Tabularasa, con “Haberowski” chiusura da standing ovation Haber si trascina, arranca, porta sulle spalle e negli occhi il peso dell’alcol, degli eccessi e del male di vivere dello scrittore ad oggi più citato, ma meno compreso
Alessandro Haber non ha letto Charles Bukowski. Alessandro Haber ha fumato Bukowski, l’ha bevuto, se lo è spalmato addosso e poi l’ha cacciato via con stizza. Alessandro Haber sulle assi del Teatro al Castello di Roccella, per un’ora e passa, è stato Charles “Hank” Bukowski, fondendosi con l’amaro scrittore in un magma unico dove uno era principio e fine dell’altro. Senza punti, senza pause in un continuo richiamo, rincorrersi e perdersi.
La serata finale del contest reggino “Tabularasa 2016”, ideato da Giusva Branca e Raffaele Mortelliti, si è riservato per la serata conclusiva uno degli appuntamenti più prestigiosi: “Haberowski”, Haber interpreta, recita, canta, ma soprattutto vive i testi e le poesie originali di Charles Bukowski”.
La prestigiosa rassegna di cultura, musica e parole ha avuto come fil rouge, che ha idealmente percorso tutte le serate, quello del Mondo: il mondo che ogni giorno sbarca sulle nostre coste, il mondo che oggi e in altri tempi ci ha accolto o sbattuto le porte in faccia. Quel mondo che è una girandola di colori, lingue, sapori e accenti diversi e che il grande attore drammatico, nato a Bologna da padre rumeno e madre italiana e cresciuto in Israele, porta magicamente dentro di sé. Lo spettacolo Haberowski ha preso avvio con la poesia “Stile”, e già dall’entrata in scena dell’attore capiamo che i piedi che varcano il proscenio sono sì quelli di un uomo del nostro tempo, ma a camminare è Bukowski. Haber si trascina, arranca, porta sulle spalle e negli occhi il peso dell’alcol, degli eccessi e del male di vivere dello scrittore ad oggi più citato, ma meno compreso.
La scena è essenziale e minimalista se non per la presenza di un altro personaggio che ci porterà per mano in quel breve cammino attraverso e con il poeta statunitense. Parliamo del musicista Francesco Loccisano che ha stregato il pubblico con le note veloci della sua chitarra battente e che ha sopportato con sorriso beffardo le paturnie del Bukowski/Haber. Le rassegnazioni, i dolori, il senso di rivolta anarcoide e poi di fiacca rassegnazione che trapelano dalle poesie non sono quelle di un singolo, di un uomo solo o soltanto di un uomo: è il tarlo mentale che logora e ha logorato l’uomo moderno di oggi e di ieri, che appartiene a noi e a quell’uomo che si trova a ben altre latitudini. E’ patrimonio condiviso, e per questo sul palco Bukowski non rimarrà solo. Prèvert e Neruda riprendono di nuovo vita dalla voce roca dell’attore bolognese. Senza filtri e senza censure il pubblico di Roccella si è lasciato invadere da musica, parole, dolori e sprint improvvisi, in barba anche alla proverbiale freddezza del pubblico del Sud. Il resto è stato brezza leggera di mare, un castello che si scorgeva vicino e la voglia di restare ancora un po’. Restare lì a sentire di vite imperfette e vere, dritti e attenti in una standing ovation.