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TAURIANOVA (RC), LUNEDì 25 NOVEMBRE 2024

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Linguaggio e comunicazione, l’altra forma di censura: il politicamente corretto Editoriale di Antonio Giangrande

Linguaggio e comunicazione, l’altra forma di censura: il politicamente corretto Editoriale di Antonio Giangrande
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Il mondo è una community sui social network. Nessuno comunica più
fisicamente. L’anonimato sui social ci protegge. Fisicamente non ci rimane
che comunicare a gesti, oppure conformarsi al politicamente corretto di
sinistra o al bacchettone bigotto di destra.

Riportiamo l’opinione del Dr Antonio Giangrande, sociologo storico e noto
saggista, autore della collana editoriale “L’Italia del Trucco, l’Italia che
siamo”.

La virtualizzazione della società si fa sentire in molti aspetti della
nostra vita quotidiana. Uno degli ambiti in cui è più presente, e spesso ha
effetti più limitanti, è quello della comunicazione fra mezzi d’informazione
e pubblico, fra istituzioni e cittadini, fra cittadini e altri cittadini.

Era della comunicazione dove non comunichiamo. Questo paradosso la dice
lunga e ci avverte che non si ascolta più, si parla e basta.

Leggiamo sui giornali o ascoltiamo in televisione, morto per overdose…, si
uccide perché va male a scuola, bambino di tre anni ucciso in circostanze
misteriose,…, figli che uccidono i genitori, madri che uccidono i figli e
quel che è incredibile è che le persone si stanno abituando ai fatti
negativi. Divenendo negativi essi stessi. Abitudine che potrebbe essere la
punta di un iceberg, dove sotto c’è un vuoto di valori causato anche da una
generazione che è riuscita a mettere in discussione tutto e il contrario di
tutto.

Sono andati in crisi le istituzioni, la chiesa, la famiglia, la scuola, il
mondo del lavoro e siamo senza un collante per regole e certezze e la
community virtuale è la nostra isola felice dove sfogarci.

Ci indaffariamo a cercare amici sui social e ad aumentarne il numero sui
nostri profili per avere visibilità e proseliti, per poi scoprire che
proprio amici non sono. Ostilità od indifferenza sono le loro
caratteristiche. Le nostre caratteristiche, perchè loro siamo noi.

Recentemente, ci sono stati diversi casi di chiusura di account legati a
minacce ed offese sui principali social network. Non ultimo, il direttore
del TG di La7, Enrico Mentana, che ha deciso di cancellare il proprio
profilo Twitter a causa di continui insulti. Personaggi noti, del mondo
dello spettacolo e non, denunciano quasi quotidianamente questo fenomeno
dilagante. Insulti gratuiti, minacce, gravi offese e istigazioni alla
violenza di ogni genere. C’è un po’ di tutto nei social network più famosi.
Chiunque, sui social network, inserisce ciò che vuole: considerazioni su
politica, personaggi dello spettacolo, link divertenti, video divertenti,
fotografie, aggiornamenti di stato….

Questo popolo social ciarlante ed imperito, spesso, vuol far politica……

Il paradosso è che il potere si difende punendo questi comportamenti, con
l’intento di renderci tutti conformisti.

Conformista come già cantò Giorgio Gaber

“Io sono un uomo nuovo, talmente nuovo che è da tempo che non sono neanche
più fascista.

Sono sensibile e altruista, orientalista ed in passato sono stato un po’
sessantottista.

Da un po’ di tempo ambientalista, qualche anno fa nell’euforia mi son
sentito come un po’ tutti socialista.

Io sono un uomo nuovo, per carità lo dico in senso letterale.

Sono progressista, al tempo stesso liberista, antirazzista e sono molto
buono, sono animalista.

Non sono più assistenzialista, ultimamente sono un po’ controcorrente, son
federalista.

Il conformista è uno che di solito sta sempre dalla parte giusta.

Il conformista ha tutte le risposte belle chiare dentro la sua testa, è un
concentrato di opinioni che tiene sotto il braccio due o tre quotidiani e
quando ha voglia di pensare, pensa per sentito dire.

Forse da buon opportunista, si adegua senza farci caso e vive nel suo
paradiso.

Il conformista è un uomo a tutto tondo che si muove senza consistenza.

Il conformista s’allena a scivolare dentro il mare della maggioranza, è un
animale assai comune che vive di parole da conversazione.

Di notte sogna e vengon fuori i sogni di altri sognatori, il giorno esplode
la sua festa che è stare in pace con il mondo e farsi largo galleggiando.

Il conformista, il conformista.

Io sono un uomo nuovo e con le donne c’ho un rapporto straordinario, sono
femminista

Son disponibile e ottimista, europeista, non alzo mai la voce, sono
pacifista.

Ero marxista-leninista e dopo un po’ non so perché mi son trovato
cattocomunista.

Il conformista non ha capito bene che rimbalza meglio di un pallone.

Il conformista aerostato evoluto, che è gonfiato dall’informazione, è il
risultato di una specie che vola sempre a bassa quota in superficie, poi
sfiora il mondo con un dito e si sente realizzato.

Vive e questo già gli basta e devo dire che oramai somiglia molto a tutti
noi.

Il conformista, il conformista.

Io sono un uomo nuovo, talmente nuovo che si vede a prima vista sono il
nuovo conformista.”

Non so più dove girarmi. Giornali on line e non, social network, radio,
tv…Non c’è scampo: il buonismo dilaga ovunque. Un buonismo fintissimo:
quello politicamente corretto.

Perché oggi, in Italia, se critichi qualsivoglia malvivente sei razzista (se
è straniero).

Sei intollerante (se è italiano).

Sei sessista (se è un uomo e tu una donna, e viceversa).

Sei cattivo (se è un essere umano).

Dobbiamo essere tutti bravi, altruisti e generosi. Comprensivi, giusti e
dalla mente aperta. Certo che dobbiamo! Ma non significa certo che dobbiamo
anche giustificare tutto e tutti o conformaci alla cultura mediatica che va
per la maggiore.

Potremmo esprimere il nostro pensiero con un linguaggio che nel gergo
quotidiano è consentito, mentre se diffuso a mezzo stampa è definito
scorretto?

Potremmo esprimere un’opinione, senza essere tacciati come discriminatori?

La discriminazione consiste in un trattamento non paritario attuato nei
confronti di un individuo o un gruppo di individui in virtù della loro
appartenenza ad una particolare categoria. Alcuni esempi di discriminazione
possono essere il razzismo, il sessismo, lo specismo e l’omofobia.

L’espressione politicamente corretto (traduzione letterale dell’inglese
politically correct) designa una linea di opinione e un atteggiamento
sociale di estrema attenzione al rispetto generale, soprattutto nel
rifuggire l’offesa verso determinate categorie di persone. Qualsiasi idea o
condotta in deroga più o meno aperta a tale indirizzo appare quindi, per
contro, politicamente scorretta (politically incorrect). L’opinione,
comunque espressa, che voglia aspirare alla correttezza politica dovrà
perciò apparire chiaramente libera, nella forma e nella sostanza, da ogni
tipo di pregiudizio razziale, etnico, religioso, di genere, di età, di
orientamento sessuale, o relativo a disabilità fisiche o psichiche della
persona.

Insomma, politicamente corretto significa ipocrisia.

“L’ipocrisia è il linguaggio proprio della corruzione”. Lo afferma Papa
Francesco, nell’omelia durante la messa mattutina celebrata nella cappella
della Domus Santa Marta in Vaticano, presenti fra gli altri i vertici della
Rai, con la presidente Anna Maria Tarantola e il direttore generale Luigi
Gubitosi. “L’ipocrisia – sottolinea il Papa, facendo riferimento alla pagina
del Vangelo sulla domanda dei farisei sulla liceità del tributo da dare a
Cesare – non è un linguaggio di verità, perché la verità mai va da sola,
mai, ma va sempre con l’amore. Non c’è verità senza amore, l’amore è la
prima verità e se non c’è amore non c’è verità”. I farisei, gli ipocriti,
“vogliono invece una verità schiava dei propri interessi; l’amore che c’è è
quello di se stessi e a se stessi: quell’idolatria narcisista li porta a
tradire gli altri, li porta agli abusi di fiducia”. Francesco punta il dito
sui falsi amici che “sembrano tanto amabili nel linguaggio”, sui “corrotti
che con questo linguaggio cercano di indebolirci”. Infatti, “gli ipocriti
che cominciano con la lusinga, con l’adulazione, finiscono cercando falsi
testimoni per accusare chi avevano lusingato. Il nostro linguaggio –
conclude il Papa – sia il parlare dei semplici, con anima di bambini, il
parlare in verità dall’amore”.

Il politicamente scorretto è tale, però, ad intermittenza.

Sto pensando agli epiteti che sono stati lanciati ad Andreotti sulla sua
scoliosi, a Berlusconi o Brunetta per la loro altezza, Alfano per il suo
viso… etc. La scusa sciocca della satira non basta: anche al sesso
maschile (o femminile purchè del campo avverso) vengono riservate
considerazioni sgradevoli. Vogliamo fare una carrellata che non ha
scandalizzato stranamente nessuno?

“Condoleezza [Rice], con quelle guancette da impunita, è la leader maxima
delle donne-scimmia” (Lidia Ravera, L’Unità, 25 ottobre 2004).

“Di sicuro [il Ministro Gelmini] non è un essere umano. Dovremmo chiamare i
professori di chimica per capire che cos’è” (Andrea Camilleri).

“Se dopo De Nicola, Pertini e Fanfani, ci ritroviamo con Schifani, sono
terrorizzato dal dopo: le uniche forme residue di vita sono il lombrico e la
muffa. Anzi, la muffa no perché è molto utile” (Marco Travaglio).

Appari politicamente scorretto, anche se non lo sei? Scatta l’invettiva,
secondo l’accusa dei giornalisti, anche per frasi o comportamenti innocenti.

L’invettiva razzista. Il caso forse più noto tra quelli registrati, però,
riguarda la televisione. Si tratta della vicenda che ebbe per protagonista
Paolo Bonolis il quale, nel corso della trasmissione di Canale 5 “Avanti un
altro” ebbe la infelice idea di travestirsi da domestico filippino e di
esibirsi in una gag che scatenò la reazione indignata della comunità
filippina in Italia, stufa di essere considerata alla stregua di
un’associazione di camerieri e di donne di servizio. Romulo Sabio Salvador,
consigliere aggiunto di Roma Capitale, a nome dei suoi connazionali scrisse
una lettera indignata a Mediaset, all’Agcom e, appunto, all’Unar. Tavecchio
ha dichiarato: «Le questioni di accoglienza sono un conto, le questioni del
gioco sono un altro. L’Inghilterra individua i soggetti che entrano, se
hanno professionalità per farli giocare. Noi, invece, diciamo che Opti Poba
– dice inventando un nome – è venuto qua, che prima mangiava le banane,
adesso gioca titolare nella Lazio. E va bene così. In Inghilterra deve
dimostrare il suo curriculum e il suo pedigree» Tavecchio è stato punito dai
media, dalla UEFA e dalla FIFA.

L’invettiva omofoba. Eziolino Capuano, allenatore dell’Arezzo (Lega Pro),
«Prendere gol in superiorità numerica al 90’ è vergognoso, non lo accetto»,
ha detto a Radio Groove dopo la sconfitta di Alessandria degli amaranto, e
prima di esplodere: «Se avessero perso in maniera diversa non avrei detto
nulla, però in campo le checche non vanno bene. In campo devono andare gli
uomini con le palle e non le checche» Capuano è stato crocifisso dai
giornali. Ormai la lobby gay in Parlamento non solo mira ad avere un
matrimonio tutto loro ed avere figli non loro, ma sulla comunicazione comune
vieta ogni parola riferita alla loro condizione sessuale. Più per gli
uomini. Ormai è vietato dire quelli dell’altra sponda, quelli dell’altra
parrocchia e poi frocio, ricchione, finocchio, culo, culattone, culano,
culatino, bucaiolo, buso o busone, bardassa o bardascia, buggerone, checca,
cupio, garrusu, invertito, gay, urningo o uraniano, femminello,
mezzafemmina, pederasta, sodomita, invertito, pigliainculo.

L’invettiva sessista. Il settimanale diretto da Alfonso Signorini pubblica
quattro fotogrammi rubati del ministro mentre mangia un gelato con il titolo
“ci sa fare con il gelato” e l’Ordine dei giornalisti apre un procedimento.
“Uno schifo”. “Qualcosa di disgustoso”. “Spazzatura”. L’indignazione, a dir
poco, esplode in rete insieme a disgusto e incredulità per quattro
fotogrammi rubati al ministro Marianna Madia, e messi in doppia pagina su
“Chi” con un titolo volgare e ammiccante. I tweet e i post su Facebook sono
migliaia. Due facciate che vengono “difese” proprio dal direttore di Chi,
Alfonso Signorini. che twitta: “Calippo si e gelato no?”, con l’ashtag
#duepesiduemisure. Il riferimento è alle foto di Francesca Pascale apparse
nel febbraio 2013. Il riferimento non è puramente casuale, anzi è chiaro e
diretto al servizio pubblicato tempo fa da Oggi, gruppo Rcs, in cui venivano
riproposte vecchie immagini di Francesca Pascale che mangiava un Calippo nel
corso di una clip per una televisione locale. Il direttore di Chi poi,
intervistato da Giorgio Mulè alla presentazione del suo libro “L’altra parte
di me” nella tappa catanese del tour Panorama d’Italia, ha spiegato meglio
il suo pensiero: “Chi oggi s’indigna per il titolo che ho fatto alle foto
della Madia che mangia il cono gelato ha marciato per anni sul calippo della
Pascale. Io aderisco a una scuola di pensiero secondo cui la malizia sta
negli occhi di chi guarda e non di chi la fa, accusare me di sessismo o di
persecuzione a sfondo sessuale è assurdo, per non parlare di certe campagne
davvero infamanti, per usare la stessa parola che usano oggi contro di me,
sulle giarrettiere della Brambilla o il calendario della Carfagna”.

L’invettiva pedofila. Del resto oggi tutto ha il sapore di proibito, ma
anche solo pensare di essere amorevole con i figli, ti conduce subito sulla
sponda più terribile: quella dei genitori oggetto di riprovazione. È una
categoria semplice, assoluta e falcidiante. Ha il potere di bloccare
l’azione sul nascere, perché influisce direttamente sul pensiero: è la forza
del politicamente corretto, che rovina perfino i momenti di divertimento o
di affetto. È il motivo per cui non si dà più un bacio innocente o una
carezza, agli adulti, così come ai bambini: passi immediatamente per un
maniaco o per un pedofilo. Ecco il motivo per cui i bambini non giocano più
nei cortili, non prendono più un ascensore da soli, non possono giocare a
palla in riva al mare, mentre è così difficile fermare i piccoli sbandati o
i delinquenti, quelli veri. Ed è molto più facile fare sentire un genitore
come un criminale, che fare divertire un bambino.

L’invettiva giudiziaria. Le lacrime e la rabbia lasciano il posto alla
determinazione. «Mi devono uccidere per fermarmi», dice Ilaria Cucchi
all’indomani della sentenza della corte di appello di Roma che vede tutti
assolti gli imputati per la morte del fratello Stefano, deceduto il 22
ottobre di cinque anni fa dopo una settimana di ricovero in ospedale. Una
vicenda che ha provocato uno strascico di polemiche su cui interviene anche
il presidente della Corte d’Appello di Roma, Luciano Panzani: «Basta gogna
mediatica, non c’erano prove».

L’invettiva specista. Lo specismo è l’attribuzione di un diverso valore e
status morale agli individui a seconda della loro specie di appartenenza. Il
termine fu coniato nel 1970 dallo psicologo britannico Richard Ryder, per
calco da razzismo e sessismo, con l’intento di descrivere in particolare gli
atteggiamenti umani che coinvolgono una discriminazione degli individui
animali non umani, inclusa la concezione degli animali come oggetti o
proprietà. Il termine viene usato comunemente nel contesto della letteratura
sui diritti animali, per esempio nelle opere di Peter Singer e Tom Regan.
Succede spesso di leggere sui giornali o di vedere video su youtube di
incredibili salvataggi, per mano umana, di animali (specialmente cani) in
difficoltà. Quello che però lascia perplessi è leggere di un intervento
simile proprio in un luogo come quello di Carloforte, noto per la
tradizionale mattanza dei tonni. Questo salvataggio, se ci si sofferma un
attimo a pensare, ha davvero dell’incredibile. Uomini che si uniscono e si
impegnano con tutte le loro energie per salvare una vita da annegamento
certo mentre stanno per calare le reti che spezzeranno le vite, attraverso
una lenta e dolorosa sofferenza, di centinaia e centinaia di pesci.
Purtroppo questo è lo specismo, che quotidianamente e ovunque nel mondo
continua a dilagare ma che dobbiamo cercare di abbattere. Come per
l’allevamento Green Hill, ovvero: la preoccupazione riguarda solo i cani di
Green Hill, non c’è nessuna condanna delle inenarrabili crudeltà perpetrate
in laboratorio su altri animali quali topi, ratti o maiali.

Era della comunicazione dove non comunichiamo. Non si ascolta più, si parla
e basta….

Come si può non essere politicamente corretti e conformisti? Basta essere
corretti e veritieri nell’espressione del pensiero. Basterebbe abbeverarsi
dal sapere dei buoni maestri senza tema di smentita, pensare un attimo a
quello che si dice o si scrive e non vedere cose brutte in cose estremamente
innocenti!

Dr Antonio Giangrande

Presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia