Il moderno Cicerone Il senso del potere democratico nella riflessione del giurista blogger Giovanni Cardona
Il dramma di Cicerone è stato sempre combattuto fra la fedeltà alle istituzioni repubblicane, seppure affidate ad un uomo come Pompeo che egli non stimava, ed il fascino e la efficienza di Cesare che invece gettava le basi per la tirannia.
Dunque Cicerone oscillava fra Cesare e Pompeo; fra la efficienza del dittatore e la inefficienza della democrazia.
Come giurista Cicerone non poteva mostrare maggiore concretezza.
Bellissima la domanda che si pone nella lettera ad Attico: «In una patria oppressa si deve a qualunque costo spezzare la tirannia, anche a rischio di mandare a rovina lo Stato?».
Ed infatti la sua aspirazione alla democrazia ed alle libertà repubblicane lo portavano verso Pompeo con il quale si schierò pur dopo vario tergiversare; ma dopo Farsalo si accostava a Cesare accettandone le vittorie.
Lasciamo da parte ogni considerazione sul comportamento di Cicerone; per un giudizio del genere occorrerebbe una indagine più approfondita, e non è questa la sede, vogliamo invece porre l’accento sul dilemma di Cicerone di fronte alla inefficienza della Repubblica; se valesse la pena di difenderla fino in fondo.
Più che dilemma parlerei di tentazione: perché si avverte il travaglio dello spirito ed il rischio della scelta, più per la propria coscienza che per gli effetti pratici che possano derivarne in bene o in male.
E’ qui l’attualità di Cicerone perché la sua «tentazione» è oggi la tentazione di molti, educati alla democrazia e convinti del valore delle libertà, ma delusi dal malgoverno che di queste libertà si va facendo ormai da decenni.
C’è ancora qualche cosa da salvare di questa democrazia, di queste libertà conquistate a così caro prezzo e tanto vilmente amministrate, libertà che ormai si risolvono nell’arbitrio e nella ricerca di soluzioni giovevoli solo per la parte o per il gruppo?
Che differenza c’è infatti fra l’arbitrio commesso di fatto e quello contenuto in una legge?
E’ una differenza formale, una sfumatura, che l’uomo della strada non apprezza e che lo porta invece diritto ad una conclusione inoppugnabile: non v’è legge di Stato, esiste invece la legge del singolo, del gruppo, della tribù.
Da questa conclusione ogni aberrazione può derivare: dalla più innocua per così dire di chi è convinto che non la legge ma la spinta o la «chiave» o la compiacenza del funzionario amico può dargli «giustizia», alla più grave di chi, presa contezza della inesistenza dello Stato, se ne crea un altro, fondato sul sangue, sui delitti più efferati.
Il momento storico nel quale si muoveva Cicerone era diverso: perché per lui si trattava di scegliere fra dittatura efficiente e democrazia; ma il dilemma di fondo è attuale e si concreta per noi nel dubbio se vale la pena dare fiducia a questa democrazia; e se non vale la pena, che fare?
C’è chi, dando per scontata la sfiducia nelle istituzioni, si dà alla eversione e c’è chi invece si chiude nel proprio guscio, amministra come meglio crede se stesso ed il proprio nucleo familiare e quando deve necessariamente venire a contatto con il pubblico potere cerca modo e maniera per eludere leggi ed ordinamenti, con modi leciti e meno leciti, purché non abbia contatto con l’ordinamento dello Stato, sia giudiziario che puramente burocratico.
Torna qui opportuna la citazione di un altro quesito che si poneva Cicerone nella lettera all’amico Attico: «In una Patria tiranneggiata può un buon cittadino tenersi tranquillo in disparte per il timore di correre un qualunque rischio?».
La domanda era puramente retorica perché Cicerone che aveva prepotente il senso dello Stato, in disparte non se ne sarebbe stato mai, e non se ne stette.
E’ necessario, è doveroso, per come meditava Cicerone, sentirsi comunque parte dello Stato e corresponsabili di ciò che accade.
Il Governo è fatto di uomini, e se questi uomini si sentiranno tallonati da un popolo che nella sua stragrande maggioranza impone un certo costume, impone il rispetto delle leggi, dimostra di ritenere utile vivere rettamente, dovranno pur cambiare registro o cedere ad altri il passo.
Altra alternativa non abbiamo; anche se avessimo un Cesare efficiente da contrapporre ad un Governo in perenne fuga.