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TAURIANOVA (RC), GIOVEDì 31 OTTOBRE 2024

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Morti bianche. Si muore sul lavoro a sessant’anni, ma che paese è mai questo? Ieri in Calabria una pagina tragica di morti, notizie che non vorremmo mai leggere fatte di sangue e polvere

Morti bianche. Si muore sul lavoro a sessant’anni, ma che paese è mai questo? Ieri in Calabria una pagina tragica di morti, notizie che non vorremmo mai leggere fatte di sangue e polvere

Di GiLar

Un bollettino di guerra. Una mattanza senza fine che non tende a fermarsi. Solo ieri in Italia sono stati sei i morti sul lavoro. Si muore lavorando.
Tre uomini sono deceduti in Lombardia, uno in Sardegna e un altro in Calabria. Uno di loro era al suo primo giorno in azienda. Un altro era appena diventato papà. I loro nomi si vanno così ad aggiungere a quelli di altre centinaia di vittime registrate soltanto nei primi mesi del 2023. Lo scorso anno, secondo dati diffusi dai sindacati, si è arrivati a 1500 morti (1.090 secondo l’Inail).
In Calabria ieri una giornata da dimenticare, tre lavoratori sono morti, due sono morti nei luoghi di lavoro, un 62enne che cade da un ponteggio alto tre metri, un uomo a pochi passi dalla pensione che sale su un’impalcatura con sacrificio e sudore per poi tali diventare sangue e polvere. Un 85enne viene schiacciato da un trattore che si ribalta. Stiamo parlando di “anziani” o quasi nei luoghi di lavoro, dove in teoria dovrebbero stare a riposo per godersi una pensione meritata, ma il tragico destino ha voluto che quella pensione non farà mai parte della loro vita.
Ma c’è anche un altro morto, un lavoratore che il tempo di voltare pagina come ogni vittima che sacrifica la propria vita per un motivo che solo lui sa, prende la sua pistola di ordinanza da poliziotto, da servitore dello Stato e decide di farla finita. È sempre un lavoratore al quale va dato lo stesso rispetto di chi muore in un luogo di lavoro.
Sono realtà che non dovrebbero essere dimenticate, ma che molto spesso, spenti le luci della ribalta di una notizia di cronaca si finisce spesso nelle meteore dell’oblio in attesa della prossima tragedia.
Sono quasi 200, le cosiddette “morti bianche”, quelle che accadono sui luoghi di lavoro tra gennaio e marzo del 2023 in Italia. In Calabria nel 2022 i morti sono stati ben 69, tanti troppi perché anche solo una vita umana che muore lavorando è una sconfitta sociale di un paese dove al suo primo articolo della Costituzione nata dal sacrificio dell’antifascismo, c’è scritto che è una Repubblica fondata sul lavoro e in quel lavoro che scorre sangue e si mangia polvere.
Si muore giovanissimi e si muore meno giovani, in quanto un altro 60enne è morto a Marcellinara nel gennaio scorso in uno stabilimento industriale.
È una piaga che non dovrebbe esistere, è una piaga anche culturale quella che accade nei nostri giorni dove la prevenzione dovrebbe essere la prima condizione necessaria in un ogni luogo di lavoro che si rispetti, insieme alla protezione.
Ma tanto si sa, quello che si scrive o che si dice nei convegni molto spesso resta lettera morta senza alcuna intenzione (o se è fatta, è fatta male) di porre in essere una condizione reale e fattiva per impedire una mattanza dove la responsabilità è di tutti e dove in un paese civile con una Costituzione che richiama tutele e protezione, non dovrebbe esistere.