“Il carcere di Reggio Calabria? “E’ il più difficile d’Italia”
redazione | Il 26, Giu 2013
Calabria on web intervista la direttreice del penitenziario Maria Carmela Longo
“Il carcere di Reggio Calabria? “E’ il più difficile d’Italia”
Calabria on web intervista la direttreice del penitenziario Maria Carmela Longo
REGGIO CALABRIA – Il carcere di Reggio Calabria? “E’ il più difficile d’Italia. E’ una città in continuo movimento”. Lo afferma Maria Carmela Longo, direttrice del carcere da dieci anni, che, in un’intervista a “Calabria on web” (www.calabriaonweb.it), il magazine del Consiglio regionale, chiede allo Stato di offrire soluzioni preventive alla sofferenza umana e non di intervenire solo dopo la commissione dei reati. “La prevenzione – dice – sgraverebbe la società dai costi enormi del sistema in cui, proprio a causa del sovraffollamento, si affievoliscono le reali possibilità di applicazione del principio costituzionale di rieducazione”. Il carcere di Reggio nasce nel 1930, secondo i canoni dell’epoca, “con pochissimi spazi per le attività in comune ed ha risentito fortemente, soprattutto negli ultimi anni, della consistente attività giudiziaria e delle forze di polizia. La quasi totalità delle donne sono detenute in sezioni di istituti per uomini. Il che è fortemente penalizzante perché l’istituto penitenziario nasce ed è concepito per l’uomo. La donna ha ben altri bisogni. Ma anche nell’accesso ai benefici le donne devono pagare un prezzo doppio. Il sistema dell’accesso al mondo del lavoro è rivolto prevalentemente al maschile. Tant’é che qui solo due donne hanno usufruito di misure alternative”. E’ un carcere sovraffollato quello di Reggio? “Siamo – chiarisce a Valeria Bellantoni che la intervista – oltre la capienza ottimale e tollerabile. E non è tanto un problema di spazio vitale a disposizione, ma anche di forte rallentamento dei servizi. Con l’aggravante dell’ambiente in cui il carcere si inserisce. Reggio, pur essendo la mia città, è difficile. Nessun mio predecessore è rimasto più di due anni. Io stessa ho chiesto di essere trasferita, ma mi è stato risposto di no. Lo stesso spessore dei detenuti è di non poco conto. La ‘ndrangheta reggina e’ la prima in assoluto. Qui abbiamo anche persone e situazioni che sono particolarmente osservate dalle forze dell’ordine, dalla magistratura, dalla stampa, dall’opinione pubblica”. Perplessità suscita la concreta applicazione della pena come recupero: “L’altro giorno il ministro è stato in visita al carcere di Bollate. Lì veramente si applica il principio costituzionale. Perché la struttura lo consente, perché c’é una rete istituzionale che lo consente. Il nostro ordinamento parla di riabilitazione, affidando il compito non all’amministrazione penitenziaria, ma all’intera società. O c’é il contributo di tutte le forze, oppure non è realizzato il principio. Ci sono dei contesti territoriali dove é possibile. Ma anche in Calabria lo abbiamo avuto e mi riferisco al carcere di Laureana di Borrello. Perché lì le istituzioni, le associazioni, la Chiesa hanno realizzato una rete efficace che ha consentito di portare avanti un modello unico. Non in Italia ma in Europa”. “Il carcere – afferma la Longo – ospita una fetta di persone cha hanno compiuto una scelta di vita, il crimine. Di fronte a quella scelta lo Stato risponde adottando un regime consequenziale, che si chiama carcere duro. Ma in carcere la maggior parte delle persone sono imputate, devono ancora essere giudicate e non è detto che siano colpevoli. Poi c’é un’altra grossa fetta che è rappresentata da tossicodipendenti, stranieri emigrati, soggetti con gravi patologie di natura psicologiche per non dire psichiatriche, emarginati. Il carcere é diventato il contenitore di tutto il complessivo disagio sociale. La problematica immigrazione ha il carcere come unica soluzione. Così come la tossicodipendenza, la povertà. C’é uno stato sociale che non offre soluzioni, e si risponde con il carcere perché il carcere è ‘aperto’ a tutti”. La direttrice parla di “crisi del sistema penitenziario in Italia, perché se é vero che la maggior parte dei detenuti è imputato è perché i processi vanno a rilento. Allora, è lì la causa del problema. Manca in Italia una linea di indirizzo politico preventivo e risolutivo del problema. In Italia non sono state trovate strade e percorsi praticabili per risolvere il problema dell’immigrazione ed abbiamo concepito i centri di prima accoglienza che, se possibile, sono peggio delle carceri, o il carcere. Una delle criticità è determinata proprio dalla presenza degli stranieri. Sono aumentate le evasioni. Sono aumentati i gesti di autolesionismo o i tentativi di suicidio”. “Predichiamo la libertà – dice la direttrice – facendo leva sul nostro fondamento cattolico. Ma siamo un popolo di forcaioli che si fa facilmente condizionare dai giudizi di un’informazione massificata. Siamo fortemente condizionati anche dal modo in cui si presentano le notizie, dalla ricerca del torbido, dal desiderio di punire e vendicarsi a tutti i costi. Basta pensare alle modalità in cui viene data la notizia di un arresto e la modalità in cui viene data, se viene data, la notizia di un rilascio o di un assoluzione. Noi diciamo che chiunque può fare una scelta e cambiare. Ma cambiare da soli, senza avere gli strumenti di rielaborazione di un vissuto e di una sana progettazione futura, non si può”. Sulla legislazione statale che prevede il reinserimento nel mondo del lavoro, la Longo dice “ma lo Stato non assume persone con il certificato penale macchiato”.