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TAURIANOVA (RC), SABATO 11 GENNAIO 2025

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Rosarno, inchiesta “Geolja”, annullata l’ordinanza di cattura a carico di Giuseppe Pesce Avverso la tesi d’accusa, che aveva finanche superato il vaglio del Tribunale del riesame di R.C., si è prontamente opposto, mediante ricorso per cassazione, l’Avv. Mario Santambrogio, rappresentando alla Suprema Corte come l’intero impianto accusatorio costruito intorno al proprio assistito fosse, in realtà, assolutamente inidoneo a sostenere l’esistenza di condotte rappresentative dell’adesione ad una consorteria mafiosa

Rosarno, inchiesta “Geolja”, annullata l’ordinanza di cattura a carico di Giuseppe Pesce Avverso la tesi d’accusa, che aveva finanche superato il vaglio del Tribunale del riesame di R.C., si è prontamente opposto, mediante ricorso per cassazione, l’Avv. Mario Santambrogio, rappresentando alla Suprema Corte come l’intero impianto accusatorio costruito intorno al proprio assistito fosse, in realtà, assolutamente inidoneo a sostenere l’esistenza di condotte rappresentative dell’adesione ad una consorteria mafiosa

La Suprema Corte di Cassazione, II^ Sezione penale, in accoglimento del ricorso avanzato dall’ avv. Mario Santambrogio, ha annullato l’ordinanza con la quale la il Tribunale della Libertà di RC aveva confermato l’ordinanza di cattura nei confronti di Pesce Giuseppe, da Rosarno.
Il Pesce era stata arrestato, unitamente ad altri 20 indagati, a seguito di ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa il 7 luglio 2021 dal Gip distrettuale di Reggio Calabria, nell’ambito dell’operazione di polizia “GEOLJA”, coordinata dalla direzione distrettuale antimafia reggina, contro presunti appartenenti alle cosche mafiose Pesce di Rosarno e Piromalli di Gioia Tauro.
L’indagine aveva riguardato, in particolare, una pluralità di episodi estorsivi di cui erano stati vittime numerosi titolari di esercizi commerciali operanti sul territorio di Gioia Tauro. Tra questi, anche due imprenditori rosarnesi i quali, dopo aver deciso di fissare il loro punto vendita a Gioia Tauro, nel 2018 pativano l’incendio del loro esercizio commerciale. Da qui l’entrata in scena di Pesce Giuseppe che, secondo l’ipotesi investigativa, si sarebbe relazionato con i vertici della mafia Gioiese al fine di individuare i responsabili del danneggiamento e ripristinare il diritto dei due commercianti compaesani a continuare a lavorare sul territorio confinante, in tal modo rafforzando il prestigio e la forza della cosca di appartenenza.
Da tali eventi, la procura distrettale aveva ricavato le imputazioni di appartenenza all’associazione ndranghetistica Pesce e di estorsione aggravata dalle finalità mafiose. Avverso la tesi d’accusa, che aveva finanche superato il vaglio del Tribunale del riesame di R.C., si è prontamente opposto, mediante ricorso per cassazione, l’Avv. Mario Santambrogio, rappresentando alla Suprema Corte come l’intero impianto accusatorio costruito intorno al proprio assistito fosse, in realtà, assolutamente inidoneo a sostenere l’esistenza di condotte rappresentative dell’adesione ad una consorteria mafiosa e di concorso nel reato di estorsione. Al contrario, secondo il penalista di Rosarno, i Giudici del Tribunale della libertà avevano non adeguatamente interpretato i contenuti delle intercettazioni ambientali dalle quali non emergeva, sotto il profilo della gravità indiziaria, un quadro probatorio capace di dimostrare che nel contesto temporale successivo al danneggiamento subito dai due imprenditori rosarnesi, Giuseppe Pesce avesse utilizzato metodi mafiosi per ripristinare il diritto di quest’ultimi a riaprire la loro attività commerciale sul territorio di Gioia Tauro.
La Suprema Corte, condividendo le argomentazioni rappresentate dall’avv. Santambrogio in sede di discussione, ha annullato il mandato di cattura con riferimento ad entrambi i capi d’imputazione, con rinvio allo stesso tribunale della Libertà per nuovo giudizio.