Calabria, boss ‘ndrangheta lascia il carcere al 41 bis L'indignazione della politica regionale
Il presunto capomafia cetrarese Franco Muto, coinvolto negli ultimi decenni in numerosi blitz e processi della Direzione distrettuale antimafia catanzarese – l’ultimo in ordine di tempo denominato “Frontiera” – ha lasciato il carcere per essere sottoposto al regime meno afflittivo degli arresti domiciliari. L’anziano mammasantissima è difeso dagli avvocati penalisti Nicola Guerrera e Luigi Gullo. Le porte della casa circondariale ove era detenuto Muto, si sono aperte a seguito della assoluzione dalla specifica accusa per associazione a delinquere di stampo mafioso per il capocosca nel processo antimafia denominato “Frontiera”, condannato però a 7 anni e 10 mesi per la gestione occulta dell’Eurofish. Essendo venuto a cadere, infatti, il reato associativo, conseguentemente sono venuti a mancare i presupposti per la determinazione in carcere.
Le reazioni della politica
“La concessione degli arresti domiciliari a Franco Muto, potente boss della ndrangheta del Tirreno cosentino, ci lascia perplessi e aspettiamo di conoscere le motivazioni del provvedimento“. Lo afferma l’on. Jole Santelli, vice presidente della commissione antimafia di Forza Italia. “Un boss di questo calibro non va in pensione – continua la Santelli – né si può affermare che la sua perversa influenza sul territorio sia scemata. Nell’opinione pubblica generale questa notizia – conclude Santelli – ha destato molto sconcerto e per questo è obbligatorio rendere trasparente al più presto i motivi di questa decisione, che vanno spiegati con concretezza e non con decisioni calate dall’alto”.
“Rispetto come sempre le decisioni della magistratura, che avrà ritenuto di avere motivazioni molto solide per concedere i domiciliari al boss della ‘ndrangheta Franco Muto, il ‘re del pesce’, finora detenuto in regime di carcere duro. È innegabile però che la decisione del Riesame, per quanto ponderata, susciti perplessità tra i cittadini e contribuisca a diffondere un senso di sfiducia sulla complessiva capacità dello Stato, nelle sue articolazioni, a dare una concreta risposta alla criminalità organizzata”. E’ quanto afferma il segretario della commissione parlamentare antimafia, on. Wanda Ferro (FDI), che prosegue: “Che un boss condannato per gravi reati torni a casa restituisce inevitabilmente l’idea di uno Stato che indietreggia nell’azione di contrasto alla mafia. Certo, in uno Stato di diritto prevale sempre il rispetto della legge, anche di fronte ad un legittimo senso di rivalsa nei confronti dei più spietati boss mafiosi, ma occorre a questo punto interrogarsi sulla eventuale necessità di rafforzare l’efficacia della attuale legislazione per avere la certezza che i criminali scontino fino in fondo la propria pena, senza il rischio che possano tornare, con l’alleggerimento delle misure detentive, alle loro postazioni di comando. E’ doveroso nei confronti dei cittadini, dei magistrati e delle forze dell’ordine che sacrificano la loro vita nella lotta alle organizzazioni mafiose, ma soprattutto nei confronti delle tante vittime innocenti della criminalità e dei loro familiari”.