Inizia il processo d’appello per il delitto di Sarah Scazzi Il commento sulla vicenda di Antonio Giangrande
Venerdì 14 novembre 2014, per loro le porte di un’aula di giustizia si
riaprono a Taranto per il processo d’appello. Antonio Giangrande ha
raccontato la prima parte del processo in un libro “Sarah Scazzi. Il Delitto
di Avetrana. Il resoconto di un avetranese. Quello che non si osa dire” e
lavora sul sequel nel secondo libro con il titolo aggiuntivo “La Condanna e
l’Appello”.
Sabrina Misseri e Cosima Serrano hanno condiviso negli ultimi anni paure,
timori, sofferenze ma anche le telecamere e un processo durato 14 mesi. Lei
ha oggi 28 anni, è in carcere da più di quattro e con la prospettiva di
finire lì i suoi giorni perchè ha sulle spalle il terribile fardello di una
condanna all’ergastolo. La madre di anni ne ha 59, è entrata nella stessa
cella della figlia pochi mesi dopo e il suo futuro potrebbe restare
rinchiuso in quel pugno di metri quadrati. Tutti hanno fatto ricorso, ma per
un imputato la Corte di assise di appello dovrà dichiarare l’estinzione del
reato perchè Cosimo Cosma, nipote di Michele Misseri, al quale erano stati
inflitti sei anni per concorso in soppressione di cadavere, è morto il 7
aprile 2014 per una grave malattia, forse provocata proprio dal dispiacere
di esser accusato e condannato da innocente. Gli altri imputati che
cercheranno di far valere le loro ragioni dinanzi ai giudici di appello sono
Carmine Misseri, fratello di Michele, anche lui condannato a sei anni per
concorso in soppressione di cadavere; l’ex legale di Sabrina, Vito Russo jr,
al quale vennero inflitti due anni per favoreggiamento personale; e infine
altri tre condannati per favoreggiamento, Giuseppe Nigro (un anno e quattro
mesi), Antonio Colazzo e Cosima Prudenzano (un anno di reclusione ciascuno).
Siamo in Corte di Appello di Taranto, sezione distaccata della Corte di
Appello di Lecce. E un’altra location. Adatta per le telecamere. Siamo al
quartiere Paolo Sesto. Non è più il Tribunale tra le anguste vie adiacenti a
via Marche.
Altri giudici, di sicuro. Ma non si è certi che questi si discosteranno
dalla linea giudiziaria intrapresa in primo grado.
Le tv nazionali ed i talk show sono pronti, orfani da troppo tempo di un
evento mediatico senza precedenti. Meno coinvolti sono le tv ed i giornali
locali, dietro l’apparente distacco per non far trasparire la palese
soggezione, sempre a favore della tesi accusatoria e dei giudici tarantini.
Troppo ossequiosi per apparire liberi.
Nel processo Scazzi si scontrano due correnti di pensiero:
Quello di sinistra, che sul principio della separazione dei poteri, sono
assorti nel detto “il giudice ha sempre ragione; le sentenze si applicano e
non si commentano”. Non sanno quelli di sinistra che i giudici non detengono
un potere, che per la Costituzione spetta al popolo, ma sono solo esercenti
una funzione, come qualsivoglia dipendente pubblico. Non sanno costoro che
tuttora le sentenze si criticano, fino a che in Parlamento non elimineranno
la garanzia dell’appello sotto imposizione della casta dei magistrati.
Dall’altra parte troviamo il pensiero della destra che con il suo principio
“Legge ed Ordine” non ammette che vi sia un delitto impunito, anche se a
discapito di innocenti in carcere.
Oggi i condannati in primo grado nel processo Scazzi sono sottoposti
all’attacco di entrambi i fuochi. I pochi garantisti non hanno scampo. Si è
detto garantisti, non innocentisti. E’ assurdo pretendere delle garanzie di
neutralità attenente alle prove in una funzione giurisdizionale, che fino ad
ora a Taranto è mancata, soggiogata dall’influenza mediatica la quale ha già
esternato la sua condanna?
La morte della giovane Sarah Scazzi suscitò scalpore e sdegno nell’opinione
pubblica, divenendo un caso mediatico che tenne tutti con il fiato sospeso
per ben 42 giorni, allorquando il corpo della ragazzina, sparita
misteriosamente il 26 agosto 2010, fu ritrovato in un pozzo di contrada
Mosca, su ammissione dello zio Michele Misseri, reo confesso di un delitto
di cui poi non fu giudicato colpevole. Il contadino, infatti, è considerato
inattendibile per via delle sue iniziali contraddizioni e perché mina la
tesi accusatoria sin dalle fondamenta.
L’impatto mediatico su questo processo è veramente influente? Si chiede a
Franco Coppi. «L’impatto che i mass-media possono avere su un processo
dipende esclusivamente dai protagonisti. Se il giudice, il pubblico
ministero, l’avvocato hanno i nervi saldi e sanno fare il loro mestiere,
sono perfettamente in grado di gestire anche l’eventuale rapporto con
giornali e televisioni. Quello che conta in un processo è ciò che succede in
aula». Il Professor Coppi, emerito di Diritto Penale presso l’Università di
Roma La Sapienza, è uno tra gli avvocati penalisti più noti in Italia anche
in virtù della notevole risonanza mediatica che hanno avuto molti tra i
processi in cui ha prestato la propria attività di difensore. E, infatti, di
palpabile evidenza come i media dedichino sempre più ampio spazio ai delitti
che per la loro natura o per la notorietà dei soggetti coinvolti destano
maggiore interesse nella pubblica opinione. Ancor prima della celebrazione
dei dibattimenti nelle aule di giustizia tali casi divengono oggetto di un
procedimento parallelo sui mezzi d’informazione, cui spesso prendono parte i
medesimi soggetti a vario titolo coinvolti nel processo reale (indagati,
parti offese, investigatori, avvocati e consulenti tecnici). Ciò può
determinare oltre ad una eccessiva spettacolarizzazione delle vicende
giudiziarie e di fanatismo a favore dei pubblici ministeri, effetti
distorsivi e di condizionamento sul vero e proprio processo ponendo anche
problemi di natura deontologica per i difensori delle parti private
coinvolte.
Ma il vero protagonista nel processo mediatico è solo lui, in mezzo a mille
comparse.
Franco Coppi è nato a Tripoli, in Libia, allora colonia Italiana, nel 1938.
Dal 1975e fino all’anno accademico 2010/2011 è stato professore ordinario di
diritto penale presso l’Università di Roma La Sapienza. Nel corso della sua
carriera di avvocato ha difeso Giulio Andreotti, don Pierino Gelmini
(rinunciando però per le sue troppe esternazioni), Antonio Fazio nel
processo per lo scandalo di Antonveneta, due imputati nel caso di Rignano
Flaminio, Sabrina Misseri, Raniero Busco, e Gianni De Gennaro nel processo
per i fatti della scuola Diaz, Bruno Conti e Francesco Totti nel caso
Failla), Vittorio Emanuele di Savoia, Piero Angela, la ThyssenKrupp nel
processo per il rogo delle acciaierie di Terni e Silvio Berlusconi nel
processo Mediaset, la nota conduttrice televisiva Paola Perego, Francesco
Bellavista Caltagirone e Augusto Minzolini, l’ex direttore del Tg1, Vito
Miceli (Golpe Borghese), Niccolò Pollari (sequestro Abu Omar), eccetera,
eccetera. Una carriera dove gli “eccetera” non contano poco. Dal suo studio
(in viale Bruno Buozzi, Roma) sono usciti avvocati come Giulia Bongiorno.
Della passione di destra che contraddistingue la Bongiorno è cosa risaputa.
Meno pubblica è la tendenza politica di Coppi “con un’anima di sinistra” a
dirla alla Salvatore Merlo su Il Foglio.
Forse è quest’anima che ha suscitato in lui, a dispetto degli altri principi
o scudieri del Foro, di prendere la difesa di Sabrina Misseri pro Bono,
ossia con il gratuito patrocinio.
Il buon Coppi per Sabrina si gioca l’onore e lo fa in modo disinteressato.
Non c’è emulo o visibilità che lo soddisfi. «Questo ergastolo è il più
grande cruccio della mia carriera», ha spiegato in un’intervista alla
giornalista Ilaria Cavo. «Ci sto consumando la mia vita, perché sapere che
una ragazza di 23 anni – per me innocente – sta marcendo in carcere con una
condanna all’ergastolo, mi toglie il sonno».
Franco Coppi è anche a Taranto il difensore dei Riva. La Cassazione ha
annullato senza rinvio il sequestro preventivo per 8,1 miliardi di euro nei
confronti della Riva Fire, la Holding che controlla l’Ilva spa. Già la
Cassazione, ma qui stiamo a Taranto ed i magistrati sono una corporazione,
come una famiglia, della quale Coppi non fa parte. I magistrati, diceva
Calamandrei, sono come i maiali. Se ne tocchi uno gridano tutti. Non puoi
metterti contro la magistratura, è sempre stato così, è una corporazione.
Dal catalogo dei viventi sappiamo che l’avvocato Coppi è un uomo austero,
lontano dalle tentazioni mondane. Non ama le cene (e si vergogna di dover
sempre dire no) e le feste. Si interessa di arte e pittura, si circonda di
cani e ama restare in disparte, a lavorare. A parte quello delle cravatte
(ne ha una quantità mostruosa) non si conoscono debolezze particolari.
Romanista. È un uomo superstizioso: scrive solo a mano con una penna ferrari
rossa, il suo amuleto. Alle cause particolarmente difficili e importanti si
fa accompagnare in tribunale dalla figlia. «La difesa che dà più
soddisfazioni è sempre l’ultima in ordine di tempo», dice Coppi. Purtroppo
per lui, mi sa che a Taranto non ci saranno soddisfazioni: la sentenza di
condanna è già stata scritta sin dal principio……dai media!
Dovrà aspettare che il fascicolo arrivi nella sua Roma e forse, chissà….!!!
Dr Antonio Giangrande
Presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia