In fondo al tunnel la luce è ancora molto debole, restiamo a casa Piccola elucubrazione di chi sogna senza aver mai sognato
“E siamo qui, spogli, in questa stagione che unisce. Tutto ciò che sta fermo, tutto ciò che si muove”, è nelle “domande consuete” che si consumano i giorni di questa triste epidemia, dove alcuni valori della vita, delle cose perdute e, forse ritrovate sta unendo un intero paese. “Non so dire se nasce un periodo o finisce. Se dal cielo ora piove o non piove”, quello che Guccini chiede alla sua coscienza è, al contempo, quello che vorrebbe trasmetterci con la soavità di qualche nota nascosta dentro una chitarra, in quella musica che noi chiamiamo vita. “Fuori c’è una città”. Ferma, assopita in un silenzio compromesso solo da qualche ribelle che ancora pensa che l’immortalità esiste. Quando poi tutto sta nella brevità del nostro tempo che ci impone di viverlo con l’intensità del valore che merita, perché quello che è stato mai ci verrà restituito.
Ma restiamo sempre qui, con le solite diatribe ad osservare i pulpiti di una morale divenuta oramai mercimonio da banchetti abusivi. Cerchiamo di trovare il buono lì dove quel buono non potrebbe mai esserci. A lamentarci e ad inveire contro gli sciacallaggi del momento, delle solidarietà alla Truman Show, come un grande fratello che ci osserva, immortalando la bramosia di apparire a tutti i costi.
Viviamo in un momento dove la cattiveria dovrebbe essere messa da parte per lasciare il posto al buonsenso e alla consapevolezza che noi siamo un attimo nell’infinito percorso di un orizzonte. E che i sorrisi genuini dovrebbero imporre la loro freschezza contro la lugubre condizione di apparire per quel che non si è, insieme alla mistificazione per una condizione già compromessa. Perché le favole insegnano che il bene prevarrà sempre sul male. Che i draghi esistono, ma non tutti sono cattivi.
Il periodo è buio, la luce in fondo al tunnel inizia a intravedersi ma è ancora debole, troppo debole. Quel buio vissuto dentro al tunnel è colmo di sciacalli, iene che si cibano di carogne e di marchettari provinciali. È un tunnel dal buio pesto che non ci ha fatto ancora capire che la salvezza di uno solo equivale alla salvezza di tutti. Doveva essere un gioco di squadra, ma per colpa di pochi si è ridotto ad una competizione per ottenere il nulla compagno dell’idiozia.
Perché ancora non si riesce a capire che volersi bene è una condizione fondamentale che ci unisce? Perché si insiste a non comprendere che siamo in un mare travolgente dentro una barca a rischio naufragio. Se cadiamo non ci rialzeremo più. Cosa ancora non si riesce a comprendere in questo sogno comune, svuotato dalla paura che tutti insieme possiamo farcela?
Restiamo a casa, è dura per tutti, ma è quella soluzione che ci consente quando usciremo dal tunnel che al di là degli eventi, potremmo essere delle persone migliori.