Prometeo e Ulisse (ultima parte) Prometeo e Ulisse: l’intelligenza e l’astuzia, narrate dal giurista blogger Giovanni Cardona
Pietro Solari dice che «i furbi o quelli che si ritengono tali, straripano». Non è esatto il mondo animale non usa la parola, eppure non è del tutto privo di intelligenza e, in ogni caso è ricchissimo di astuzie.
Di regola, anzi, il pettegolo non è furbo. Il furbo segue il consiglio di Mark Twain: «non fate mai pettegolezzi, a meno che non sia per mantenervi in esercizio».
Si dirà: ma il Padre Provinciale dei «Promessi Sposi» parla, e quanto! Il furbo non è muto per deliberazione: è loquace solo per utilità. Considerandola sul piano utilitario, anche la parola ubbidisce all’imperativo del mezzo idoneo al fine.
Nell’opera di Manzoni, la vita non è solo ritratta in «grosso modo»: è ritratta persino nella gradazione del chiaroscuro; e anche qui è il limite differenziale fra la scaltrezza (il conte Attilio), la furberia (il Padre Provinciale), l’astuzia (il conte zio).
Ma la fiera della furberia che tesse la trama è nella conversazione fra il conte zio e il Padre Provinciale. Tutta la prima parte del capitolo XIX potrebbe essere il trattatello pratico del furbo.
Manzoni, in questo colloquio fra i due, pare nascosto dietro il paravento a intercettare il furbesco ammiccare degli occhi: il sibilo dell‘ironia che passa fra parola e parola, nelle pause, nei gesti, staglia potentemente le due coscienze torbide che si toccano e si staccano nel maligno gioco delle carambole.
Tuttavia, se non diremo che l’astuzia sia il sale della vita, non potremo nemmeno concludere che di essa si possa essere sempre immuni.
Lo stesso Manzoni nel 1848 scrive una lettera che noi diremmo astuta, quando crede di dimettersi da deputato appena eletto nel collegio di Arona. Scrive: «Mi trovo nella dolorosa necessità di protestarmi inabile a sostenere il difficile incarico, dato che mi ha difetto più di una qualità essenziale ad un deputato… il dono che mi manca è quel senso pratico, quell’opportunità, quel saper discernere il punto dove il desiderabile si incontri col riuscibile, e attenervisi, sacrificando il primo con rassegnazione, non solo, ma con fermezza fin dove è necessario (salvo il diritto). Un utopista e un irresoluto sono due soggetti inutili, per lo meno in una riunione dove si parli per concludere; io sarei l’uno e l’altro nello stesso tempo… di maniera che in molti casi, e singolarmente nei più importanti, il costrutto dei mio parlare sarebbe questo: Nego tutto e non propongo nulla».
Non si può negare che questa lettera nella quale l’autore nega di essere astuto, non sia ripiena di astuzia. Alla radice di questo «Domine non sum dignus» c’è un vago desiderio di tranquillità alquanto compromessa nella perigliosa vita pubblica del ’48.
L’intelligenza è creata da Dio, la furberia dagli uomini.
Prometeo ruba al cielo la scintilla eterea per animare l’uomo d’argilla. Osa tanto pur essendo solo un Titano, un figlio di Giapeto. Non è furbo. Prometeo sfida l’ira di Giove e Giove l’inchioda sul Caucaso, e dall’avvoltoio gli farà rodere il cuore in eterno. E’ la cronaca nera dell’Olimpo. Ma se l’intelligenza perde nella cronaca, vince nella storia. E dopo 30 anni quando la cronaca diventa storia Ercole libera Prometeo. E Prometeo rimane unico nel tempo infinito ad avere elevato il volo dell’intelligenza pur contro il segreto degli Dei.
Ulisse invece non conosce il rodere dell’avvoltoio né la ghiaccia immobilità del Caucaso. Egli riesce sempre a vincere la sorte giorno per giorno: invece di accorrere volontario alle armi, si finge matto per non andare alla guerra; invece di combattere in campo aperto, escogita il cavallo di Troia; invece di accettare la lunga strada, ruba i cavalli bianchi del monarca di Tracia: sfugge a tre prigionie, a quella di Circe, a quella di Calipso e a quella di Polifemo; sfugge all’amore delle Sirene. Ma non ha lasciato all’umanità il dono della fiaccola di Prometeo, non ha lasciato alcun dono, non ha mai osato di misurarsi con Giove. Prometeo ha conosciuto i ceppi, ma ha conosciuto anche la libertà dai ceppi: Ulisse è finito secondo l’oracolo aveva previsto, spento da Telegono.
Prometeo ha vissuto male ed è finito bene. Ulisse ha vissuto bene ed è finito male.
E’ l’ultimo traguardo quello che segna il destino dell’intelligenza e la sorte della furberia. L’una è un destino, l’altra una sorte.
(fine)