La lezione di Fichte ignorata da Tsipras "La moralità dell’allievo si ottiene mediante il timore"
E’ una tra le più note affermazioni che, all’inizio del 1800, il filosofo Johann G. Fichte, in piena occupazione napoleonica della Germania, contenute nei “Discorsi alla nazione tedesca”.
Fichte, nell’opera citata, non solo risvegliò la coscienza nazionale ma elaborò il germe ideologico da cui nacque e prese piede prima il pangermanesimo (la sua espressione più alta, Otto Von Bismarck, cancelliere della seconda metà del XIX secolo, sosteneva che “Il solo sano fondamento di un grande stato è l’egoismo statale”.) e purtroppo , successivamente, nella prima metà del XX secolo, le sue degenerazioni rappresentate dalle idee e le prassi criminali di un lucido folle (Hitler) che, in verità, capì ben poco del pensiero dell’illustre filosofo.
Le dinamiche di queste ultime settimane suggeriscono che l’assioma di Fichte può servire a ricercare la chiave di lettura, certo non l’unica, dell’atteggiamento tenuto da Angela Merkel e soprattutto dal suo ministro delle finanze Schauble che tanto stupore ha suscitato in taluni ambienti.
Nella vicenda della crisi greca, in particolare nelle ultime ore culminate nella drammatica notte di trattative che si sono concluse nel draconiano esito per il popolo greco, molti osservatori, sottolineando l’atteggiamento pesantemente pedagogico dei tedeschi, più o meno consapevolmente, implicitamente richiamavano il pensiero politico di Fichte. Per il filosofo sassone il solo popolo tedesco (Volk), per ragioni che a noi appaiono quantomeno discutibili, è in grado di impartire una nuova pedagogia alle altre nazioni. La Germania è la nazione eletta e deve esercitare il suo primato culturale e soprattutto quello spirituale (fondato su una rigida moralità) sulle altre nazioni.
Tale consapevolezza attraversa ancora oggi trasversalmente, ancorché con enfasi diverse, l’intera società e, con essa, l’intera politica tedesca.
Neppure la sinistra, a cominciare dall’ attuale leadership della Spd ne è immune è ciò spiega, anche se solo in parte, l’atteggiamento per certi aspetti sorprendente non solo del vicecancelliere Socialdemocratico Sigmar Gabriel ma dello stesso presidente del P.E. Martin Schulz apparsi sin troppo condiscendenti con la cancelliera e il suo ferreo ministro.
Entrambi, una volta di più, hanno dimostrato che prima di essere socialdemocratici europei sono tedeschi.
Peraltro la tattica, tipicamente levantina, adottata dal premier greco Tsipras e dal suo sciagurato (ex)ministro delle finanze Varoufakis di menar il can per l’aia, esattamente identica a quella dei loro predecessori, culminata con l’improvvisa convocazione di un improponibile e inutile referendum (che sarebbe più opportuno definire plebiscito), tanto celebrata dall’eterogenea compagnia di giro di demagoghi nostrani, costituitasi nella buffa “Brigata kalimera”, provocando la prevedibile irritazione tedesca, ha finito per ritorcersi pesantemente contro chi, invece di citare, nel corso di uno stravagante discorso al P.E. che tanto è piaciuto a Matteo Salvini, (“i soldi per i greci se li sono presi le banche”) l’Antigone di Sofocle, meglio avrebbe fatto a dotarsi di un manuale di storia o di filosofia (non greca) per cercare di capire di che foggia fossero fatti i suoi interlocutori.
La punizione ricevuta dai pedagoghi tedeschi, nonostante le poche colombe dell’Eurogruppo abbiano cercato di edulcorarla, è stata, come era prevedibile, durissima.
E non è detto che la via crucis del giovane ateniese, studente distratto e maldestro apprendista stregone, sia terminata.
Pecrhé si sa: le volpi (o presunte tali), presto o tardi, rischiano sempre di finire in pellicceria.
Emanuele Pecheux