Torce nell’abisso Riflessione del giurista blogger Giovanni Cardona sulle attuali inquietudini
Il mito più squallido e pericoloso è quello di una sconsacrazione e demitizzazione sistematica e ininterrotta di tutto, quasi un nichilismo arrogante e lunatico, aggressive e vuoto. Dall’altra parte della sponda troviamo una rassegnata immobilità nella contemplazione del male e dell’errore.
La maggior parte della gente chiude gli occhi per non vedere quel che succede; il pensiero è sovraccarico di passione, di egoismo, di egotismo, di avidità, manca la caratteristica dell’insegnamento di Freud, che è il coraggio di andare contro corrente, quindi ci troviamo immersi nel più vile conformismo e nella più ripugnante inerzia.
Affiorano, purtroppo, le scorie di un’umanità inferma, uomini travolti dalla nevrosi della perversione, affetti da pessimismo che deprime, i quali assistono inerti e apatici al crollo di tutti i valori morali, sempre chiusi in un egoismo cieco e perverso.
La sovversione ha assunto ormai un carattere cronico, l’indifferenza religiosa è assoluta, si vive in un mondo ossessionato, in un vuoto morale assoluto, sepolti nell’abisso della nostra miseria morale.
Si parla, è vero, di una esaltante etica umanistica, di un maggior senso di giustizia, di una maggiore partecipazione delle masse alla vita pubblica, di più elevata coscienza, ma in sostanza si tratta di un umanesimo equivoco, chiuso in un ciclo storico di assoluta negazione.
Non basta la disapprovazione del presente e chiudersi in una inerte aspettazione dell’avvenire, bisogna agire e reagire, per l’affermazione dei diritti umani, tenendo però presente che è «morale» ciò che rende spiritualmente elevante, ciò che rende l’uomo migliore, più consapevole del proprio destino e più preoccupato del destino degli altri.
Purtroppo oggi la morale non è più la maestra della vita come nel passato, quando gli uomini non indulgevano all’errore, alla pieghevolezza, al compromesso, al reato.
La corruzione in tutti i campi, lascia indifferente chi la fa e chi la subisce, tutto è corrotto: la scuola, la famiglia, la società, lo Stato, vi è un’assoluta incertezza sui valori che debbono reggere la vita dell’uomo e si confondono i concetti dell’etica e della morale.
La morale prescrive il modo di comportarsi e vuole orientare la vita verso determinati valori, mentre l’etica chiarisce il fondamento della morale, è una riflessione critica sulla morale, non prescrive azioni o valori determinati, ma vuole chiarire i criteri generali, i principi ai quali qualsiasi morale deve ispirarsi per dettare le proprie norme.
Il benessere ha dato all’uomo una grande quantità di cose, ma l’uomo è insoddisfatto dato che il suo cuore è più grande di queste «cose»: il benessere quindi ha finito col creare quelle condizioni alienanti per cui l’uomo si sente svuotato, inaridito, frustrato, disgregato.
La mancanza di ideali etici, crea una vita vuota di contenuti, ricca di inquietudini e di nausea, una vita agitata, rumorosa, triste, tormentata, anarchica.
L’uomo vive in un’atmosfera di impotenza, correndo follemente verso l’ignoto, incapace di uscire dall’abisso per salire verso la luce, incapace di liberarsi dall’uragano devastatore da lui stesso creato.
Oggi si conduce una vita falsa, chiassosa, volgare, una vita senza fede, che altro non è che una corsa per acchiappare mosche; l’uomo si sdoppia nella sua personalità, e nel contempo uno, nessuno e centomila, ama i disvalori della vita, e autolesionista, divergente, dissociato.
Si vive dispersi in modo folle e sconvolto, con una successione di vuoti che si inseguono, senza avvertire il senso di deriva; una vita senza risonanza, tumultuosa e dispersa a tutti gli eventi, caratterizzata dall’irrazionale, dall’incoscienza dell’impulso e dalla volontà imponderata.
Il deserto morale e ideologico è assoluto, il cervello è colmo di pensieri nebulosi, contorti, oscuri, sfuggenti. Noi non sappiamo dare un contenuto, un volto alla vita, un’anima alla politica, non siamo aperti al colloquio; nell’epoca cosiddetta del dialogo vi è un’assoluta incomunicabilità, la vita psichica individuale e collettiva è ricca di compromessi che avviliscono e sviliscono, sempre in preda a contraddizioni divoratrici.
Il torto forse più grave del nostro tempo e quello di non sapere dialogare per la ricerca della verità. Oggi, come dice S. Paolo, non c’è possibilità di dialogo ma di lotta, il dialogo è declassato a dibattito.
Ha ragione Socrate, quando dice che il dialogo è il bene supremo e perenne dell’uomo, l’anelito più profondo dello spirito, perché quando si riesce a dialogare si vince la vita e si supera la morte.
E in questa confusione siamo incapaci di gettare torce nei nostri abissi, incapaci di condurre una vita spirituale più intensa ed elevante, senza componenti illusorie, incapaci di evitare che la vita di ogni giorno sia un continuo naufragio.
Tutto ciò avviene perché noi andiamo contro ai canoni fondamentali della vita, la quale è una sintesi di forze spirituali e materiali, un atto di volontà e di fede.
Non abbiamo ancora capito, nonostante tutti i progressi delle scienze umane, che la vita è una creazione continua, un’espansione ed è soprattutto dovere che vuol dire ascesi, amore, carità, superamento di ogni divisione.
Per vivere bene bisogna trovare una finalità, una giustificazione, uno scopo, perché vivere vuol dire espandersi secondo il Vangelo che è legge di amore.
Dice Seneca che non vi è arte più difficile del vivere, e ciò è vero perché per vivere è necessario svilupparsi bene nella vita interiore, per svilupparsi contemporaneamente bene nella vita esteriore.