di Maria Teresa Bagalà
Ieri mattina, intorno alle ore 10, in tutta la città di Gioia Tauro è stata visibile una fitta coltre di fumo nero proveniente dal rione Ciambra. Un rione conosciuto in città perché vi risiedono, come in un ghetto, ex rom ai quali sono state affidate dal comune intere palazzine che sono ormai state ridotte allo stato di degrado. Si tratta di una comunità che vive in maniera isolata dal resto della città, dove gli abitanti sono tutti imparentati tra loro ed ancora esistono , come consuetudine nella logica del clan, “matrimoni” tra giovanissimi così come deciso dalle famiglie. Dove l’analfabetismo e l’ignoranza regnano ancora sovrani, e dove ancora non si conoscono i diritti ed i doveri del cittadino, ma soprattutto il rispetto della legge.
Ed è proprio da questo luogo che quasi quotidianamente partono le coltri di fumo scuro simili a quello di ieri. Una fenomeno veramente pericoloso, per il quale gli abitanti che risiedono vicino alle palazzine della Ciambra hanno più volte esposto denunce alle forze dell’ordine, anche a causa del forte odore che viene sprigionato dalle fiamme e che reca problemi alla respirazione. Denunce che però non hanno portato ad alcun risultato in quanto i responsabili puntualmente, dopo aver appiccato il fuoco, spariscono rendendosi introvabili ai militari. Eppure la gravità della situazione renderebbe necessari degli immediati provvedimenti. Ricordiamo, infatti, che le sostanze bruciate dagli ex nomadi sono di tipo pericolose (ruote, carcasse di automobili, e quant’altro…). Un vero e proprio illecito, insomma, che a scadenza quasi regolare, e in maniera del tutto indisturbata, si verifica mettendo a repentaglio la salute pubblica. Il tutto nonostante nel nostro Paese sia stato introdotto l’articolo 256bis, che punisce il reato di “Combustione illecita di rifiuti”. Un articolo che prevede, tra le altre cose che “ chiunque appicca il fuoco a rifiuti abbandonati ovvero depositati in maniera incontrollata è punito con la reclusione da due a cinque anni. Nel caso in cui sia appiccato il fuoco a rifiuti pericolosi, si applica la pena della reclusione da tre a sei anni. Il responsabile è tenuto al ripristino dello stato dei luoghi, al risarcimento del danno ambientale e al pagamento, anche in via di regresso, delle spese per la bonifica”.