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TAURIANOVA (RC), VENERDì 03 GENNAIO 2025

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Il caso Khodorkovskji e la restaurazione putiniana

Il caso Khodorkovskji e la restaurazione putiniana

| Il 04, Gen 2011

La condanna di Khodorkovskji va letta nel quadro della Russia di Putin e delle preoccupazioni che essa suscita. Khodorkovskji è uno dei più noti oligarchispuntati e cresciuti  nella grande crisi vissuta dalla Russia dopo il crollo dell’URSS, che il partito-stato non riusciva più a gestire

Il caso Khodorkovskji e la restaurazione putiniana

La condanna di Khodorkovskji va letta nel quadro della Russia di Putin e delle preoccupazioni che essa suscita. Khodorkovskji è uno dei più noti oligarchispuntati e cresciuti  nella grande crisi vissuta dalla Russia dopo il crollo dell’URSS, che il partito-stato non riusciva più a gestire

 

 

 

MOSCA – La condanna di Khodorkovskji va letta nel quadro della Russia di Putin e delle preoccupazioni che essa suscita. Khodorkovskji è uno dei più noti oligarchispuntati e cresciuti  nella grande crisi vissuta dalla Russia dopo il crollo dell’URSS, che il partito-stato non riusciva più a gestire; una storia conosciuta nei suoi dati oggettivi. ma dalla quale non è facile trarre previsioni sul futuro, un futuro molto importante per noi europei.   In soccorso viene, comunque, un breve saggio da poco nelle librerie, edito dal “Mulino” (Lev Gudkov e Victor Zaslavsky: La Russia da Gorbaciov a Putin), che in termini divulgativi, ma con rigore di analisi, traccia una storia delle Russia dal crollo dell’URSS ai nostri giorni; da esso traiamo le informazioni che seguono. Nell’autunno del 1989 si accartoccia su se stessa l’URSS, sotto il peso di un’amministrazione paralizzata da sprechi, inefficienze, incapacità di rinnovarsi; collassa un sistema di pianificazione centralizzata, concentrato sull’industria pesante militare per sostenere una politica di grande potenza mondiale, un sistema innestato su un quadro gestionale di stampo paternalistico dei rapporti di lavoro.   I sindacati sovietici poi non sono canali istituzionalizzati per aggregare gli interessi dei lavoratori, ma organizzazioni settoriali del partito-stato per mobilitare la forza lavoro ai fini della realizzazione dei piani centrali di produzione e per amministrare i fondi della previdenza sociale. Al momento dello sfascio non esiste un piano di passaggio a un’economia di mercato a cui nessuno pensa e che non è nella cultura della società civile: tutto avviene di fatto. Intanto dopo il 1989 la situazione peggiora: calano produzione e produttività del lavoro, cala il tenore di vita generale, si pagano i salari in ritardo, si impongono lunghe ferie non pagate…   Comunque già prima del 1989 gli ultimi governanti dell’URSS avevano tentato delle novità: in alcuni settori ministeriali si costituirono cooperative per la gestione dei servizi sociali ad essi affidata; si crearono anche dei centri per l’innovazione tecnologica  e nel commercio; piccole imprese sorsero tra le società per le innovazioni tecniche nella produzione, con la possibilità di utilizzare i ritrovati nel commercio. Mentre dall’organizzazione giovanile del partito (komsomol) usciva un nucleo di dirigenti delle nuove strutture; si avviò anche un decentramento dell’economia, con società miste anche con partner stranieri e si trasformano alcuni ministeri con competenze settoriali in grandi società industriali (nacquero così Gazprom, Aeroflot, Ferrovie Russe…); le banche statali diventarono commerciali. Tutto sotto il controllo dello stato. Molti i privilegi concessi alla nomenklatura, che consentirono la formazione di iniziali capitali. Si ammise anche che nelle imprese, statali o nuove, si effettuassero operazioni molto redditizie, scorporate da quelle proprie, attività nelle qual ii dirigenti si comportavano da padroni (spesso irresponsabili, con tanti fallimenti), ma soprattutto venne abolito il monopolio statale del commercio estero (tra il 1987 e il 1991) e si consentì la nascita anche in questo ambito, di piccole imprese, di cooperative e persino l’avvio di joint-venture con imprenditori stranieri e fu questo Il terreno più fecondo, dove, rapidamente, i manager cominciarono a sfruttare la gran differenza dei prezzi interni da quelli internazionali e a vendere all’estero materie prime e petrolio in dumping, depositando in banche estere il guadagno, poi utilizzato per importazioni.   Altro passaggio di rilievo fu la “privatizzazione” di tante imprese statali, con l’emissione di certificati azionari distribuiti a dirigenti e dipendenti (un passaggio dalla nazionalizzazione alla socializzazione?): solo che i certificati non erano nominativi e allora i dipendenti se li vendevano ai possessori di grandi somme, ricavate dal mercato nero o ai dirigenti, che divennero di fatto padroni delle società. Il libro di Gudkov analizza con dovizia di particolari i vari aspetti della complessa vicenda (i soggetti sociali coinvolti, i passaggi dalla crisi iniziale a quella del 1998 e poi alla ripresa – con l’avvento di Putin -, le difficoltà di Eltsin con la Duma a maggioranza ancora comunista e poi col nazionalismo di Zirinovskji…), ma il quadro innanzi delineato è già sufficiente a lasciar comprendere il contesto dei primi anni del post-sovietismo e a dare un’idea del terreno e delle condizioni che hanno reso possibile la fioritura degli oligarchi, nel momento in cui il potere centrale viene meno del tutto e tutte le limitate realtà autonome di cui si è detto si espandono per forza propria nel vuoto di potere che si è creato e nella più piena illegalità.   Anche Khodorkovskji proviene dal Komsomol: ingegnere, esperto di chimica e di banca crea una colossale impresa petrolifera, la famosa Yukos, che ovviamente fa ombra a Gazprom; con l’avvento di Putin sarà condannato e dopo otto anni di Siberia, escono ora nuovi reati di riciclaggio e appropriazione indebita e la nuova attuale condanna (tutto il mondo è paese). Invero Putin voleva fare un accordo con  Khodorkovskji, lasciando perdere la Yukos, purchè l’ex oligarca la piantasse di finanziare un piccolo partito liberaleggiante. Khodorkovskji è cioè un esemplare da manuale della nuova figura imprenditoriale fuori da ogni legalità, di cui nessun apparato istituzionale è in grado di assicurare il rispetto, protagonista di un’ “economia caotica di mercato” che consente l’accumulo di grandi ricchezze (venticinque oligarchi figurano tra le persone più ricche del mondo).  Essi però avevano creato le condizioni della sopravvivenza che aveva reso possibili passaggi di natura riformista: con Eltsin viene riconosciuto il diritto di sciopero, i governatori regionali, prima nominati dal Cremlino, diventano elettivi e si autogestiscono, finisce la censura sulla stampa, sorgono le televisioni libere, compaiono sulla scena partiti liberaleggianti (anche se piccoli e poco fattivi): sono gli oligarchi a sostenerli. E’ la rivoluzione liberale di Eltsin. L’attività degli oligarchi si svolge in un quadro nel quale prospera ovviamente la corruzione e si diffonde anche lacriminalità organizzata. Nel periodo eltsiniano la loro influenza sul governo del paese è di grande rilevanza. Eltsin, per reggere, opta per i siloviki (militari, servizi) a livello istituzionale mentre gli oligarchi portano i mezzi per vincere le elezioni. E senza oligarchi sarebbe stato il protrarsi e l’ allargarsi della crisi, la fame più nera per il popolo, il rischio di rivolte…dietro gli oligarchi si sono aperti anche gli spazi per la crescita di un’imprenditoria media e piccola, base operante di un’economia più o meno di mercato.   E’ comunque di tutta evidenza il fatto che la Russia non poteva continuare nell’anarchia dei tempi di Eltsin, con i governatori locali che vanno per i fatti loro, con la proclamazione di indipendenza della Cecenia che fa temere uno sfascio completo e con il terrorismo che fa paura. E sarà proprio Eltsin a scegliere il suo successore, al quale viene affidato un programma riformista: rivedere e alleggerire il sistema fiscale, abolire la coscrizione militare obbligatoria, rivedere le leggi su lavoro, previdenza, giustizia e banca. Ma Putin avvia una politica di law and order, riavvia l’ ordine e il funzionamento delle istituzioni, beneficia di un decennio di crescita economica. Il tutto con l’appoggio di una forte maggioranza della popolazione, che non comprende la democrazia e dal 1917 è cresciuta nel comunismo, molto sensibile alle sirene dell’antiamericanismo e orgogliosa di una Russia grande potenza, che Putin tende a restaurare:, la durissisma repressione in Cecenia, la politica energetica (Ucraina, Asia centrale…), oggi l’acquisto delle navi da guerra francesi (Georgia?), la riconquista del potere sui media, mentre i giornalisti critici spariscono, la coscrizione obbligatoria rimane…Le condanne di Khodorkovskj possono benissimo configurare un metro legale per commisurare all’ordinamento la vicenda dell’oligarca, ma sono un colossale controsenso ove i reati siano visti nel quadro storico politico del tempo, e comunque la dicono lunga sull’evoluzione politica in corso.   E ora possiamo tornare a noi, a noi europei. Come valutare la restaurazione putiniana? Il quadro di riferimento è complesso: da un lato i giri di vite dell’attuale premier russo scatenano la nostra protesta, dall’altro non c’è soltanto la questione energetica, c’è la Russia che offre all’Europa le proposte di integrazione difensiva al posto della cortina antimissilistica al confine orientale e di creazione di un mercato comune da Lisbona a Vladivostok; proposte delle quali la prima può trovare subito nella NATO l’interlocutore, mentre la seconda rischia di cadere nell’oblio perché gli stati europei volano molto basso per forza di cose e un governo federale europeo non esiste. La Russia comunque lancia un’idea di cooperazione economica integrata, comprende cioè la necessità di un (inevitabile) approfondimento dei rapporti con l’Europa. Putin ha capito e cerca di muoversi per tempo. Prima di affrontare la Cina dieci volte più grossa?   In avanscoperta c’è la Germania; ai vertici della Gazprom, Gerhard Schroeder nella sua qualità di presidente della”Nord Stream”, la società per la costruzione di un gasdotto sotto il Baltico: l’esponente di vertice della socialdemocrazia tedesca evidentemente ritiene di poter avere fiducia in Vladimir Putin. Avrà ragione o no?