La pace dei vinti Considerazioni del giurista blogger Giovanni Cardona sul rapporto tra Giustizia e Pace
Giustizia e Pace sono due termini antitetici.
La tensione verso la suprema Giustizia è vocazione di guerra, di conflitto con l’ingiusto per piegarlo al dettato del Bene protetto dalla norma.
La Giustizia si nutre di manette, celle carcerarie, violazioni della altrui intimità, umiliazioni dell’uomo imputato dinanzi alla supremazia, spesso ostentata ed arrogante, dell’uomo giudice.
La Giustizia è disperazione del vinto, ed osanna del vincitore, lutto per l’uno, esaltazione ipertrofica del suo essere per l’altro.
Quando la guerra per la Giustizia raggiunge la massima asprezza, si riaffaccia prepotente l’anelito per la Pace, che è convivenza tra persone diverse, tolleranza per l’iniquo, stimolo ad unirsi nell’esaltazione degli scopi comuni.
La Pace è persuadere prima di punire, ascoltare le altrui ragioni per comprendere i propri torti.
La Pace non coincide con la Giustizia perché esse rispondono a desideri e stati d’animo in conflitto tra loro.
L’azione penale non è obbligatoria.
L’azione penale è sempre stata e continuerà ad essere una attività politica di un potere dello Stato volta a conseguire risultati utili agli scopi di chi quel potere esprime.
L’azione penale muta gli indirizzi, le modalità, i tempi e i protagonisti, e queste variabili ne modificano in senso sostanziale il suo valore politico.
Se le Procure della Repubblica usassero modalità di assoluto garantismo nelle scelte processuali non sarebbero eguagliabili.
L’azione penale è stata accelerata a dismisura con il sacrificio dei più elementari criteri di rispetto del cittadino imputato.
Se le Procure della Repubblica usassero il sistema dei tempi di esercizio dell’azione penale in modo asettico, burocratico, disimpegnato, arriverebbero al giudizio dei Tribunali uno stuolo di piccoli spacciatori, ladruncoli, liti di condominio e così via, ovvero i fascicoli che affollano i tavoli della Giustizia.
Per placare le ansie della gente o le sensibilità offese di alcune potenti élites, del Paese, i processi devono avere tempi differenziati.
Scelte personali, spesso opinabili, svincolate da qualsiasi controllo.
Se le Procure della Repubblica designassero le persone dei magistrati per la trattazione del singolo procedimento con sistemi imparziali o seguendo semplicemente il caso, la storia italiana avrebbe avuto un corso diverso.
Lo sanno bene quei magistrati, valorosi, che per anni sono stati emarginati dagli “affari” più delicati perché poco affidabili, “bastian contrari”, se non manifestamente legati ad ideologie in disgrazia.
Prendiamone atto: l’azione penale obbligatoria è stata un vestito perfettamente stirato che nascondeva un corpo infestato di bubboni purulenti.
La realtà è diversa: l’azione penale si è intonata al colore del potere, assecondandolo prima e punendolo dopo, con il tempismo perfetto di chi ha avvertito che si stava affermando un vigoroso nuovo potere.
La Pace, l’anelito di Pace ci condurrà a tollerare i fenomeni criminali che più offendendo il cittadino?
Tra il compiacere il delinquente, fargli l’occhiolino archiviandolo e d’altra parte, il perseguitare, schermire e seppellire il cittadino oggetto di indagini, vi sarà pure un punto di equilibrio.
Contribuiamo tutti a cercarla questa maledetta convergenza ripensando ai sacri dogmi delle nostre leggi fondamentali, perché, si possa sperare in una splendida Pace foriera di lavoro, benessere, serenità.