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TAURIANOVA (RC), SABATO 11 GENNAIO 2025

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Sequestrato per mafia l’impero del “re dell’eolico”. Blitz da 1,3 miliardi

Sequestrato per mafia l’impero del “re dell’eolico”. Blitz da 1,3 miliardi

| Il 03, Apr 2013

E’ un patrimonio immenso quello di Vito Nicastri, imprenditore siciliano del settore delle energie rinnovabili. Ad agevolare la sua ascesa le “vicinanze” con i boss di Cosa Nostra. Contatti anche con la ‘ndrangheta

Sequestrato per mafia l’impero del “re dell’eolico”. Blitz da 1,3 miliardi: sigilli anche in Calabria

E’ un patrimonio immenso quello di Vito Nicastri, imprenditore siciliano del settore delle energie rinnovabili. Ad agevolare la sua ascesa sarebbero state le “vicinanze” con i boss di Cosa Nostra, a partire dal capo dei capi Matteo Messina Denaro. Contatti anche con la ‘ndrangheta, in particolare con le cosche di Platì, San Luca e Africo

 

 

ROMA – Non un affiliato ma una “pedina fondamentale” della strategia di “sommersione” di Cosa Nostra, tanto da essere citato in uno dei pizzini sequestrati al boss Salvatore Lo Piccolo ed esser considerato uomo vicino al numero uno, Matteo Messina Denaro: la confisca record di beni per oltre 1,3 miliardi chiesta e ottenuta dalla Dia nei confronti del patrimonio di Vito Nicastri – imprenditore leader nel settore della produzione di energia fotovoltaica ed eolica che il Financial Times definì qualche tempo fa ‘il signore del vento’ – è un colpo alla mafia molto più pesante di decine di arresti. Perché l’operazione – al di là delle 43 società, dei 98 immobili, delle auto e imbarcazioni di lusso, degli oltre 66 tra conti correnti, titoli e polizze assicurative confiscate -, dice il direttore della Dia Arturo De Felice che la dedica allo scomparso capo della Polizia Antonio Manganelli, “toglierà benzina alla macchina di Cosa Nostra, che dovrà per forza di cose rallentare”. Nicastri (nei cui confronti è stata disposta la sorveglianza speciale per 3 anni) è, secondo gli inquirenti, un referente delle cosche, alle quali si rivolgeva per accaparrarsi i terreni su cui costruire gli impianti in Sicilia e Calabria in cambio di sub-appalti alle ditte a loro legate. “La sua posizione è stata acquisita grazie alla contiguità consapevole e costante agli interessi della criminalità organizzata”. Ed è l’uomo che, si legge nella sentenza emessa dal tribunale di Trapani, “gestiva i più rilevanti rapporti tra imprese e potere mafioso”. Mantenendo costanti contatti con la politica locale in uno “scenario sconfortante” fatto di “impressionanti condotte corruttive” che vede coinvolti, a vario titolo, l’ex deputato regionale Emanuele Di Betta, diversi funzionari regionali, del Demanio e delle servitù militari. Per descrivere la figura di questo imprenditore partito da una cooperativa agricola, trasformatosi in idraulico ed elettricista per avviare aziende impegnate nella riparazione di impianti e convertitosi poi all’installazione e progettazione di impianti per le energie alternative fino a diventare leader nel settore, il tribunale sottolinea la “certosina ricostruzione” effettuata dalla Dia, che ha fornito “innumerevoli elementi” nei suoi confronti. A partire dai rapporti con i mafiosi di Alcamo, raccontati dal collaboratore Giuseppe Ferro: “io ne ho parlato con Bagarella – dice agli inquirenti – e gli ho detto a me questo può servire”. Sono gli anni ’90 e i fratelli Nicastri, sostengono gli investigatori, hanno capito bene che la protezione della mafia è fondamentale per i loro affari. Così si mettono a disposizione. “Il compendio indiziario raccolto – si legge nella sentenza – dimostra univocamente ‘l’appartenenzà del Nicastri a Cosa Nostra…non è certamente un affiliato, ma dalle acquisizioni processuali emerge la figura di un imprenditore che non disdegna di entrare in rapporti con le imprese mafiose e di assicurare alle cosche l’ottenimento di lauti guadagni”. Il suo ruolo insomma “consiste nel fornire una facciata legale ai rapporti inconfessabili tra la grande imprenditoria e le cosche mafiose”. Le indagini hanno, tra l’altro, documentato i rapporti tra Nicastri e Mario Scinardo, personaggio ritenuto vicino alla famiglia mafiosa dei Mistretta di Rampulla. I loro nomi compaiono in uno dei pizzini sequestrati nell’abitazione dove fu arrestato Salvatore Lo Piccolo: “Nicastro di Alcamo, continuare con Scinardo, escludere fratelli Severino. Ok!” si legge. Secondo gli investigatori il pizzino è riconducibile ad Andrea Adamo, reggente del mandamento di Brancaccio, e riguarderebbe i rapporti tra le cosche palermitane e quelle catanesi per il parco eolico di Mineo, realizzato proprio da Nicastri. Non ci sono invece “rapporti documentali” del legame tra l’imprenditore e Messina Denaro, dice De Felice, ma in un’intercettazione ambientale Nicastri fa il nome di Santo Sacco. Quest’ultimo è stato recentemente arrestato poiché considerato favoreggiatore del numero uno di Cosa Nostra e il collaboratore Vincenzo Ferro lo ha indicato come “persona strettamente legata a Messina Denaro in quanto lo stesso si sarebbe adoperato per recapitare al latitante messaggi alla famiglia mafiosa di Alcamo”. E d’altronde era proprio Nicastri ad essere consapevole, per via delle sue frequentazioni, di “rischiare grosso”: “quando è così l’avemu nò culu!” è stato il suo commento, intercettato, quando ha avuto la notizia degli accertamenti della Dia sui suoi movimenti bancari.

 

 

Viene descritto come il più consistente sequestro di tutti i tempi: un patrimonio da 1,3 miliardi bloccato ad una sola persona, il “re dell’eolico” Vito Nicastri, 57 anni, imprenditore di Alcamo (Trapani), attivo nel settore dell’energia rinnovabile. All’uomo è stata imposta la sorveglianza speciale per tre anni, con obbligo di soggiorno ad Alcamo. Il patrimonio che gli è stato confiscato comprende 40 società, immobili e disponibilità finanziarie. Secondo gli inquirenti, Nicastri era vicino a diversi personaggi mafiosi tra i quali il capo dei capi, il ricercato numero uno Matteo Messina Denaro.

E le ramificazioni dell’impero di Nicastri dalla Sicilia sconfinavano fino in Calabria, dove pure sono stati apposti sigilli. E poi in Lombardia e nel Lazio. Ma è soprattutto nel Sud che sarebbe brillata la sua ascesa economica, agevolata, secondo le indagini, dalla “vicinanza ai più noti esponenti mafiosi” che avrebbero “favorito la sua trasformazione da elettricista a imprenditore specializzato nello sviluppo di impianti di produzione elettrica da fonti rinnovabili, facendogli assumere una posizione di rilievo nelle regioni del Meridione”.

Le indagini economico-finanziarie, condotte dalla Dia, hanno consentito, secondo l’accusa, di stabilire che la posizione di vertice nel settore dell’energia alternativa da parte dell’imprenditore è stata acquisita grazie alla “contiguità consapevole e costante agli interessi della criminalità organizzata”. Nicastri secondo la Direzione investigativa antimafia “attraverso una tumultuosa dinamica degli affari ha intrattenuto rapporti anche con società lussemburghesi, danesi e spagnole”.

IL PATRIMONIO CONFISCATO 

I beni confiscati all’imprenditore Vito Nicastri, re delle fonti di energie rinnovabili in Sicilia, su ordine del tribunale di Trapani, che erano stati sequestrati nel settembre 2010, sono 43 tra società e partecipazioni societarie; 98 immobili (palazzine, ville, magazzini e terreni); 7 beni mobili registrati (autovetture, motocicli ed imbarcazioni); 66 disponibilità finanziarie (rapporti di conto corrente, polizze ramo vita, depositi titoli, carte di credito, carte prepagate e fondi di investimento), per un valore di un miliardo e trecento milioni. Alcuni beni erano intestati a familiari o a persone vicine a Nicastri. Le indagini della Dia avrebbero ricostruito “il fitto reticolo patrimoniale degli ultimi trent’anni facendo rilevare l’esistenza di una consistente sperequazione tra i beni posseduti ed i redditi dichiarati”. Nicastri realizzava e vendeva, chiavi in mano, parchi eolici o fotovoltaici. Secondo l’accusa l’imprenditore era vicino a esponenti mafiosi di varie province: Palermo, Catania, Messina, e aveva avuto contatti con la ‘ndrangheta calabrese, in particolare con le ‘ndrine di Platì, San Luca ed Africo del reggino.