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TAURIANOVA (RC), VENERDì 27 DICEMBRE 2024

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I medici cubani resteranno in Calabria per altri due anni Rimangono un palliativo per la malmessa sanità calabrese, ma comunque la notizia è stata accolta bene da chi ci lavora

I medici cubani resteranno in Calabria per altri due anni Rimangono un palliativo per la malmessa sanità calabrese, ma comunque la notizia è stata accolta bene da chi ci lavora

| Il 09, Dic 2024

La permanenza in Italia dei medici inviati dall’estero nelle aree in cui la sanità pubblica è più carente è stata prorogata di due anni: la misura include quindi anche i medici e mediche cubane attualmente presenti in Calabria. Al momento sono 333, e la loro presenza è stata descritta come fondamentale e necessaria da diversi primari e medici italiani dei vari ospedali in cui operano. «La proroga è un’ottima notizia, perché i medici cubani continuano a essere più che mai necessari», dice Enzo Amodeo, che fino al mese scorso ha diretto il reparto di cardiologia dell’ospedale di Polistena, un piccolo comune da quasi 10mila abitanti nella piana di Gioia Tauro, vicino a Reggio Calabria.
L’ultimo contingente di medici cubani in Calabria è arrivato quest’autunno, con 66 medici suddivisi nelle cinque aziende sanitarie provinciali (ASP) della regione: Catanzaro (18), Vibo Valentia (17), Crotone (12), Cosenza (10) e Reggio Calabria (9). I 66 medici si sono aggiunti ai 267 già presenti nelle varie ASP: il contingente precedente, di 98 medici, era arrivato a febbraio.
I medici cubani lavorano in Calabria ormai da due anni, grazie a un accordo tra la regione e una società partecipata dal governo cubano, firmato a luglio del 2022 per 497 medici cubani in tutto. Inizialmente era previsto che i medici restassero fino al 2025: la proroga decisa è contenuta in un emendamento al decreto-legge chiamato “Flussi”, che riguarda l’ingresso in Italia dei lavoratori stranieri ed è stato approvato dal Senato lo scorso 4 dicembre.
L’arrivo dei medici cubani è stato accompagnato fin da subito da polemiche perché considerati una soluzione temporanea e non risolutiva ai problemi della sanità calabrese, perché non abbastanza titolati o perché secondo alcuni le loro condizioni di lavoro potrebbero costituire “lavoro forzato”. Ma nel corso di questi due anni primari, medici, chirurghi e altri operatori degli ospedali calabresi hanno descritto in maniera molto positiva l’operato dei medici cubani, considerata anche la situazione molto problematica della sanità calabrese.
Anche la notizia della proroga è stata accolta bene, soprattutto nelle strutture più piccole: è il caso dell’ospedale di Polistena, in provincia di Reggio Calabria, di cui Amodeo ha diretto per anni il reparto di cardiologia. Amodeo è andato in pensione un mese fa, e dice che nel reparto lavorano due medici cubani, entrambi sulla trentina e da lui descritti come «molto preparati», «una risorsa insostituibile».
I due medici in questione riescono a eseguire prestazioni che non tutti i cardiologi italiani sanno fare, racconta Amodeo, come la cardiostimolazione in sala operatoria e interventi ad alto rischio clinico per patologie o sindromi coronariche «tempo-dipendenti», cioè da risolvere in brevissimo tempo per assicurare la sopravvivenza del paziente. Peraltro sempre meno medici sono disposti a fare questo tipo di interventi per via della pressione a cui sono soggetti, e delle sempre più frequenti aggressioni che subiscono.
Non ci sono stati problemi nemmeno nell’utilizzo della lingua, da parte dei medici cubani: «Non parlano l’italiano come dei madrelingua, ma nel corso della permanenza sono molto migliorati e sono comunque in grado di compilare cartelle cliniche con precisione e in maniera comprensibile, e di parlare coi pazienti», dice.
Medici cubani a parte, al momento non sembrano essere imminenti soluzioni più strutturali al problema della mancanza di organico nella sanità calabrese. Oltre ai tagli alla sanità publica e alle loro conseguenze sulla medicina territoriale, e quindi a catena sui pronto soccorso e sugli ospedali, molti giovani medici che potrebbero lavorare in Calabria la abbandonano per andare nel Nord Italia o nel resto d’Europa.
«Anche quando si sblocca la situazione e vengono banditi dei concorsi, pochissimi partecipano e ancora meno si presentano agli esami», dice Amodeo. Fa l’esempio di un recente concorso per la posizione di primario al reparto di urologia dell’ospedale di Locri, nel sudest della Calabria, dove c’erano tre concorrenti in tutto e nessuno dei tre si è presentato.