Il messaggio augurale dell’Arcivescovo Mons. Bertolone Per il nuovo anno scolastico
Carissimi studenti e studentesse, trascorsi questi mesi difficili di isolamento a motivo della pandemia globale, per qualcuno tra brevi e corroborati giorni di pausa estiva, si torna fra i “nuovi” banchi di scuola mono-posto, dove rispetterete le massime norme di sicurezza ma, spero, non perderete il vostro “spirito comunitario” (da soli nei banchi singoli, ma tutti membri della medesima classe e della stessa scuola). Quanto a me, ho pensato di dedicarVi una lettera, scritta da Vincenzo, giovane liceale maturando, al suo amico Francesco. Gli racconta un sogno, nel quale, come protagonista, vi è una maestosa quercia che grida aiuto perché sente ormai morire le sue vecchie radici. Leggetela con semplicità, da soli o in gruppo e, soprattutto, coglietene il senso. Il sogno, come la favola, ha sempre il suo senso.
Lettera di Vincenzo
«Ciao Francesco!
ho deciso di scriverti per condividere con te il sogno che ho fatto questa notte. Lo so che ormai dei post lunghi e le lettere non si usano più. Basterebbe qualche istantaneo messaggio, corredato da qualche smile, per rendertene partecipe, ma preferisco affidare questi miei pensieri addirittura alla penna, non alla digitazione al pc o al cellulare, certo che ogni parola che scelgo per descriverti quanto avvenuto è frutto di riflessione e non di istinto: per questo mi perdonerai…
Ma andiamo al mio sogno: tra le tinte fosche di un paesaggio alberato, le nubi, ormai leggere dopo la pioggia, cedevano il posto ai raggi del sole che andavano via via illuminando la folta chioma di un albero: una quercia secolare il cui aspetto maestoso aveva catturato la mia attenzione. Ammaliato dalla sua magnificenza, ne fui quasi ipnotizzato.
D’un tratto la quercia si mise a gridare e, preso com’ero da tanta bellezza, mi misi docilmente in ascolto. “Aiuto, aiuto”! “Perché questo grido? Non lo comprendo. Ammiro la tua bellezza che fa invidia a tutti gli altri alberi del bosco, e tu, invece di gioire per questo, gridi aiuto?”, risposi. “Hanno attaccato le mie radici!”, mi rispose triste la quercia. “Se non si interverrà al più presto, fra qualche anno della mia bellezza resterà solo il ricordo: gli uccelli non faranno più il nido tra i miei rami, il viandante non beneficerà più della frescura e non potrà più ripararsi dal sole nei giorni di calura». Preso da compassione, mi misi ad ascoltare il lamento della quercia ed essa, visto il mio interesse, prese a raccontarmi la sua lunga storia. “Partiamo dalle mie radici”, esordì.
«Nell’VIII secolo a.C. gli Etruschi decisero di piantarmi in questa vallata, spoglia di tutto, ma eletta a loro dimora; dopo un po’ di tempo, quando ancora non mi reggevo in piedi, vennero i Romani e con dedizione si presero cura di me. Essi portarono sviluppo economico per questa vallata, che crebbe, si ingrandì: molto copiarono dalla Grecia verso la quale nutrivano ammirazione. Finirono per conquistarla. Intanto, al tempo di Cesare Augusto, nacque un uomo che stravolse la storia: era Gesù di Nazaret. Pian piano le sue discepole e i suoi discepoli giunsero fin qui, annunciando il suo Vangelo. Molti vi aderirono. Pietro, suo primo vicario, subì il martirio non poco lontano da qui. Pensa che il suo sangue bagnò le mie piccole radici che proprio allora si stavano irrobustendo e crescevano. Anni e anni passarono: le parole di quell’uomo non passarono come quelle dei tanti uomini illustri che pure avevano preferito ristorarsi al fresco dei miei rami, ancora troppo piccoli per fare l’ombra che offrono oggi. Nel Duecento, tra le tante vicende che si susseguivano – alcune gioiose, altre tristi – sorse un uomo la cui fama si diffuse presto anche qui: era un nobile cavaliere, che decise di sposare Madonna Povertà, seguendo l’esempio di quell’uomo di Nazaret che aveva trasformato le sorti della storia. La sua fama non è legata alla sola esperienza spirituale e religiosa. Egli scrisse un testo poetico, che fu considerato il più antico della letteratura italiana».
Estasiato da questo racconto così bello e coinvolgente, mi parve di sentire dalla voce della quercia ciò che fin da bambino avevo udito tra i banchi di scuola: racconti intrisi di storia e di letteratura. Così presi il coraggio di interrompere la quercia e le dissi: «Amica mia, mi sembra di conoscere la tua storia. Di sicuro, allora, qualcuno, riposandosi alla tua ombra, avrà declamato i versi de la Divina Commedia di Dante, i sonetti del Petrarca, le novelle del Boccaccio. Qualche pellegrino, diretto a Roma, dopo esser passato per Firenze, avrà sostato per considerare ancora le bellezze artistiche lì ammirate. E poi, qualcuno ti avrà raccontato di Renzo e Lucia o, stanco a sera, avrà descritto la bellezza della luna con i versi di Leopardi. Chissà quanto altro ancora avrai ascoltato»! Mi rispose:
«Hai proprio ragione! Conosco i segreti di molti uomini: sconfitti in battaglia o baciati dalla vittoria, dovevano comunque passare da qui. Ma, ora, il mio cuore si riempie di tristezza perché una brutta malattia ha attaccato le mie radici e sembra che la mia storia sia destinata a finire». “Perché, amica mia?”, le dissi commosso. «Gli uomini di oggi tendono a dimenticare le loro origini e spesso, purtroppo, le rinnegano. Così, quasi con disprezzo, vengono ad inveire contro di me: “Ah, se non fossi mai stata qui! La tua presenza ci ricorda il passato da quale dobbiamo emanciparci, per fare spazio all’industria ed alla tecnica. Per questo attacchiamo le tue radici: quando sarai morta, noi, definitivamente svincolati dal passato, saremo liberi di inaugurare una nuova era: quella della libertà assoluta!”. Capisci qual è il mio dolore, caro amico?».
La sveglia interruppe il mio sogno: era il primo giorno di scuola. L’estate era finita ed era tempo di ritornare tra i banchi e mettersi sui libri per imparare, imparare, imparare. Quel sogno interrotto, io volli prenderlo per vero, cercando di dargli una convincente interpretazione. Saltato dal letto, vestitomi in fretta, presi il pullman per raggiungere la scuola. Tutti con le mascherine per evitare il contagio. I miei compagni non li vedevo da ancor prima che iniziasse l’estate; giacché la pandemia ha bloccato a marzo tutte le attività didattiche in presenza. Quest’anno, caro Francesco, siamo di maturità! Che bell’anno ci aspetta! Suonata la campanella, arriva per la prima ora di lezione la prof. di storia. Dopo l’appello, i convenevoli e i saluti di rito, la prof. dà inizio alla lezione: “Quest’anno vorrei che ognuno di voi conoscesse a fondo le sue origini: con alto senso critico studieremo la storia della nostra Europa”.
Non appena la prof. , iniziò a parlare di origini, mi venne in mente la quercia del sogno: forse il suo nome potrebbe essere “Europa”! Allora devo far attenzione al suo monito: «Hanno attaccato le mie radici!». Quest’anno mi impegnerò sul serio: non voglio che la quercia muoia. Prenderò io il posto di una delle sue radici e così continuerà ancora a crescere rigogliosa, dissi fra me e me.
Ora, caro Francesco, vorrei che tu ed io insieme considerassimo le nostre radici e raccontassimo la storia di questa quercia ai nostri compagni di classe, ed a chiunque incontreremo quest’anno. Solo così la quercia non morirà, anzi crescerà, ne sono convinto, perché saremo noi le sue nuove radici!
Vincenzo
Cari studenti e studentesse,
Questo è il sogno di Vincenzo da lui stesso raccontato per lettera a Francesco e, ora attraverso di me, condiviso con voi. Mi chiedo:
la quercia non è forse la nostra civiltà, fondata su valori cristiani, che, del maestoso albero, sono le radici? Ora, la quercia è affidata a voi: col vostro impegno, il vostro ingegno, la vostra giovinezza, la vostra creatività, la vostra libertà responsabile, non dimenticate queste radici! Abbiatene rispetto e cura! Siate voi stessi il vigore dell’albero che riconosce nella vitalità delle sue radici il fondamento della nuova energia e della speranza di futuro!
Faccio mie alcune parole di papa Francesco ai giovani nell’Esortazione apostolica Christus vivit: «A volte ho visto alberi giovani, belli, che alzavano i loro rami verso il cielo tendendo sempre più in alto, e sembravano un canto di speranza. Successivamente, dopo una tempesta, lo ho trovati caduti, senza vita. Poiché avevano poche radici, avevano disteso i loro rami senza mettere radici profonde nel terreno, e così hanno ceduto agli assalti della natura. Per questo mi fa male vedere che alcuni propongono ai giovani di costruire un futuro senza radici, come se il mondo iniziasse adesso. Perché è impossibile che uno cresca se non ha radici forti che aiutino a stare bene in piedi e attaccato alla terra. Ragazzi e ragazze, è molto facile ‘volare via’ quando non si sa dove attaccarsi, dove fissarsi» (Christus vivit, n. 179).
Coraggio, giovani, siate attenti alle vostre origini e saldamente ancorati nelle zolle della vostra storia, affinché il vostro studio porti frutti maturi e perché l’albero rigoglioso, sul quale sono cresciuti, abbia radici ben solide e vive!
Da giovane come voi, tra i banchi di scuola, imparai una bella poesia di Giovanni Pascoli: “La quercia caduta”; si tratta di un triste canto dedicato ad una vecchia quercia, ormai morta, e che tutti, ora, a parole rimpiangono, ma che nessuno, a suo tempo, si preoccupò di curare. La vecchia quercia, ormai è soltanto legna da ardere, senza più nidi di capinere. È una lirica commovente che mette in luce come molti lodano il valore delle persone o delle cose dopo averne usato ed abusato, ma senza aver mai rivolto ad esse un pensiero, una parola, di gratitudine. Ed eccone il testo: «Dov’era l’ombra, or sé la quercia spande/ Morta, né più coi turbini tenzona./ La gente dice: Or vedo: era pur grande!// Pendono qua e là dalla corona/ I nidïetti della primavera./ Dice la gente: Or vedo: era pur buona!// Ognuno loda, ognuno taglia. A sera/ Ognuno col suo grave fascio va./ Nell’aria, un pianto… d’una capinera// Che cerca il nido che non troverà» (in Myricae).
Ritengo che la protagonista di questa struggente storia, messa in scena dal poeta che, come Virgilio, dice di amare i racconti degli arbusti e dei bassi tamerischi, non sia la quercia, ma la capinera, che leva nell’aria la sola voce di dolore autentico di fronte alla fine di quell’albero vivente: lei che, con la caduta della poderosa quercia, ha perso, insieme col nido, tutto il suo piccolo mondo, il suo rifugio, il suo lavoro, il suo futuro.
Vi invito a sostituire questa lirica commovente con un’altra, al contrario carica di speranza, nella 0quale coglierete un grido di allarme per il pericolo al quale va incontro la quercia e non solo come chi cerca rifugio alla sua ombra. Sempre meno alberi, purtroppo: sempre meno verde; sempre meno verde, sempre meno ricambio di ossigeno e di vita. Il creato non deve essere più offeso, sfruttato, saccheggiato, ma curato con amore.
Per tutti voi studenti, dirigenti, docenti, personale ATA, famiglie, su tutto il mondo della scuola, invoco lo Spirito di Sapienza, di Intelletto e di Consiglio, perché possiate cercare con tenacia ed accogliere con docilità, la verità senza mai stancarvi di cercarla, così come insegna un grande maestro, Agostino d’Ippona: «La tua verità, Signore, non appartiene a me, né a nessun altro, ma è di tutti coloro che tu inviti apertamente a fruirne. E tu ci ammonisci severamente a non considerarla come nostra proprietà privata, perché non finiamo per esserne privati» (Confessioni, XII,25).
Amate la verità, cari giovani, e non abbiate mai la presunzione di possederla appieno!
Buon anno scolastico amici miei e, soprattutto, buona salute!
Catanzaro, 24 settembre 202
✠ P. Vincenzo BertoloneS.d.P.
Arcivescovo di Catanzaro Squillace