L’INDIGNAZIONE. Omicidio Lorena Quaranta, la Cassazione annulla l’ergastolo al presunto assassino, “Era stressato dal Covid” Lorena è stata uccisa dal calabrese Antonio De Pace il 31 marzo 2020, la strangolò al culmine di una lite
redazione | Il 22, Lug 2024
Di GiLar
Durante ogni anno che passa ed ogni che passa si registrano delle vere e proprie “mattanze” ad opera della mano dell’uomo contro le donne. Si inizia sempre con le stime, come se alla fine le donne fossero numeri di caduti come negli eventi bellici, da contare, una donna viene ammazzata ogni tre giorni, le violenze in famiglia sono aumentate, si inaugurano “panchine rosse”, tra istituzioni in doppiopetto e criminologi, psicologi, forze dell’ordine e finanche magistrati, ma una svelato l’oggetto, tra applausi e sorrisi che ci seppelliranno arriva la realtà, quella vera.
Quella in cui una ragazza siciliana con tanti sogni da esaudire, una vita intera davanti e con nel sangue la passione di diventare un medico. Bene, quella vita è stata spezzata da un uomo violento, da un assassino, un criminale che l’ha strangolata. Perché chi uccide e arrogantemente toglie la vita ad un’altra persona, è un criminale assassino e tale dovrà essere considerato, anche e soprattutto dalla Giustizia, quella composta dai magistrati.
Lorena Quaranta, giovane studentessa universitaria originaria della provincia di Agrigento prossima alla laurea in Medicina e Chirurgia, è stata uccisa dal fidanzato, l’infermiere calabrese Antonio De Pace. Ecco uno dei motivi in cui dobbiamo seriamente vergognarci di essere calabresi, quando un calabrese ammazza una donna.
Quel maledetto 31 marzo 2020, Lorena che aveva 27 anni ed il sono di diventare ginecologo, al culmine di una lite, all’interno della villetta a Furci Siculo nel Messinese, dove viveva la coppia, il fidanzato calabrese, quello che le doveva voler bene e proteggerla, la strangolò a morte. E dopo averla uccisa, egli stesso tentò il suicidio, ma fallito evidentemente perché chiamò i carabinieri, confessando il delitto che a suo dire fu causato da un presunto stato d’ansia causato dalla pandemia. Guardate che scrivere di queste cose sale sangue e rabbia al cervello e si spera sempre che la giustizia ponga rimedio infliggendo una pena esemplare.
Lo stress da Covid rivendicato dunque dalla difesa del giovane potrebbe rappresentare quell’attenuante che gli era stata dunque negata dalla Corte d’Assise di Reggio Calabria a cui la Cassazione rimanda, limitatamente all’applicabilità delle attenuanti generiche che, se riconosciute, annullerebbero di fatto l’ergastolo.
Scrive la Suprema Corte e nei fatti annulla l’ergastolo che gli era stato inflitto nei due gradi di giudizio:
“Deve stimarsi che i giudici di merito non abbiano compiutamente verificato se, data la specificità del contesto, possa, ed in quale misura, ascriversi all’imputato di non avere ‘efficacemente tentato di contrastare’ lo stato di angoscia del quale era preda e, parallelamente, se la fonte del disagio, evidentemente rappresentata dal sopraggiungere dell’emergenza pandemica con tutto ciò che essa ha determinato sulla vita di ciascuno e, quindi, anche dei protagonisti della vicenda, e, ancor più, la contingente difficoltà di porvi rimedio costituiscano fattori incidenti sulla misura della responsabilità penale”.
Adesso il processo tornerà alla Corte d’Assise d’appello di Messina, dove la Procura generale aveva peraltro già sollecitato la concessione delle attenuanti generiche.
La decisione della Cassazione sta già suscitando aspre polemiche e sconcerto, anche se l’annullamento con rinvio della condanna all’ergastolo per un femminicidio è limitato alla richiesta di valutazione delle attenuanti generiche. Ma quando vedi dei genitori che hanno perso una figlia giovanissima afflitti da un dolore che se lo porteranno per tutta la vita e poi dire, “Ho paura di questa giustizia”. Anche noi abbiamo paura di questa giustizia (volutamente scritto in piccolo)!