Candidatura sindaco Villa, Tar dà ragione a Siclari Ritenuto infondato il ricorso presentato dall'opposizione
«Giovanni Siclari poteva candidarsi a sindaco, anche dopo la condanna in primo grado perché nessuna norma glielo vietava». È questa, in estrema sintesi, la motivazione con cui il Tar di Reggio Calabria ha dichiarato in parte infondato ed in parte improcedibile il ricorso presentato originariamente da buona parte dell’opposizione e poi riproposto solo dai consiglieri Pd Antonio Salvatore Ciccone e Angela Vilardi. E si tratta di una pronuncia che chiude definitivamente una vicenda costata a Villa San Giovanni un periodo di ulteriore incertezza, con un commissariamento del quale la città avrebbe fatto volentieri a meno. Una vicenda che ha visto un accanimento inspiegabile se si considera che inizialmente anche un altro ricorso è stato presentato da altri non eletti e Idv e subito rigettato.
Ma la volontà dei consiglieri di minoranza di opporre le loro ragioni a quanto chiaramente previsto dalla normativa, ha prodotto l’unico risultato possibile: neutralizzare sotto ogni profilo le tesi sostenute in giudizio, a tutto vantaggio dell’attuale amministrazione comunale che esce, ancora una volta, a testa alta da un confronto a tratti anche duro, ma sempre improntato al rispetto reciproco. «Si chiude definitivamente un brutto capitolo della storia della nostra città- ha dichiarato il sindaco Giovanni Siclari – ma da tutto questo esco con la convinzione che Villa abbia avuto un doppio riconoscimento e questo mi rincuora perché l’amministrazione, che mi onoro di guidare, ha superato sia il vaglio di legalità della commissione d’accesso sia il vaglio di legittimità del Tar. Hanno tentato di bloccare per mesi l’azione politica continuando a fare ricorsi, nonostante fossero rimasti solo in due a credere a questa strategia, gli altri consiglieri hanno rifiutato di firmare il ricorso, strategia che ha rischiato di produrre danni alla citta cercando di ostacolare l’azione politico/amministrativa. Hanno destabilizzato la città senza giustificazione. Inizia adesso una nuova fase, i rapporti con la minoranza sono senza dubbio più distesi e questo ci consentirà di lavorare ancora più intensamente e con maggiore entusiasmo per ottenere i risultati che ci siamo prefissati e che la città attende».
Tutto prende avvio dalla sentenza del 2016, con cui il Tribunale di Reggio Calabria condannò l’attuale sindaco, Giovanni Siclari, ad un anno di reclusione per la vicenda Bandafalò. Ai sensi della legge Severino, Siclari, come tutti gli altri amministratori, fu sospeso in attesa del giudizio d’appello. All’epoca non era primo cittadino ma assessore comunale. Ma dopo qualche mese, l’11 giugno del 2017, al termine di un’accesa campagna elettorale, Giovanni Siclari risultò il sindaco eletto di Villa San Giovanni. Il giorno successivo, cosciente di una imminente sospensione, peraltro abbondantemente annunciata già nel corso della campagna elettorale, il primo cittadino nominò Maria Grazia Richichi nel ruolo di assessore, conferendole anche la carica di vicesindaco.
Il 14 giugno, invece, arrivò il decreto prefettizio di sospensione per il sindaco appena eletto, così come previsto dall’articolo 11 della legge Severino. Frattanto, Maria Grazia Richichi nominò i componenti della Giunta comunale e le linee programmatiche. A giudizio dell’opposizione, però, quegli atti furono illegittimi. Una tesi condivisa dal Tar di Reggio Calabria che accolse parzialmente il ricorso disponendo l’annullamento di tutti gli atti impugnati, con esclusione del verbale di proclamazione degli eletti e nominò un commissario per la guida del Comune. Siclari ricorse immediatamente al Consiglio di Stato che diede ragione all’attuale sindaco annullando la sentenza e rinviandola per un nuovo giudizio di primo grado, con conseguente cessazione degli effetti della nomina di Saladino. Il ricorso venne nuovamente ripresentato da Ciccone e Vilardi.
Ora, però, la decisione del Tar taglia definitivamente la testa al toro, dando torto alle tesi propugnate dall’opposizione. Secondo quest’ultima, infatti, l’articolo 11 della legge Severino comporterebbe non solo la sospensione dalla carica di diritto, ma anche l’impossibilità di accedere a nuove cariche pubbliche negli enti territoriali, per tutta la durata della sospensione. Da ciò ne sarebbe conseguita una illegittimità del verbale di proclamazione degli eletti nonché di ogni altro atto compiuto dal sindaco, compresa la nomina della Richichi.
I giudici, però, hanno stroncato tutte le possibili congetture sul punto.
Secondo il Tar, infatti, «l’impossibilità di accedere a nuove cariche si convertirebbe in un’ipotesi non prevista dal legislatore, di incandidabilità. Al contrario – proseguono i giudici – il decreto legislativo 235/2012 ha distinto le ipotesi di incandidabilità da quelle di mera sospensione della carica». La condanna di Siclari, insomma, «non gli precludeva la candidatura nelle nuove elezioni amministrative», posto che la legge li ritiene «sospesi di diritto dalle cariche indicate», ma non che «non possono essere candidati». Da qui emerge come il verbale di proclamazione di Siclari resiste alle censure dell’opposizione, non ravvisandosi alcuna violazione di legge. Quanto alla nomina della Richichi ed agli atti susseguenti, il Tar ha ritenuto il ricorso improcedibile per carenza d’interesse: la sentenza della Corte d’Appello che ha dichiarato l’ assoluzione e la prescrizione del reato ascritto a Siclari, infatti, ha rappresentato un vero e proprio colpo di spugna in tal senso.