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TAURIANOVA (RC), LUNEDì 30 DICEMBRE 2024

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“Quando un ‘golpe’ mina le fondamenta dello Stato: da Francesco Delfino a Mario Mori” Di Vincenzo Speziali

“Quando un ‘golpe’ mina le fondamenta dello Stato: da Francesco Delfino a Mario Mori” Di Vincenzo Speziali

Leggendo l’intervista del Generale Mori, ho avuto modo di scorgere una -comprensibile, giustificata e dovuta- amarezza, piuttosto che rabbia, poiché un ‘Servitore devoto dello Stato’, non può e non deve essere sottoposto ad un simile ‘pubblico ludibrio’, cioè gragnuole (para)giudiziarie, come quelle a cui è stato sottoposto e prima di lui, identico trattamento lo ebbe un suo commilitone, cioè il mio indimenticato (e indimenticabile) Generale Francesco (‘Ciccio’) Delfino.
Ciò premesso viene da credere come sia autentico -e nel caso di specie, d’uopo!- l’anatema locuzionale di Giuseppe Saragat circa “il destino cinico e baro”, poiché sarà per questo o sarà per altro, ma gli alamari di entrambi sono stati ‘scalfiti, segnati, al pari di una tunica schizzata di fango’, quasi fosse una maledizione, oppure per qualche cosa di misterioso (benché per me sia tutto chiaro, chiarissimo, anzi limpido e trasparente, pur non avendo, al momento, ma solo al momento, le prove), esclusivamente perché entrambi hanno fatto il proprio dovere, con disciplina, onorabilità e dignità, a favore delle Istituzioni, epperò quelle vere (non di matrice golpista), che dal 1992 è come se tenessero in ostaggio, un intero popolo, cioè quello italiano.
Già di per sé, quando si assiste a simili abomini (a)giuridici (molti li abbiamo patiti sulla nostra pelle e qualcuno li patisce ancora), bisognerebbe in luogo ai dane` che si sganciano ai dittatorelli del terzo mondo per non fare proliferare l’immigrazione clandestina, spiegare ai poveri disgraziati che giungono illegalmente e sui barconi della sventura, come il nostro Paese, da quel ‘maledetto anno’, non è, propriamente, l’Eldorado che credono, anzi, se costoro fuggono dalle dittature, nel venire qui da noi, si ritrovano a viverene un’altra vera e propria, benché pochi hanno il coraggio di affermarlo a voce chiara, forte e stentorea, poiché ogniuno ha un terrore tutto suo, ovvero di incappare in quel girone infernale, il quale altro non è che la proditoria inchiesta giudiziaria di turno.
A dirlo -a parte il sottoscritto ( ma si sa: ‘vegniu i Bovalinu e non mi spagniu i nugliu’!’), vi sono due ‘titolati testimoni’, quali il mio amico Luca Palamara -già Presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, che l’indimenticato Francesco Cossiga definì “Associazione tra sovversivi e criminali” (ma lo disse Cossiga, quindi ciascuno può condividerlo o meno!) e sempre Palamara è stato oggetto di gratuite affermazioni da parte di un periferico e provinciale (in tutti i sensi provinciale!) leguleio da strapazzo o azzeccagarbugli fallito (nonché ex Presidente della sua categoria, ma sempre non a livello nazionale), che è riuscito ad avere un mezzo minuto di gloria pubblica, paragonabile ad una patacca di latta, sebbene smerciata come oro a 24 K- ed anche l’attuale Ministro di Grazia e Giustizia, Sen. Carlo Nordio (per altro, lui, financo ex Magistrato), la pensa come il succitato amico Luca.
Ora, ne sono più convinto pure io, soprattutto dopo aver letto le parole amare e amareggiate, del povero Genere Mario Mori, al quale quando lo incontrai l’ultima volta alla Galleria Sordi, prima della sentenza definitiva in Cassazione che gli ha reso giustizia e non aveva, proprio per la storia di questo militare, nessuna possibilità di restituirgli onore, poiché giammai lui lo aveva perso (per i suoi accusatori, si potrà dire la stessa cosa? Non credo!), dicevo quando lo incontrai gli dissi testuale: “Generale, desidero ora più che nel passato, stringerle la mano. Lei è un Servitore dello Stato e pure un galantuomo”!
In quel momento era come se mi sentissi vicino al grande, vero ed unico eroe italiano per antonomasia, cioè un altro Generale (anche lui appartenente ai Carabinieri), ovvero Carlo Alberto Dalla Chiesa e contemporaneamente, pensavo persino all ‘povero,’ Ciccio Delfino, della cui amicizia personale e familiare, mi onoro e continuo ad onorarmi con i suoi parenti, ricambiato da affetto sincero, ieri come oggi.
Delfino e Mori -ma più Delfino di Mori e quest’ultimo, con onestà, nell’intervista rilasciata alla Stampa, mi pare lo faccia intravedere, confermandolo, seppur indirettamente- hanno condotto un certosino ed encomiabile ‘Servizio allo Stato’, cioè assicurare alle patrie galere, quel Totò Riina, il quale ha osato travalicare i confini delle istituzioni, tentando di violentarle (persino al netto di omicidi efferati), per di più ma in palese ‘combutta’, consapevole o meno non importa, con chi ha ‘ucciso’ la -laicamente beatificata- ‘Prima Repubblica’.
E con essa, ha ucciso tutti i Partiti di Governo (la mia DC in primis), assieme alla relativa classe politica (soprattutto noi democristiani, ma pure i socialisti, i liberali, i laici e i repubblicani).
Sarà un caso? No, perché come diceva Giulio Andreotti (a cui rivolgo un pensiero di omaggio e il sentimento dell’affetto), non credo ad esso, in quanto so come sono andate le cose e se dico ‘ io so’, non proferisco isterie dietrologiche, oppure illazioni assertive o anche propaganda moralista alla Pasolini, semmai ribadisco quante calunnie ingiuste hanno gettato e che ora come allora, qualcuno continua a tentare di rifilare.
Gia`, d’altronde come si potrebbe credere a ciò e pensare a coincidenze (le quali se vi fossero o se esistessero, sarebbero certamente ‘pelose ed equivoche’), poiché se dovessimo ‘riavvolgere il nastro della storia’ e analizzare quel che è accaduto ad entrambi i Generali (Delfino e Mori per l’appunto), ovvero vivere tra ignomia e pubblico ludibrio -chiaramente di pochi (se infami o meno lo certificherà la storia, pur se io ho già le mie certezze, le quali sono credibilmente, ancorché facilmente, intuibili)- dicevo se analizzassimo gli avvenimenti da costoro subiti, sarebbero da paragonarsi a Socrate nel mentre trangugiare la cicuta.
Insomma ‘colpevoli per non aver commesso il fatto’, semmai difeso Stato e cittadini, istituzioni e persone, quindi se Ciccio (Delfino) non c’è più, almeno Mario Mori ha ben diritto di dire quanto ha detto, pur se dalle sue giuste parole, si ricava il naturale dolore e l’intima rabbia, a fronte di un calvario inutile e disdicevole, poiché chi è insolentito e mortificato, fa bene a reagire e a ripristinare un ordine delle cose, ovviamente a rigore di legge, così come faccio io (difatti i sosia fisici di due noti attori del passato, a me ostili, se non l’hanno ancora ben compreso, a breve sperimenteranno cosa significa quando io mi ci metto, per regolare le anomalie, grazie alle normative e alle strutture statuali).
Parliamoci chiaro, qualcosa non va se chi ha compiuto sino in fondo il suo dovere, poi si vede ricevere, in luogo alla medaglia, stilettate di ‘veleno’ sprigionato dalla ‘interpretatio’ pandettistica, perché forse chi non era carabiniere e perciò non a fare le indagini sul campo, bensì allocato nella trincea di comode scrivanie, dettava istruzioni, salvo poi commettere errori (tattici?), epperò desideroso (o desiderosi) di prendere, sempre e comunque, meriti non propri o, in ogni modo, da condividere con chi era ventre a terra -anche fisicamente parlando- sul territorio.
Già, proprio i meriti da condividere, soprattutto con Delfino e Mori!
Vincenzo Speziali