di Mimmo Petullà
Di recente, dalla testata di questo giornale, è stato possibile leggere un articolo dal titolo: “A Taurianova il problema degli anziani non è un problema!”. La riflessione è a firma di Giuseppe Larosa, un giornalista i cui sistematici interventi sono da considerare come un passaggio nodale per la pratica di un esercizio critico della conoscenza dei fatti. La suindicata argomentazione risulta opportunamente contestualizzata e problematizzata nello spazio condiviso del sociale, richiamato quale essenziale dimensione esperienziale per intrattenere relazioni significative, capaci di orientare al bene individuale e comune. A ben vedere è proprio questo l’ambito di riferimento privilegiato per dotare di senso l’esistenza delle persone, a partire proprio da quelle coinvolte nella dimensione della marginalità.
E’ dunque in questo medesimo orizzonte che si misura il processo di riconoscimento della condizione degli anziani, che a causa del previsto invecchiamento della popolazione è da considerare non solo come una questione di allungamento – tra l’altro non pienamente valorizzato come si potrebbe e si dovrebbe – ma ancora prima come una sfida culturale, dalla cui ricchezza dei contenuti d’approccio si evince la qualità della civiltà democratica. Bisogna ammettere che a Taurianova – come lascia intendere il giornalista – il quadro situazionale porta con sé antiche e strutturali criticità, tuttora indicanti un microsistema cittadino generante un crescente isolamento delle condizioni di precarietà. Sembrano delinearsi i tratti di una desocializzazione della vecchiaia, a motivo dell’implacabile tendenza – che peraltro sta infragilendo anche i compensativi supporti familiari – a rigettare chi ha difficoltà a inserirsi nei processi produttivi. Si tratta di una logica che assoggetta gli anziani nelle strettoie del bisogno, esponendoli a una crisi strutturale di rappresentanza che li trasforma in esseri umani privi di caratteristiche sociali affermate e riconosciute.
In città d’altra parte essi sembrano distinguersi come figure itineranti, alla ricerca incessante di un luogo, per accorgersi il più delle volte che esso non crea né singole identità né reti di relazioni, ma solo una geografia urbana venata da un disagio e da una solitudine che li etichetta e li inghiottisce come stranianti rimanenze. Tra i vecchi della nostra comunità e il più ampio contesto del presente si è appunto per questo generata una sottovalutata frattura, priva di qualunque sostanziale appartenenza con la quotidianità della vita cittadina, che in ogni caso continua a scorrere freneticamente sulle loro teste, con lo sversamento di un ripetitivo e distogliente fracasso di rituali e di cerimonie. L’immagine di questa sovrapposizione, che in uno spersonalizzante clima si affanna a disporre gli anziani accanto agli altri – lasciandoli, di fatto, in contatto con l’immagine di se stessi – è significativamente colta da Larosa, laddove afferma che essi “sono soli ed estranei, in compagnia senza compagnia”.
Appare in ogni caso interessante il rimando alla valorizzazione del rapporto – che allo stesso giornalista non sfugge – tra la diversità dei vissuti e il divenire della storia locale, che può essere trasformato in una magistrale e feconda risorsa narrativa proprio da coloro che appartengono e vivono la maturità. In modo particolare quest’aspetto non sembra più rinviabile, dal momento che Taurianova paga tra l’altro lo scotto di una difficile ed elaborativa conciliazione tra certi eventi – innanzitutto quelli più drammaticamente violenti – e il trattamento della memoria come fenomeno immediatamente collettivo. Forse la saggezza e la creatività – con la ricchezza dei loro contenuti espressivi – si dovrebbero maggiormente praticare, favorendo percorsi d’incontro e di confronto tra generazioni diverse. E’ da ritenere condivisibile – a partire da queste considerazioni d’insieme – il richiamo a un atteggiamento di maggiore corresponsabilità per la costruzione di un sistema integrato di politiche sociali, capace di pensare a nuove strategie volte a favorire una partecipazione più attiva non solo dei soggetti anziani, ma anche di quanti fossero affetti da varie forme di disabilità.
Una problematica, quest’ultima, che lo stesso Larosa – mostrandosi sollecitato da ulteriori tensioni di cambiamento – inquadra in un successivo intervento, del quale è da condividere l’urgenza di promuovere più appropriate iniziative pubbliche, che possano con prontezza trovare riscontro in politiche coerentemente strutturate. Ci troviamo effettivamente di fronte a un’ulteriore e non meno complessa questione, che ancora oggi rimane sostanzialmente inchiodata nello sfondo di un sistema, che tra l’altro ha determinato l’assommarsi di elementi culturalmente penalizzanti. Nell’immaginario collettivo della comunità, difatti, la configurazione della disabilità sembra sostanzialmente invisibile, non raramente producente risposte distaccate – che oltrepassano le rappresentazioni del quotidiano – oppure è percepita e interpretata come un semplice e accidentale accadimento, segnante in ogni caso una marcata differenza pregiudiziale che impedisce di rimanere al passo con l’immediatezza di tempi e di ritmi.
Sembra fin troppo evidente che la richiesta di assistenza debba essere collocata nell’urgenza di un nuovo quadro di riferimento, dal momento che il dovere di garantire una risposta coordinata e finalizzata non spetta solo alle famiglie, ma anche ai servizi e alle istituzioni. Dalle relazioni familiari nel frattempo continua a giungere un’accorata domanda di aiuto, che ha il diritto di essere ascoltata e accolta, poiché rivela le ragioni di un angoscioso e per niente episodico bisogno, riguardante non solo problemi di prevenzione, ma anche di cure alquanto complesse, come pure di articolati percorsi di riattivazione e di riabilitazione. In gioco c’è il rispetto del valore inviolabile della dignità umana. D’altra parte, l’ipotesi di lettura che emerge dagli interventi di Giuseppe Larosa fa balzare agli occhi il rischio di un indebolimento della struttura comunitaria, derivante dall’incapacità di costruire e conservare un ambiente protetto, disponibile ad assumere in sé le ragioni della vita, in ogni sua specificità e soprattutto in ambiti di realtà – come appunto quello della vecchiaia e della disabilità – in cui sono stati raggiunti livelli di preoccupante emarginazione.