“Rosso”, ecco il sesto capitolo del libro di Mario Aloe
redazione | Il 10, Feb 2014
Ogni lunedì pubblicheremo un capitolo dell’avvincente romanzo sulla nave dei veleni dello scrittore di Amantea. Ecco il sesto
“Rosso”, ecco il sesto capitolo del libro di Mario Aloe
Ogni lunedì pubblicheremo un capitolo dell’avvincente romanzo sulla nave dei veleni dello scrittore di Amantea. Ecco il sesto
18 DICEMBRE 1995, VIALE TRIESTE ORE 10:30
L’autorità indipendente non aveva aggiunto molto a ciò che già sapeva; in compenso erano stati guardinghi, senza, però, tralasciare nulla.
Il loro compito era di certificare l’idoneità delle navi, dei sistemi di sicurezza, degli impianti e i loro protocolli d’intervento erano dettagliati, minuziosi, ma il loro compito poteva paragonarsi a quello degli uffici della motorizzazione per la revisione periodica delle automobili.
Gli scappò un sorriso a pensarci: “Tutti conosciamo l’accuratezza delle operazioni di revisione, ma sappiamo anche che abbiamo appena fatto mettere a punto la nostra auto. Le approntiamo per superare il test e la stessa cosa doveva avvenire per le imbarcazioni”.
Il più delle volte le navi affondate erano delle carrette per le quali gli armatori incassavano anche il premio assicurativo, a lui interessava il loro carico e chi poteva indagare non erano certamente i tecnici, i certificatori della qualità dei mezzi.
In pochi casi essi avevano riscontrato dei valori difformi e la presenza di radio, cesio e solfati, ma riguardavano i cassoni e mai il carico.
Si poteva supporre che avessero trasportato qualcosa di compromettente, ma rimaneva un pensiero e al dubbio sorto non seguiva mai la prova.
Per completare la beffa ad alcune navi era stato rilasciato il certificato di qualità anche sul carico, certificato non obbligatorio, ma volontario. Ci si trovava di fronte alla perfezione che classificava l’impresa come eccellente.
In questi casi le compagnie di assicurazioni non potevano obiettare nulla e dovevano sganciare il grano in presenza di tanta qualità e certezza.
I Lloyd’s di Londra non si erano fidati ed avevano avuto da ridire sull’ Orione. Infatti era stata una loro denuncia a fare aprire l’inchiesta, conclusasi con la condanna degli armatori,
per l’accertato autoaffondamento, mentre per la Michigan colata a picco a largo di Vibo Valentia nell’ottobre del 1986 e la Marco Polo nel Canale di Sicilia nulla era emerso, sebbene la loro fine avesse seminato tanti dubbi. Oltre ai dubbi era rimasta la consapevolezza popolare che questi carghi erano carichi di sostanze tossiche.
Solo per la Maria Luisa, affondata a largo di Molfetta in Puglia, era stato possibile accertare l’imperizia del capitano, mentre negli altri casi l’incidente era avvenuto all’improvviso lasciando spazio a ragionevoli dubbi.
Era arrivato sulla passeggiata Gramsci, la giornata era radiosa e si avvertiva il freddo, ma il sole, lentamente, stava rendendo l’aria mite.
Sedette su una panchina ad ammirare il mare. Il mare dei porti gli causava, sempre, malinconia. L’idea della partenza era accoppiata al non ritorno o ad arrivi incerti in terre lontane e in luoghi che non sarebbero mai diventati delle patrie.
La cura del verde era perfetta: aiuole piene di fiori, erba rasata alla stessa altezza ti comunicavano una piacevole sensazione di ordine. L’Amministrazione della città insieme al senso civico dei suoi abitanti avevano reso lo spazio circostante un salotto.
Aspettava Chiara e la sindacalista, gli avevano fissato un incontro con alcuni operai del porto.
Le vide arrivare infreddolite, giovani e belle. Amava osservare l’andatura delle donne, fermarsi e sognare mentre immaginava le loro storie individuali, le speranze e i desideri che le attraversavano e le ancoravano alla vita. Il film di Truffaut, L’uomo che amava le donne gli si affacciò nella mente e un lampo di gioia gli si accese negli occhi.
«Il tuo pezzo sul giornale è fenomenale, la città ne parla: in piazza e nei bar è l’argomento del giorno». Chiara era solare e contenta.
«Ci è piaciuto il richiamo alle ombre: mi hai rubato la frase, ma ti perdono perché hai suscitato un bel casino. Non tutti la pensano come te e dubitano della fondatezza dei fatti, ma tanti si chiedono preoccupati cosa fare. Non credere che i protagonisti del malaffare si muovano all’impazzata: staranno
attenti e, per il momento, cercheranno il silenzio e il buio. È loro interesse non esporsi e così non attirare l’attenzione: non sono, di sicuro, dei principianti».
«Sono riuscita a parlare con i compagni del molo b, si sono dimostrati riluttanti a farsi intervistare: hanno paura delle possibili ritorsioni. Non è un bel periodo e chi perde il lavoro fa fatica a trovarne uno nuovo».
Sara era indecisa lei stessa, Totò si rendeva conto che non era per niente semplice mettere sotto accusa le imprese, aprire fronti di conflitto nuovi e dagli esiti incerti.
«Parleranno con te, ma devi garantirci che manterrai l’anonimato e non assocerai la storia al molo, almeno non tramite loro. Non pensare che si tratti soltanto di paura, sebbene mi sembri inutile negare che ci sia, è, soprattutto, la preoccupazione per la possibile chiusura del molo che li angustia».
«Cercherò di fare del mio meglio».
«Non basta, devi promettere – era di nuovo Chiara a parlare – e non deve essere una promessa da marinaio.
Ho assicurato Sara sul fatto che di te ci si può fidare dicendole che non sei il solito giornalista arrivista, che non guarda in faccia nessuno per raggiungere i propri fini. Non mi deludere facendo lo stronzo».
Era stata più chiara del suo nome, non erano amici, ma pensava di averlo inquadrato, letto nell’animo ed era sicura di aver colto la sua essenza: lo sguardo della donna era fiducioso.
Anche senza di lei avrebbe mantenuto il riserbo. Capiva l’incertezza degli uomini che avrebbe incontrato e non li avrebbe coinvolti in una disputa, con il rischio di isolarli dai compagni di lavoro.
«Mi sono reso conto di aver colto nel segno, con il mio articolo, nell’incontro di stamani sono stati prudenti, con il desiderio di rimanere estranei alla vicenda e di mettere distanza
tra il proprio operato e quello che avviene nel porto. Ho avuto la percezione che anche loro pensino che qualcosa non vada e che l’illecito sia presente».
Nella sede della cooperativa li aspettavano due uomini, persone comuni, sulla quarantina, operatori di cooperative di lavoro. Appresero, dalle loro parole, con sorpresa, che molti
carichi avvenivano di notte e che i cassoni erano pieni di lastre di cemento e coperti da granulato di marmo.
Non capivano il perché riempissero i container con materiali così poco pregiati per poi trasportali a migliaia di chilometri di distanza e molte volte fino in Africa: che convenienza c’era?
Neanche lui capiva.