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TAURIANOVA (RC), SABATO 30 NOVEMBRE 2024

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Processo Scajola: la lettera aperta al nostro giornale di Vincenzo Speziali

Processo Scajola: la lettera aperta al nostro giornale di Vincenzo Speziali

Processo Scajola: la lettera aperta al nostro giornale di Vincenzo Speziali

Gentile Direttore,
ho molto riflettuto se entrare in argomento, ma essendo stato parte in causa, quale vittima e persona ingiustamente perseguitata (e di seguito spiegherò, dimostrando il mio pensiero), solamente al Suo giornale -prendendo spunto dall’articolo che avete pubblicato, nonché riportando le parole di Claudio Scajola- dicevo solo a voi, desidero rassegnare qualche mia corretta, giusta, vera, consona e reale, considerazione.
Si, ha ragione Claudio Scajola: questo processo, nato dal nulla, si dissolve nel nulla, epperò qui, in Italia, non certo a Beirut.
Qualcuno spererebbe come in primis il sottoscritto, facesse di tutto per derubricare la ‘quaestio’, ma così non sara`.
Sempre Claudio Scajola, onestamente, ha aggiunto: “lascia ferite serie”!
Si, le lascia, cioè per quanto mi riguarda, certamente manifestabili in una metamorfosi caratteriale (a me, personalmente, tutto sommato apprezzata), la quale non mi induce più a perdonare “…codardo oltraggio” (Manzoni dixit et docet).
Vieppiu` e su ciò sfido in pubblica piazza chiunque osasse minimamente controreplicare, ovvero quanto persino il Suo giornale ha riportato in passato -sulla base di atti e documenti, ufficiali e inequivocabili- cioè la pretesa di una presunta ‘impunità’ dei convenuti a giudizio (sarebbero, quindi imputati), segnatamente presso l’Autorità Giudiziaria del Libano, la quale legalmente, soprattutto sulla scorta del Trattato Bilaterale con l’Italia, sta procedendo.
Il tutto, nonostante gli asseriti, quisquigliosi ed irriverenti, ‘vizi di forma’, proprio invocati da molti dei pubblici ufficiali, verso i quali, non vi è stato alcun ‘timore reverenziale’ nel procedere legalmente, da parte dei liberi magistrati libanesi e che hanno considerato -al mio pari- tali rinvii pretestuosi, anzi, a metà strada tra ‘insolente’ e altro non dico, poiché non sta a me decretarlo.
Mi riferisco delle plurime e reiterate comunicazioni, in cui, -udite udite!- sono state inviavate -per via ufficiale e canale diplomatico- prorio ai convenuto a giudizio, pur se costoro le hanno sempre ‘rigettate’.
Intendiamoci e bibadusmo: codeste sono convocazioni recapitate dagli organi giudiziari di Beirut -e qui mi fermo- in luogo (e ne ho prova, in quanto è mio diritto) ai profluvi comunicativi, al Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, al CSM (che in tal caso non è il Centro di Sanità Mentale, bensì il Consiglio Superiore della Magistratura), ai Ministeri interessati, quasi a chiedere (ed imporre?) una ‘tutela’ prevista dalla legge, sebbene invocata quale ‘presunto obbligo di impunità’!
Due considerazioni in merito: 1) a questo punto, specialmente uno dei convenuti a giudizio, avrebbe potuto scrivete, persino alla maestra elementare (la mia fu la signora Marrapodi, in quel di Bovalino, che amo quanto i miei figli, mia moglie; 2) ‘nun facimu ammuina’, in quanto io non mi piego, né mi intimoriscono azioni ‘illiberali o anticostituzionali’, ovvero (e tradotto!), violazione del mio diritto al libero pensiero con forme ritorsive e indagini ‘canagliescamente stravaganti’, le quali, se lontanamente ne fossi destinatario, nessuno potrebbe credere alla genuinità del contenuto, qualunque esso sia (e che indurrebbe ad una rivolta morale e sociale).
In più i magistrati libanesi avrebbero l’ulteriore riprova di una persecuzuone ai miei danni e ai loro, perciò è come se fossimo innanzi a ‘all’auto-accusatio manifesta’ per non aggiungere ad una sorta di ‘reo confesso’ (quindi, in tal caso veda ciascun lettore come tradurre dal latinorum).
Si direbbe a Roma: che famo?
Oppure a Bovalino: chi facimu?
Ciò sono ‘cose serie’, atti giurisprudenziali veri, altrimenti, la mia sete di giustizia (…non dei mie non riusciti ‘carnefici, dediti al manatterismo frustrante, nonché fondato sull’ideologicume pregiudiziale’), dicevo, altrimenti, la mia, formale e composta sete di giustizia, si potrebbe pensare diventi cosa effimera e, principalmente, che io possa lasciar correre il tutto: giammai!
È vero, costoro, si son comportati in modo tale da non essere il sottoscritto a dover commentare e descrivere, nuovamente, ogni aspetto, benché allorquando il dibattimento inizierà nel mese di ottobre prossimo, che essi siano presenti o contumaci, dirò tanto, proprio per far capire e disvelare, quanto accade alle nostre latitudini, ovvero la soverchiante forma di un qualcosa che mira a tenere in ostaggio un’intera popolazione attraverso il tintinnar di manette, tipico del minoritario giacobinismo giudiario, manetterista, ma che ci riporta alla Francia del Terrore post rivoluzionario, gestito da Maximilian de Robespierre
Insimma, disse Moro -come sempre giustamente- “quando, si dice la verità, poi non ci si può dolere di averla detta, in quanto ci rende liberi”, perciò è il cso di comprendere, una volta l’abisso differenziale tra chi è un persona perbene e con morale, cosa differente da coloro che sono perbenisti e (falso)moralisti.
Suddetta dicotomia è grande quanto il mare, lo stesso mare della sofferenza a cui sono stato ‘condannato’ proditiriamente e che, finalmente, un giuduce terzo e naturale, sta valutando con attenzione e, solamente, sulla scorta degli atti che ho consegnato, i quali rappresentavano la summa delle indagini a mio carico, di cui in ‘loci libanensis’, non si è trovato alcun riscontro, sin dall’inizio (e con pronunciamenti della loro stessa Corte di Cassazione).
Semmai, sempre la competente autorità giudiziaria di Beirut, ha rilevato condotte perseguibili, secondo i loro codici, a norma di legge e nel solco del Trattato Bilaterale con l’Italia, ovviamente non commessi da me e proprio per tale motivo sono stato riconosciuto testimone e parte lesa, perciò innocente ‘ex tunc’. D’altronde, già l’ipotetica condotta criminis che mi si ascriveva, in quel della Procura di Reggio -al netto delle parole offensive e non vere, avverso la mia persona- era di “esercitare interferenze sulle potestà di uno Stato sovrano, identificato nella Repubblica del Libano”
Ordunque o nottetempo, il distretto giudiziario della Corte d’appello di Reggio Calabria è stato annesso allo Stato Libano (senza che nessuno se ne accorgesse) oppure io -ma so bene non essere così, pur non potendo rispondere per altri- dicevo, oppure io non ho compiuto buoni studi di Geografia (e la maestra Marrapodi di cui prima e il corpo docente della scuola elementare di Bovalino, mi perdoneranno).
Tra l’altro, non si può pensare che tutte le strade siano a senso unico, perché uno rischia incidenti ogni due per tre e ascoltate me, perché lo spiego.
Infatti il nostro Paese, sta processando in contumacia gli imputati egiziani del massacro di quel povero ragazzo il cui nome era Giulio Regeni, benché con Il Cairo non abbiamo Trattato Bilaterale, ma faremo di tutto -come è giusto che sia!- una volta emessa la sentenza e qualora venissero condannati, alfine di far valere il pronunciamento giurisprudenziale, sfavorevole ai giudicati, pur se essi, nel loro Paese, sono pubblici ufficiali e per di più ai vertici dei servizi di sucurezza.
Pensate, che in caso di processo a Beirut ed eventuale condanna di qualche straniero, pure lui (o loro) pubblico ufficiale, il Libano -che, invece, con l’Italia ha un Trattato Bilaterale di reciprocità ed assistenza in materia giudiziaria- non farà valere le sue di ragioni, anche tramite Interpol?
Fosse così (e così parrebbe a tutti che vada, poiché le carte che hanno in Tribunale a Beirut, sono incontrovertibili) e principalmente quando accadrà, vera giustizia ci sarà: ed io vivo per la giustizia…attendendo il lieto evento!

Vincenzo Speziali