Il ghetto urbano di Gioia Tauro: la Ciambra L'urbanista Pino Romeo ci parla del degrado in cui spesso si trovano le periferie
Ogni scelta di natura metodologica provoca ripercussioni nella vita reale delle persone, se non sufficientemente supportata da criteri di razionalità e scientificità.
La premessa è necessaria per garantire legittimità alle proprie azioni, ma tali azioni devono però essere scevre di condizionamenti e apatie di tipo politico e programmatico per poter reggere il gioco.
Il casus belli riguarda il “ghetto” della Ciambra, località periferica di Gioia Tauro, ma nella realtà riguarda tutte “le periferie dei centri urbani” occidentali, così come li conosciamo anche solo marginalmente.
Non è il luogo della rigenerazione urbana né delle scelte dicotomiche da operarsi nell’algida struttura dell’Urban Center, due mondi della stessa Gioia Tauro, fra loro apparentemente incomunicabili, due facce della stessa medaglia.
Un viaggio anche fugace nelle residenze degli “zingari della Ciambra”, così vengono etichettati altri italiani come te che leggi, e sembra di entrare nel tristemente famoso quartiere di Scampia a Napoli.
Anche lì erano state riposte tante speranze, e circa mezzo secolo fa Scampia prendeva la forma (informe) delle Vele, o almeno quelle erano le migliori intenzioni dell’architetto Di Salvo.
Addirittura, e non sembri affatto strano, le Vele dovevano significare coesione sociale e integrazione di ceti differenti, in unasola parola, la comunità.
Invece il sogno ha lasciato quasi subito il posto all’incubo del degrado totalizzante, dell’ambito ultimo nel quale varrebbe la pena vivere.
Un immenso formicolante pezzo di cemento divenuto tempio dello spaccio di droga, veicolato come esempio negativo e fallimento della stessa identità di tessuto cittadino.
Dagli errori è partito anche il cambiamento, il ripensamento culturale, quanto meno urbanistico, prima che sociale.
L’obiettivo del progetto “Restart Scampia” è quello di renderlo un luogo vitale, cercando di attenuare più che possibile la concentrazione dei nuclei familiari con reddito basso o nullo.
Per la cosiddetta “Ciambra” valgono le stesse regole, lo stesso protocollo ideale di comunicazione tra amministrazioni e società civile.
Riconvertire e riprogettare gli stessi edifici, riqualificandone lo stesso sito, è l’errore più grande che si possa commettere. Non risolve alcun problema, semmai li rende ancora più drammatici; pesando sulle lacerate casse pubbliche, verrebbe infatti automaticamente preclusa qualsiasi possibilità di poter tornare sui propri passi (e sui denari spesi).
Pertanto sarebbe necessario evitare qualunque ritocco dell’esistente, dato che la tendenza consolidata della rinnovata comunicazione urbana, passa per lo smantellamento della politica dei “ghetti urbani”, trovando una sua logica inclusiva solo e soltanto nella dislocazione degli abitati e dei suoi abitanti.
Non esistono altre vie realistiche e culturalmente disponibili, se non accettando l’altissimo rischio e la responsabilità politica e sociale di vedere aumentata nello stesso luogo, la concentrazione di nuclei familiari oltre ogni limite di umana convivenza.
Anche il POR Calabria 2014-2020 pronunciandosi sulla base delle direttive dell’Unione Europea, orienta le sue scelte in tale direzione, confermando la tesi della dislocazione sul proprio territorio.
Parafrasando le parole di Don Patriciello, prete di casa a Scampia e dintorni, “ammassare le povertà è l’errore più grande che si possa fare. Raccogliendo tutte le disperazioni in un unico posto, si creano delle zone franche in cui il più forte detta legge…”
Questo vale (e lo sappiamo tutti) anche nella Ciambra di Gioia Tauro.