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TAURIANOVA (RC), GIOVEDì 07 NOVEMBRE 2024

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12 agosto 2024, Messignadi: duecentoquarant’anni dal ritrovamento della statua di San Vincenzo Ferreri In seguito, su tale scia si mobilitarono altri centri dell’attuale provincia calabrese, sintomo di un’urgente necessità di cambiamento e rivoluzione culturale: tra tali centri rientrò Messignadi

12 agosto 2024, Messignadi: duecentoquarant’anni dal ritrovamento della statua di San Vincenzo Ferreri In seguito, su tale scia si mobilitarono altri centri dell’attuale provincia calabrese, sintomo di un’urgente necessità di cambiamento e rivoluzione culturale: tra tali centri rientrò Messignadi

| Il 14, Giu 2024

Di Carmelo Aricò

Ricorreva l’anno 1444 quando il Conte Battista Caracciolo, feudatario della Contea di S. Giorgio
Morgeto (RC), chiamò in terra reggina i frati predicatori, meglio conosciuti come padri domenicani.
In seguito, su tale scia si mobilitarono altri centri dell’attuale provincia calabrese, sintomo di
un’urgente necessità di cambiamento e rivoluzione culturale: tra tali centri rientrò Messignadi. Nel
1513, infatti, Mons. Bandinello Sauli, vescovo dell’allora importantissima Oppido Mamertina,
convocò a Messignadi i sopraddetti frati, i quali diedero vita al convento dedicato a “Santa Maria
della Palomba”, culto non molto diffuso. In quel periodo, il piccolo centro situato alle pendici
dell’Aspromonte vantava una certa rinomanza e importanza nella Diocesi, principalmente per via
della sua posizione strategica. In epoca medievale e moderna, i conventi di qualsiasi ordine venivano
edificati nei territori di passaggio, fungendo metaforicamente da maglie di un’enorme rete, il cui
scopo era quello di unificare il territorio; in più, la precisa collocazione di tali monasteri era un vero
e proprio punto di riferimento per i viandanti, i quali potevano beneficiare dell’ospitalità dei monaci.
Dunque, piantato nel bel mezzo della ridente Piana di Gioia Tauro, Messignadi vantava uno dei tanti
cenobi della regione e fu fiorente fino al giorno della catastrofe sismica avvenuta il 5 febbraio del
1783, terremoto passato alla storia sotto il nome di gran flagello di Dio che rase al suolo gran parte
della cosiddetta Calabria Ultra. Tale data rappresentò una vera e propria cesura per la vita sociale,
religiosa e culturale dei messignadesi, i quali, da un giorno all’altro, furono definitivamente privati
del proprio convento, importante punto di riferimento. La presenza domenicana era determinante in
un paese – e territorio – dall’altissimo tasso di analfabetismo e dalla forte connotazione agricola e
rurale, poiché era solo attraverso l’ascolto di sermoni e predicazioni, di cui i figli di Domenico di
Guzman erano indiscutibili campioni, che il popolo poteva trarre benefici culturali. Ma circa un anno
dopo, il 12 agosto 1784, alcuni contadini messignadesi, lavorando casualmente nei pressi del distrutto
convento, rinvenivano l’antica statua raffigurante san Vincenzo Ferreri completamente intatta e in
precedenza collocata nella cappella dei domenicani. Sebbene i frati predicatori avessero già introdotto
il culto del santo confratello a Messignadi, fino a quel momento gli abitanti del borgo venerarono
come santo principale Nicola di Mira (tutt’oggi patrono dell’omonima parrocchia), il cui culto è di
origine bizantina. L’evento, naturalmente considerato prodigioso e miracoloso, portò ad un esito
scontato: nonostante san Nicola non abbia mai perso il titolo di santo patrono, progressivamente san
Vincenzo Ferreri gli subentrò come santo protettore del paese.

Tuttavia è necessario fare alcune considerazioni storiche e sociali. In primo luogo è da osservare la rifondazione dell’identità di Messignadi: se il cataclisma del 1783 apriva le porte ad una stagione difficile e priva di solidità collettiva, il ritrovamento dell’effige domenicana accelerò incredibilmente la rinascita sociale
messignadese intorno alla figura riscoperta e risemantizzata del santo spagnolo. Al ritrovamento fu
attribuito dai messignadesi di allora un significato prodigioso, interpretato all’insegna di un
particolare e speciale favore che san Vincenzo riservava all’intero paese. Messignadi consolidò la
nuova identità sociale intorno alla figura del predicatore valenciano, riconoscendosi in esso: la
rinascita cittadina fu possibile principalmente in virtù di un simile evento straordinario. Quello di
Messignadi non è però un caso isolato, bensì un sottovalutato esempio di una dinamica storica ben
precisa e abbastanza studiata. Per maggiore chiarezza, un simile caso, ma di più ampio respiro,
riguarda san Genesio e la civitas di Brescello: la Cronica sancti Genesii attesta che, in seguito alla
distruzione di Brescello durante il periodo longobardo, il miracoloso ritrovamento delle spoglie del
vescovo Genesio diede vita ad un processo di ricostruzione identitaria della città, lasciando alle spalle
secoli di invasioni e oblio.
In secondo luogo, la statua di san Vincenzo è da considerare come un dono elargito ai messignadesi
dal mare magnum della storia; anzi, è possibile intravedere in essa un contenitore di molteplici
significati attraverso cui Messignadi si lega indissolubilmente alle vicende calabresi o, addirittura,
europee. Alle soglie del XVI secolo, quando il borgo situato alle pendici dell’Aspromonte si
preparava ad accogliere i frati domenicani, la battaglia di Seminara (RC) del 28 giugno 1495 e quella
di Reggio Calabria del 1502 sancivano la sconfitta delle truppe francesi per mano degli spagnoli, i
quali, da quel momento, dominarono la regione per due secoli. Questi diffusero il culto del predicatore
valenciano, loro importantissimo e ormai celeberrimo conterraneo, nonché santo recentissimo (se si
considera che fu canonizzato a Roma nel 1455), nel sud Italia: infatti, non è un caso che tale culto sia
molto diffuso a Napoli, la più importante città spagnola del meridione italiano. In virtù di ciò, l’effige
del santo domenicano non è solo un patrimonio locale fine a sé stesso, ma un potente e tangibile
mezzo che colloca Messignadi tra le complesse ma affascinanti trame di un periodo storico che vide
la Calabria protagonista di un forte sviluppo demografico ed economico e un simbolo concreto che
ancora oggi emana profumo di dominio spagnolo. In più, nella circoscritta cornice di Messignadi, il
trasferimento dal culto di san Nicola di Mira a quello di san Vincenzo Ferreri sembra riprodurre in
modo metaforico, implicito e inconsapevole il lento passaggio dal substrato culturale greco-bizantino
ad uno di matrice latina, consumatasi nel sud Italia dall’XI secolo in poi con l’insediamento normanno
ai danni dei bizantini.
È necessario custodire con cura un patrimonio del genere, dando il giusto peso alla storia: attraverso
la storia è possibile proiettare un determinato luogo verso un contesto più ampio. In virtù di ciò,
nonostante la memoria del dies natalis del predicatore valenciano ricada annualmente il 5 aprile, a
Messignadi il passo più importante è stata l’istituzione della festa in onore del santo protettore il 12
agosto, con lo scopo di commemorare e celebrare il ritrovamento dell’effige. Il comitato festa “San
Vincenzo Ferreri”, che da sempre si occupa dell’organizzazione dei festeggiamenti in occasione di
tale ricorrenza, soprattutto nell’ultimo periodo si sta muovendo verso la valorizzazione storica del
proprio patrimonio, che permea indistintamente ogni cittadino messignadese. I patrimoni legittimano
la propria storia, la storia genera consapevolezza e dalla consapevolezza è possibile ripartire e ridare
vita a ciò che ci appartiene: in occasione del duecentoquarantesimo anniversario di uno degli eventi
più importanti della storia di Messignadi, il comitato e il popolo messignadese procedono con
decisione verso le tracce del proprio passato, unica strada attraverso cui diventa possibile rafforzare
la propria coscienza identitaria.