’altro. Sin dal titolo:
“La doppia morale della Rai”. Si attacca la Rai, che poi è come sparare
sulla Croce Rossa. Panza si dichiara deluso, si sarebbe aspettato di
“trovarci svelate le segrete trame, i legami lobbistici, il sistema delle
raccomandazioni diffuso nei giornali con tanto di nomi e cognomi”. Si
sarebbe aspettato cioè tutto un altro libro. Magari “sul modello della Casta
di Stella e Rizzo”, dove si parla meritoriamente di tutti e di tutto, meno
che dei finanziamenti pubblici all’editoria. Ma la Rai non è quell’editore
finanziato con le tasche di tutti i cittadini? Ma la Rai, almeno, non faccia
la morale agli altri, pubblicando con i soldi dei cittadini un libro contro
il finanziamento agli (altri) editori. È il nocciolo della recensione. Ma
sarebbero bastati un paio di minuti a Panza per verificare che la
partnership editoriale della Rai Eri con Stampa Alternativa per La casta dei
giornali non prevede, da parte sua, l’esborso anche solo di un euro. Anzi,
il contratto firmato dalla due case editrici, prevede che la Rai Eri non
solo non ha investito economicamente sul progetto ma percepirà il 2% sui
diritti di vendita. Sarebbe gradita e corretta, come nella grande tradizione
del “Corriere della Sera”, pubblicare un’errata corrige al riguardo, anche
perché sarebbe una beffa non conforme alla storia di Stampa Alternativa,
dopo aver garantito alla Rai Eri il suo guadagno, passare addirittura per
gli ennesimi mungitori di “mamma Rai”.

Alla bisogna , sempre sul web si trova: Finalmente abolito il copyright sui
contenuti prodotti con fondi pubblici, scrive Simone Aliprandi sul suo blog.
Ci voleva l’intervento dei cosiddetti “saggi” per fare questo grande passo
innovativo… ma l’importante è che sia stato fatto. Sì, perchè è proprio
una mossa saggia quella di abolire il diritto d’autore su tutto ciò che è
stato prodotto da enti pubblici e con finanziamento prevalentemente
pubblico. Una condizione già presente in altri ordinamenti giuridici e che
l’Italia, presa da faccende più urgenti, non aveva mai preso seriamente in
considerazione. Ma ecco che con la prima riunione dei “saggi” (nominati da
Napolitano) tenutasi questa mattina al Quirinale, il primo passo è stato
effettuato. Dunque, testi, immagini, video, musiche, trasmissioni
televisive, contenuti multimediali, siti web, banche dati e anche software:
tutto senza vincoli di diritti d’autore e diritti connessi a condizione che
siano prodotti da un ente pubblico o che comunque la loro produzione sia
stata finanziata con fondi pubblici per più della metà. Il provvedimento
produrrebbe i suoi effetti a partire da 60 giorni dalla data della sua
formale adozione. Dunque entro quest’estate dovremmo già riuscire ad
avvantaggiarci di questa sostanziale innovazione. Negativo ovviamente il
parere del CPPC (Consorzio Produttori Pubblici di opere sotto Copyright), il
quale minaccia di sollevare al più presto una questione di legittimità
costituzionale.

Su queste basi è nato un movimento di libertà civica “Scarichiamoli”.
L’accesso pubblico al sapere e la libera fruizione delle opere dell’ingegno
rappresentano un minimo comune denominatore per movimenti tra loro diversi,
che si occupano di problemi diversi, ma che trovano una base condivisa nello
sviluppo “aperto” della Società della Conoscenza. In armonia con i principi
promossi da questi movimenti, vorremmo che le opere dell’ingegno finanziate
(a fondo perduto) con soldi pubblici e le opere di pubblico dominio fossero:

pubblicamente accessibili (facilmente reperibili su Internet);

universalmente accessibili (accessibili anche per i diversamente abili);

liberamente fruibili (non occorre pagare per: leggere un testo, vedere
un’immagine, ascoltare una musica);

legalmente fruibili (l’utente è certo di poter scaricare un file nella piena
legalità);

ottimamente fruibili (qualità digitale idonea a garantire una buona
visualizzazione e/o un buon ascolto).

Inoltre, vorremmo che le opere dell’ingegno finanziate (a fondo perduto) con
soldi pubblici fossero:

persistentemente non soggette a tutti o ad alcuni diritti di utilizzazione
economica (l’autore rilascia la propria opera con licenza free/open content
persistente o con licenza libera copyleft: innanzitutto, ciò consente a
chiunque di riprodurre l’opera e di metterla in circolazione);

persistentemente non soggette a diritti connessi all’esercizio del diritto
d’autore (altri diritti esclusivi che impediscono, innanzitutto, di
riprodurre l’opera e di metterla in circolazione);

persistentemente non soggette a misure tecnologiche di protezione (l’autore
rilascia la propria opera con licenza, free/open content persistente o
libera copyleft, contenente una clausola anti-TPM o più clausole anti-TPM).

Dr Antonio Giangrande

Presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia