Opere pubbliche realizzate a Reggio senza certificazione antimafia La notizia, pubblicata dal Sole 24 Ore, ha lasciato sgomenti i vertici del Partito Comunista d'Italia
Qualche settimana fa il Sole 24ORE, autorevole giornale economico del nostro Paese, ha pubblicato un reportage-shock del coraggioso inviato Roberto Galullo sull’infetto sistema degli appalti nella città di Reggio Calabria.
Prima di esporre pubblicamente la nostra opinione, abbiamo, volutamente, atteso alcuni giorni convinti ottimisticamente che ci fosse un diluvio di reazioni e prese di posizione sulla delicatissima vicenda.
Invece, dobbiamo tragicamente rilevare come non vi sia stata la benché minima reazione da parte di un qualsivoglia esponente del governo nazionale, del Parlamento, delle amministrazioni locali, nonché della categoria imprenditoriale reggina atteso che, fra l’altro, il Sole 24ORE è il quotidiano di proprietà di Confindustria.
Nonostante l’assoluta gravità della questione, abbiamo, pertanto, registrato il nulla assoluto e il mutismo tombale concretizzatisi in un silenzio assordante e inaccettabile.
L’inchiesta di Galullo ha evidenziato come decine e decine di opere pubbliche della città di Reggio, eseguite per conto del Comune e addirittura della Prefettura e finanche del Ministero dell’Interno, sarebbero state realizzate da aziende e imprese sprovviste di una minima, quanto indispensabile, certificazione antimafia.
Si tratta di un fatto gravissimo che, specie in una città che esce da un lungo commissariamento per mafia, dovrebbe far saltare dalla sedia qualsiasi rappresentante istituzionale al fine di approfondire e fino in fondo il merito della questione.
Questa “scoperta” è emersa grazie al lavoro investigativo della DIA di Reggio che, nell’ambito dell’inchiesta della DDA reggina denominata “Breakfast”, avrebbe evidenziato il sistematico aggiramento della legislazione antimafia attraverso giravolte societarie, schermature fiduciarie presso stati esteri che permettono queste opache operazioni e, ovviamente, profonde e pesanti complicità di vario tipo.
Insomma, un grande buco nero nel quale in maniera palesemente illegale si sarebbe consumata una vera e propria mangiatoia costruita spaventosamente nell’ambito degli appalti per la realizzazione di quasi tutte le opere pubbliche della città di Reggio.
L’elenco delle opere è incredibilmente lungo, quasi infinito.
Il reportage del Sole 24ORE fa capire che l’inchiesta della DDA prosegue e potrebbe riservare molte sorprese, soprattutto, sul tema delle forti complicità e delle pesanti connivenze che, nei fatti, avrebbero consentito di costruire mezza città ad aziende sprovviste, addirittura, dell’indispensabile certificazione antimafia; una certificazione che, certamente, da sola, non basta a mettere le amministrazioni a totale riparo da eventuali infiltrazioni della ‘ndrangheta, ma la cui assenza rappresenta una sfrontata provocazione frutto di arroganza e certezza di impunità.
Il nebuloso quadro emerso è desolante e il silenzio che ha seguito l’esplosione della vicenda è ancor più drammatico e preoccupante. Su questa scottante faccenda tutte le Istituzioni non si possono nascondere e sono chiamate ad assumere azioni concrete e tangibili atti amministrativi.
In tal senso, suggeriamo al neo-sindaco di Reggio Giuseppe Falcomatà e alla sua giunta di mettere in campo le iniziative opportune più sofisticate per verificare la condizione di trasparenza e certificazione antimafia di tutte le aziende che, allo stato, stanno realizzando opere pubbliche appaltate dal comune; contestualmente è opportuno offrire la massima collaborazione alla DDA per scavare a fondo sulle tante opacità presenti nelle opere pubbliche realizzate negli anni scorsi.