La “mission impossible” di Matteo Renzi
redazione | Il 01, Mar 2014
Editoriale di Bartolo Ciccardini
La “mission impossible” di Matteo Renzi
Editoriale di Bartolo Ciccardini
Sono stupito e spaventato della grande ondata di critiche che si è abbattuta
su Matteo Renzi. Ha cominciato Eugenio Scalfari che qualche settimana fa
aveva scritto una sorta di endorsement in favore del nuovo segretario del
PD, subito corretto con un irritato articolo di condanna che ricordava la
polemica contro il peggior Berlusconi. Al momento della investitura di
Napolitano, Scalfari sembrava essersi arreso di fronte alla necessità, per
ricadere poi in un giudizio che assomigliava più ad un pregiudizio, che non
ad un ragionamento.
Alcune critiche sono giustificate, altre sono inevitabili, ma il tono acceso
ed il disprezzo non si capiscono. Le critiche sia di sinistra, sia da
destra sono, con una certa incoerenza rivolte a dati di costume: la
giovinezza, la sfacciataggine, l’inesperienza, l’accento fiorentino (la
favella toscana, ch’è sí sciocca nel manzonismo de gli stenterelli ), le
mani in tasca, l’i-pad, la fretta, la velocità, i sogni.
Ma come è possibile? Non erano queste le qualità della giovane generazione?
Non era quello che sapeva parlare al cuore delle persone del suo partito?
Non era il documentatissimo studioso dei fenomeni sociali e politici della
Leopolda?
L’accusa più pesante? Renzi sarebbe antidemocratico. Un carattere
autoreferenziale potrebbe anche averlo, ma ricordiamoci che solo un anno fa
ha perduto delle elezioni primarie, ha fatto doverosamente un passo indietro
(e perfino uno dei discorsi politici più belli degli ultimi trenta anni),e
si è rimesso a fare il Sindaco come doveva. Infine l’accusa più devastante e
fratricida: quella di essere un piccolo Berlusconi che per un’incoercibile
simpatia si è alleato con Berlusconi.
Ma il precedente governo non era basato su un accordo con Berlusconi, voluto
e certificato da Napolitano? Ma la speranza ambiziosa di una nuova legge
elettorale non auspicava un accordo anche con le opposizioni per
realizzarsi? Perché quello che sembrava necessario dieci mesi fa è oggi
diventata una nefandezza morale?
Fra i tanti rimproveri il più giustificato sembra essere quello di aver
pugnalato Letta. Credo che tutti siamo rimasti un po’ colpiti da quella
serie drammatica di eventi: l’annuncio della riunione della direzione del
PD, il colloquio con Napolitano, l’approvazione della svolta a grande
maggioranza del PD, l’investitura di Napolitano, la più rapida conclusione
della formazione di governo e della fiducia, che la storia repubblicana
ricordi. È stato tutto facile, fatale, veloce, da sembrare persino brutale.
(Io stesso ho narrato, di aver scritto un articolo sulle ragioni per le
quali Renzi non avrebbe fatto cadere il governo Letta e di averlo dovuto
buttare, superato dagli eventi!)
Noi tutti ci siamo chiesti se questa fretta era nel carattere di Renzi o nel
giudizio di Napolitano, o semplicemente nelle cose. Non c’è dubbio che il
passaggio era prevedibile, e forse necessario, dopo l’accordo con Berlusconi
sulla legge elettorale. Era la stessa legge elettorale che il Ministro
Quagliarello rimaneggiava da mesi dichiarando apertamente che non aveva
nessuna intenzione di portarla a termine, che si imponeva per necessità.
Forse non è azzardato dire che è stato il mancato zelo a fare la legge
elettorale che in realtà ha pugnalato Letta.
Infine, più stupefacente di tutte, la opposizione della minoranza del PD.
Civati ondeggia fra voto di fiducia e scissione. Fassina annuncia il
comportamento tipico dei partecipanti al gioco “Affari tuoi”, quello di
andare “pacco per pacco”, né più né meno di quello che annuncia la Lega.
L’incontro fra Bersani e Letta che doverosamente si recano a votare, che
sarebbe stato un’icona della disciplina repubblicana, diventa un simbolo
della libertà conculcata, a causa di disgraziate, insopportabili, maledette
e fascistissime primarie.
A questo punto succede in tutti qualcosa di straordinario. Scalfari scrive:
“Speriamo che Renzi ce la faccia, per il bene dell’Italia”; Bersani dice con
generosità: “Aiutiamolo, ne ha bisogno!”; tutti gli oppositori dicono: “E’
l’ultima risorsa. Dopo di lui c’è Grillo!”. Ma come è possibile? Se questo è
vero ed io credo che lo sia, come mai c’è un’ondata così foriera di
sciagure, che trova Renzi insopportabile?
Ieri si è tenuta a Roma, al solito ed indispensabile Istituto Sturzo, una
riunione affollata e commossa a causa degli avvenimenti che ho cercato di
descrivere . Il tema sembra letterario, filologico, archeologico eppure è un
tema scottante: quello riassunto dalla famosa questione centro-sinistra o
centro sinistra (senza trattino).
Ricorderò per i disattenti che, nella gestazione dell’Ulivo, ci furono due
correnti di pensiero, di per sé non molto distanti, ma per forza di cose
distanti negli obiettivi futuri. La questione era se il centro sinistra
fosse una nuova formazione politica o se invece fosse un’alleanza fra due
gruppi, due identità che si alleavano su un programma politico di attualità,
rimanendo divise. Appunto: il centro-sinistra (col trattino).
Follini nell’esporre il problema ricorda una definizione del centro che fu
di Cossiga: “Distinto dalla sinistra e distante dalla destra”. Nello stesso
tempo ricorda la difficoltà del centro di collaborare con una sinistra
assediata da quello che Lenin chiamava “la malattia infantile
dell’estremismo”. L’Italia, paese antico, conservatore per necessità
storica, paralizzato dalle pur tuttavia splendide sedimentazioni delle sue
troppe culture, si muove solo con il connubio (come lo chiamò Cavour) del
centro avveduto e riformatore con la sinistra colloquiante e progressiva.
Fu l’arma di Cavour, fu la soluzione post-risorgimentale di De Pretis, fu il
tentativo riformista di Giolitti (a cui non mancò il soccorso dei redivivi
cattolici), fu il Centro-sinistra, la grande operazione politica della prima
Repubblica, condotta in porto da Rumor, fu il grande tentativo di Moro che
Rodano aveva chiamato con fantasia “compromesso storico”. Tutti i periodi di
crescita e di avanzamento sono nati con questo metodo. Tutte le catastrofi
italiane sono nate dal fallimento di questo metodo.
Il fallimento è sempre provocato dalla natura “padrona” di una destra con la
mentalità degli eserciti d’occupazione stranieri che per secoli governarono
l’Italia, che può vincere solo per il terrore causato da un sinistra
terrorista.
Quando centro riformista e sinistra di governo non trovano l’accordo,
emergono i Crispi, con la catastrofe di Adua, i nazionalisti con la guerra
di Tripoli, i fascisti con la loro violenza paramilitare. Il processo di
sviluppo italiano promosso dal Centrosinistra fu interrotto con l’assassinio
di Moro, a cui seguì una lunga malattia incurata ed incurabile, a cui non
bastò la rivoluzione del 1992. Al fallimento del centro-sinistra che si
chiamò Ulivo, succedettero Berlusconi e la sua catastrofe economica. La
storia ama ripetersi.
A Renzi si chiede una “mission impossible”: fare un sinistra-centro in un
periodo in cui non esiste più il centro, per il cedimento dei cattolici
sedotti dalla destra. Ciononostante Renzi ce la deve fare, con i suoi meriti
e con i suoi difetti.
Bartolo Ciccardini