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TAURIANOVA (RC), MERCOLEDì 27 NOVEMBRE 2024

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Partigianesimo giuridico Le riflessioni storiche dell’avvocato Cardona sull’antico partigianesimo giuridico

Partigianesimo giuridico Le riflessioni storiche dell’avvocato Cardona sull’antico partigianesimo giuridico
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Nelle epoche in cui l’asservimento al potere assoluto costituiva la conduzione inevitabile del suddito, il giureconsulto ha sempre mostrato di avere coscienza del proprio ruolo e di non temere, per difendere la propria funzione, lo scontro con il sovrano.

Ancor prima dell’epoca dei lumi se ne trova un imprevisto ma eloquente esempio, in una Napoli dominata dagli Spagnoli, dove la situazione della provincia mal tollera le imposizioni straniere, cercando con fantasiose opposizioni di conservare aree di autonomia.

A metà del Seicento la “Visita General” era un istituto ispettivo di carattere straordinario: il visitatore, quale estrinsecazione del potere governativo spagnolo, che doveva rendere conto del suo operato direttamente al sovrano, intese varare una nuova disciplina della professione forense, affinché il numero dei legali fosse ridotto con un selettivo esame d’idoneità e con un anomalo giuramento “de bene et fideliter exercendo” attinente alla bontà giuridica di ogni pretesa patrocinata, in caso contrario l’interdizione “cum perpetuae infamiae nota”.

L’imposizione scatenò reazioni violente, focalizzandosi non tanto contro la falcidia dell’ordine quanto contro l’obbligo del giuramento.

E’ lo spettro dell’inquisizione che determina la ribellione, essendo la formula sacramentale di giuramento quella tipica del processo inquisitoriale e come tale capace di travolgere la stessa funzione dell’avvocato.

Riportano gli Annali e narrano le cronache che, la normativa varata provocò da parte degli avvocati la radicale e coesa desertificazione delle aule giudiziarie, perdurante sino a quando la norma non fosse stata caducata.

Il Viceré pressato dalla furente resistenza, pur non revocando formalmente la legge, no ne diede concreto seguito relegando le misure appena introdotte nell’alveo dell’oblio.

Nel 1744 sempre a Napoli un avvocato Bernardo Tanucci, Ministro di Carlo III introduce una riforma rivoluzionaria: la motivazione delle decisioni giudiziarie.

L’innovazione sradica l’usanza di motivare le sentenze sugli “arcana iuris”, nella cui mistica forma celavano corruzione e favori, obbligando i magistrati ad una logica giuridica “de ierofanti iuris a bouche du roi” e rendendo le sentenze intellegibili ai profani.

Fu un duro colpo inferto all’improvvisazione, al misticismo ed alla arbitrarietà delle decisioni giudiziarie, in favore del razionalismo e della logica interpretativa, che fu invisa ed osteggiata dalla magistratura la quale vedeva dissolversi le fondamenta del suo potere.

Anche il coèvo ed illustre avvocato e filosofo Gaetano Filangieri – il quale dette a Beniamino Franklin pareri fondamentali per la redazione della Costituzione della Repubblica Americana – difese in un pamphlet la rivoluzionaria riforma del ministro Bernardo Tanucci, dimostrando la capacità del difensore di ergersi a tutore dei diritti dei cittadini anche in sedi diverse da quelle giudiziarie.

In questo contesto non si può obliare il giudizio di Piero Calamandrei all’indomani della caduta del fascismo: “proprio per la particolare sensibilità professionale gli avvocati hanno reagito solerti all’ingiustizia e si sono ribellati all’illegalità come il più elementare dei loro doveri, dimostrandosi nella maggioranza i meno rassegnati ed i meno proni”.

Altri tempi ed altri avvocati.