Stupidi e pazzi Considerazioni del giurista blogger Giovanni Cardona sulla stupidità e sulla pazzia
Non so se sia un bene questo cimentarsi col mistero; certo è arduo, ché in fondo la storia della stupidità e la storia della pazzia si concludono in quella dell’umanità: senza l’apporto di queste due forze sbilanciate, l’umanità verterebbe su strapiombi imprevisti, e tutta la vita sarebbe segnata da connotati diversi.
Il Vangelo afferma «infinitus est numerus stultorum»: lo stupido è un accidente che presuppone la norma, è un arresto che presuppone il termine d’arrivo, è la patologia che presuppone la fisiologia.
Bisogna prima stabilire i riflessi logici, le secrezioni endocrinali, i toni emotivi; e poi accertare, in confronto a queste medie, lo squilibrio della personalità in cui lo stupido si concreti.
La stupidità, si riscontra storicamente sin dagli evi antichissimi, nelle tavole di Buddha il Gothama stabilisce tre soli peccati cardinali: raga la sensualità; dasa la malafede; moha la stupidità; e dei tre considera l’ultimo il più grave.
Gli studiosi di inizio ‘900 elencavano nove categorie di stupidi: quelli sforniti di adeguata sensibilità per l’idea di giustizia; quelli in cui le percezioni, sebbene chiare singolarmente, non vengono ordinate sì da svelare in massa il loro significato; quelli che non trovano alcuna via di maneggio della situazione; quelli che sono afflitti da difetto di espressione; quelli che hanno erratica attenzione sì da confondere gli argomenti; quelli incapaci di rilevare i fattori di una data situazione; quelli che non riescono a integrare i risultati parziali in un piano d’azione definitivo; quelli che non hanno immaginazione; quelli che non hanno la sufficienza necessaria alla verifica dei risultati ottenuti.
Non può dirsi che sulla stupidità incida la gerontarchia ossia la gestione del mondo da parte dei vecchi: Dante finisce il Poema lo stesso anno della sua morte, Leonardo, press’a morire dipinge il Battista, il Tintoretto a 70 anni dipinge Il Paradiso, Tiziano a 97 La Battaglia di Lepanto, Michelangelo decrepito fa il modello della Cupola Vaticana, Kant a 71 anni scrive La Metafisica dell’Etica, Verdi compone le migliore aree dopo gli ottanta anni, e ancora Ibsen, che raggiunge la grandezza dai cinquanta ai settant’anni.
Invece la pazzia è al di fuori di categorie estetiche, si configura come l’esplosione della vis libertaria: ecco gli avulsi, i ribelli, cioè i nemici del vivere sociale.
Quando Pietro III, il marito della Grande Caterina, gioca coi soldatini di piombo e indossa la grande uniforme per passarli in rivista, è stupido o e pazzo? Quando il figlio, Paolo I, essendo rimasto senza capelli, emana un decreto per comminare pene severissime contro chi pronunci la parola «calvo», è stupido o è pazzo? Tutto il sangue che gronda nella Casa Imperiale di Russia – Pietro I che uccide il figlio, Alessandro I che uccide il padre, Caterina I che uccide il marito – gémica dalla stupidita o gémica dalla follia?
Carlo V, carico di note degenerative, che ama coricarsi in una bara e vuole che d’attorno si recitino le preci dei morti, è un pazzo o uno stupido?
Allora non sbagliava di molto Kant, quando voleva che il pazzo fosse, prima di essere dichiarato tale, sottoposto all’esame della Facoltà Filosofica Universitaria: perché la valutazione sociale si evolve, ed è il filosofo l’interprete di tale evoluzione.
Per esempio nella tragedia shakespeariana: Amleto, che si finge pazzo, è pazzo, perché si simula solo ciò che si ha: «o Amleto, il cuore in due mi hai infranto» e Amleto risponde: «Oh getta via la parte peggiore e vivi di quell’altra! Buona notte!», Amleto è grande in quel suo destino di far piegare l’anima di chi lo sente al senso tragico delle umane cose.
La verità è che già gli antichi filosofi come Alcmeone di Crotone (540 a. c.), Hippone Filolao e Galeno, ammonivano come le forme della vita psichica dovevano localizzarsi nel cervello ed Ippocrate insegnava che col cervello «sapimus et intelligimus et insanimus», sbaragliando quei filosofi primitivi che scambiavano il cuore per il nido del pensiero con qualche contrastata partecipazione della milza o del sangue.
In fondo aveva ragione Bertrand Russell quando affermava che “Il problema dell’umanità è che gli stupidi sono sempre sicurissimi, mentre gli intelligenti sono pieni di dubbi.”