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TAURIANOVA (RC), GIOVEDì 05 DICEMBRE 2024

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Riforme ed ossessioni Responsabilità civile dei magistrati: un'ossessione della politica che mette fine ai privilegi della magistratura

Riforme ed ossessioni Responsabilità civile dei magistrati: un'ossessione della politica che mette fine ai privilegi della magistratura
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di Emanuele Pecheux

Il presidente dall’Anm Rodolfo Sabelli, al termine della riunione del Comitato direttivo centrale del sindacato dei magistrati dello scorso 20 dicembre, ha definito la legge che introdurrà il principio della responsabilità civile dei magistrati che sbagliano: “Un’ossessione della politica” agitando il solito frusto argomento secondo cui una simile legge “Mina il principio dell’autonomia e indipendenza dei magistrati”.
Finalmente, dopo anni di timidezze e genuflessioni, la politica ha risposto immediatamente, e a muso duro, con la ministra Boschi: “I magistrati dovrebbero parlare attraverso le loro sentenze, non commentare le leggi”.
Già, perché in tema di ossessioni, una tra quelle che ha tenuto banco in quasi un trentennio di chiacchiere e oblique minacce è quella del sindacato delle toghe che seguita a recitare la litania dell’autonomia che nasconde il timore di perdere i privilegi che assegnano, di fatto, caso unico in Europa, un potere spropositato alla corporazione delle toghe al punto che la UE ha chiesto di legiferare sul tema entro la fine del 2014, allo scopo di armonizzare le norme con gli altri paesi dell’Unione dove, peraltro, non risulta che le magistrature non siano autonome anche se, come avviene in Francia, il P.M (Parquet) addirittura dipende gerarchicamente dal Ministero della Giustizia ed è sottoposto al suo controllo.
Se, come è auspicabile e probabile, la Camera esiterà il ddl del Governo sul tema si riuscirà finalmente a chiudere anche se solo in parte una vertenza che dura ormai da poco meno di 30 anni.
Solo in parte tuttavia perché in stand by resta un altro provvedimento legislativo che ossessiona i vertici dell’Anm: la separazione delle carriere.
Una norma che, se introdotta, sarebbe una garanzia per il cittadino sull’imparzialità del giudice rispetto al P.M.
La separazione delle carriere, in effetti, altro non sarebbe che la definitiva attuazione dell’articolo 111 della Costituzione che prevede un giudice “terzo”.
Oggi, avendo formazione e carriere unificate, con destinazioni e ruoli intercambiabili, giudici e Pm sono indistinguibili gli uni dagli altri.
Dovrebbero essere, al contrario, due figure strutturalmente differenziate.
Nelle competenze e nella carriera.
L’Anm ha più volte bollato un simile provvedimento come un attacco all’indipendenza del magistrato e un tentativo di porre il Pm sotto il controllo dell’Esecutivo.
Nel 1991 su codesta obiezione, divenuta nel corso del tempo un’altra ossessione del sindacalismo togato, si espresse con estrema chiarezza Giovanni Falcone: “E’ veramente singolare che si voglia confondere la differenziazione dei ruoli e la specializzazione del Pm con questioni istituzionali totalmente distinte”.
Amen. A meno che, come è purtroppo probabile, i signori dell’Anm, mossi dall’ostinata ossessione della difesa di una norma di puro privilegio, considerino anche l’opinione di Falcone, trasformandolo da martire a pericoloso sovversivo, alla stregua di un attacco all’indipendenza e autonomia della magistratura.