La solitudine delle anime pure Michele Caccamo commenta la vicenda della gita negata ad un ragazza disabile di Taurianova
E accade che d’improvviso si salga sulla nave nera, e poi si finisca anche nelle budella che si rivoltano negli uomini. Specie quando la nostra accuratezza è prossima allo zero; quando le anime pure si presentano di punto vestite e con lunghe code di seta, dinnanzi alla nostra regolarità. E accade che quelle anime le lasciamo cadere, per come si lasciano cadere i discorsi: nell’indifferenza. E accade che poi le riversiamo nella difesa della mente, contagiandole.
Le anime sono senza nome, sono un vuoto nel tempo umano e custodi di nessuno. Sono una nostra essenza apertamente libera. E noi siamo corpi pendenti dall’albero dell’ignoranza. E non abbiamo capito che le nostre azioni estraggono con la carrucola le malignità dall’esistenza, e che siamo un fiume di serpenti e di cannibali affamati.
Era già stato un avviso di Sant’Agostino, in fondo neanche difficile, avere nell’unico sentimento stabile la cura per l’anima: perché il corpo è invaso da ogni furore esterno da ogni autorità umana. E che se non sapremo pulire il nostro pensiero saremo solo fanali di richiamo per la distruzione umana.
Ma noi apparteniamo al foro pestilente del comando, siamo nel nido dei rovi e senza piume dagli angeli. Noi siamo nella protervia dei peggiori umani. E parlo del mio paese. Già per oppressione culturale a Taurianova è da tempo sparita la montagna dell’evoluzione; mai mi sarei aspettato che nella mia terra arrivasse anche la derisione dall’indolenza. E ci sto ragionando sulla vicenda della ragazzina, della madre e delle maestre. Su quanto possa essere fuggente la verità, che alla fine sia da una parte o dall’altra. E ripercorro le logiche, quelle umane e quelle amministrative. E maledico la ragione umana.
E mi perdo nel cuore di lei, nei suoi momenti di tristezza dovuti alla solitudine. E mi chiedo quale regolamento possa impedirle una comunione sociale, una gita scolastica. E non accetto le giustificazioni, non accetto gli alibi. Che vengano dalla scuola o da chi è stato preposto, per delibera regionale, a garanzia dei minori. Non accetto risoluzioni pavide né parole di aggiustamento da tribuni tenuti a freno dalla scala del consenso.
E non accetto le giravolte, da qualsiasi parte avvengano.
Io prendo parte e mi schiero, con la ragazzina. E per lei chiedo scuse pubbliche; per quel suo silenzioso lamento chiedo omaggi che siano di dolcezze, che siano accordi di accoglienza. Che in concreto vi sia una giornata di festa a lei dedicata. E che sia pubblica la partecipazione della maestre e dell’amministrazione e del Garante, d’origine cittadine e oggi regionale, ovvero di chi ha creato con la propria indolenza un’amarezza. E sulla diffusa certezza di una nostra qualsiasi superiorità vorrei ricordare che siamo soltanto dei vermi e, da esseri minimi, quando non li avremo piangeremo gli alberi.