La politica covo di corruzione, incapaci e ruffiani? Quando c'è un brodo fatto dal malessere sociale e dai poveri disgraziati
Prefazione “…quando la morte mi chiederà di restituirle la libertà forse una lacrima forse una sola sulla mia tomba si spenderà forse un sorriso forse uno solo dal mio ricordo germoglierà”
È un paese divorato dalla corruzione. E la questione più preoccupante oltre al suo essere un cancro in metastasi, difficile da debellare, è la “normalità” che essa ha all’interno delle istituzioni. A qualsiasi livello. Come se corrompere ottenendo prebende e benefici sia un atto dovuto di “ordinaria amministrazione”, così come ogni uomo delle istituzioni ha un prezzo di vendita.
Ma è anche la battaglia dell’orologeria e del pendolo, tra giustizialisti (o manettari) e garantisti (quest’ultimi riconosciuti dalla Costituzione Italiana). Come una giostra di insulti e di indignazioni su chi cade prima (e dopo), nei meandri della giustizia, quindi della magistratura. Un pallottoliere che segna un punto o una battaglia navale in pieno svolgimento tra “colpiti e affondati”.
Facce nuove che indossano un vestito vecchio. O facce vecchie con il vestito nuovo. Eppure quel restyling della morale tarda sempre ad arrivare in ogni contesto politico e democratico (seppur di questa parola si riempie la bocca, svuotando l’etica nei significati e nei principi).
È una diatriba al veleno tra due contendenti dove il terzo gode. Tra un “Percegridismo Dissenterico” colmo di residui bellici da smaltire o meglio, da “bonificare” per le anime inquinate nel tempo che si scontrano con quelli di “Honestà Honestà Honestà”, ma che hanno prodotto solo macerie, ignoranze e fumo negli occhi. Mentre l’avvento della nuova “giovinezza giovinezza, primavera di bellezza”, vola in alto tra le onde di un dissenso sociale, nuotando tra mal di pancia e camminando sopra le macerie di poveri disgraziati per trarre consenso.
Ma fino a quando durerà questo massacro? Questo gioco fatto di ombre e “piglianculo” come li definiva Leonardo Sciascia perché di “quaquaraquà” ne abbiamo a iosa e non fanno più testo.
Tra la “congiunzione astrale da sfruttare” e genitori presunti bancarottieri, la politica italiana è un contesto di birilli, dove il “migliore ha la peste” e magari pure un debito di 49 milioni di euro da restituire allo Stato, ma che paradossalmente fa “strike” con il resto dei “birilli”.
Eppure qualcuno passi in avanti ne ha fatto, ma alla fine è stato un nuovo scenario gattopardesco (tant’è che Tomasi di Lampedusa si è già rivoltato nella tomba), vista la direzione nazionale del “Percegridismo”, i soliti noti, la stessa cancrena che difficilmente pare si riesce a debellarla. E soprattutto creando altre spaccature fatte dai soliti noti, di quelli che non avrebbero più ragione di esistere in politica, ma che purtroppo rimangono saldo al loro orticello inquinato e maleodorante.
Questo paese ha bisogno di Sinistra, ha bisogno di riformismo, di Socialismo e Libertà. Sì di libertà, quella delle idee pulite e prive di pregiudizi, come di “Liberazione” e “Uguaglianza”e che insieme a una giustizia sociale siano degni di uno stato laico (avulso da partiti e personaggi, residui metastatiche del passato), contro chi oggi si cela dietro mentite spoglie spacciandosi sempre per nuovo come serpenti che cambiano pelle. Sia a livello locale, nella più piccola realtà italiana fino alla metropoli. Ma come ci insegna Esopo, sempre di serpenti si tratta (anche quelli della porta accanto).