Traghetti sullo Stretto, la mafia catanese in affari con Matacena: 23 arresti Colpito il ramo economico di Cosa Nostra. Oltre all'ex parlamentare reggino i rapporti commerciali coinvolgevano anche un imprenditore calabrese del settore delle macellerie con interessi in Sicilia
CATANIA – La mafia catanese era in affari con una società riconducibile all’armatore calabrese Amedeo Matacena per la gestione dei traghetti sullo Stretto di Messina. Emerge dall’indagine della Dda di Catania che ha portato all’arresto di 23 persone e al sequestro di beni per 50 milioni di euro. Amedeo Matacena è l’imprenditore ed ex parlamentare di Reggio Calabria latitante a Dubai e al centro dello scandalo che travolto l’ex ministro Claudio Scajola, accusato di aver coperto la sua fuga e attualmente sotto processo in Calabria. La moglie di Matacena, Chiara Rizzo è tornata libera pochi giorni fa.
L’inchiesta di Catania riguarda invece l’evoluzione di Cosa Nostra subito dopo l’indagine Iblis e ha confermato la vocazione imprenditoriale della “famiglia” catanese, infiltratasi in vari settori tra cui i trasporti per iniziativa del boss Enzo Ercolano figlio del capomafia deceduto Giuseppe e fratello di Aldo, condannato all’ergastolo. Ercolano ha operato con la collaborazione di altri indagati tra cui, Francesco Caruso e Giuseppe Scuto. Affari anche nel commercio delle carni per la grande distribuzione in cui si sono inseriti Enzo Aiello e alcuni dei suoi più stretti aiutanti, grazie all’intestazione fittizia di società di settore e tramite gli accordi con l’imprenditore calabrese Giovanni Malavenda, che gestiva le macellerie in numerosi supermercati del gruppo Eurospin Sicilia.
Secondo quanto ricostruito, la società Servizi Autostrade del Mare fittiziamente intestata a Caruso ma in effetti facente capo agli Ercolano e i fratelli Aiello, aveva stipulato con la società Amadeus spa, riconducibile ad Amedeo Matacena, un contratto di affitto di tre navi da utilizzare come vettori per i collegamenti tra la Sicilia e la Calabria. L’attività si protrasse con ottimi risultati nei mesi a cavallo tra gli anni 2005 e 2006, fino a quando – per ragioni legate a scelte effettuate da un’altra società estranea alle indagini – si interruppe improvvisamente la navigazione con consistenti danni per la Servizi Autostrade del Mare.
Emerse anche alleanze del gruppo catanese con altri clan siciliani, in particolare con i Pastoia di Belmonte Mezzagno (Palermo) e con imprenditori collegati a Cosa Nostra agrigentina. In questo ambito è stato verificato il ruolo significativo rivestito da Enzo Ercolano, titolare di imprese di trasporti di considerevoli dimensioni. E’ stato anche appurato che i guadagni derivanti dalle attività imprenditoriali hanno anche determinato l’interesse e l’occulta partecipazione di Enzo Aiello e del fratello di quest’ultimo, Alfio. Erano Francesco Caruso e e Giuseppe Scuto a tenere i rapporti con affiliati mafiosi catanesi ed agrigentini e con esponenti della politica, tra i quali gli inquirenti menzionano Giovanni Cristaudo e Raffaele Lombardo, entrambi imputati nel processo Iblis. Ma le manovre della mafia sul terreno della politica si sono spinte fino alla costituzione nel 2008 di un partito (il Partito nazionale degli autotrasportatori) che con l’intento di garantire i loro interessi di cui erano portatori in conto proprio ed altrui, per esempio avere un canale privilegiato con le a
Nell’ambito dell’operazione Caronte sono stati inoltre sequestrati beni di valore ingente, comprendenti 31 imprese ed i relativi beni strumentali, 7 beni immobili e 4 autoveicoli. Il sequestro colpisce il patrimonio immobiliare, finanziario ed imprenditoriale illecitamente accumulato negli anni dall’associazione mafiosa, non solo nelle province siciliane di Catania, Palermo e Messina, ma anche nelle province di Napoli, Mantova e Torino.