Giannuzza a marinota
redazione | Il 03, Mar 2011
Una narrativa sospesa in una realtà senza tempo a cavallo fra un ‘800 postunitario sonnolento e decadente e un ‘900 umbertino e libertino, l’ultima fatica letteraria della scrittrice calabrese Caterina Sorbara
di LUIGI MAMONE
Giannuzza a marinota
Una narrativa sospesa in una realtà senza tempo a cavallo fra un ‘800 postunitario sonnolento e decadente e un ‘900 umbertino e libertino, l’ultima fatica letteraria della scrittrice calabrese Caterina Sorbara
Giannuzza a Marinota, lultima fatica letteraria della scrittrice calabrese Caterina Sorbara, è una piccola perla preziosa letterariamente frutto di una sensibilità assai spiccata e di una ricerca psicologica che ha portato lautrice, a ripercorrere, la vita avventurosa di una pescivendola.con uno stile per certi versi intriso di echi veristi, che paiono rimandare alla letteratura di Verga e di Capuana e per altri alle più enigmatiche suggestioni della più pregnante narrativa di Garcìa Marquez. Sono però pagine che al di la della vicenda umana dicono di un meridione che più che entità geografica diviene entità sociale pulsante di passioni e di mutamenti sullo sfondo di una realtà senza tempo , in un relativismo temporale con il quale lautrice ama giocare e che le consentono di articolare il proprio narrato con apparenti commistioni spazio temporali a cavallo fra un ottocento postunitario , sonnolento e decadente e un novecento umbertino e libertino. Sullo sfondo il fumo dei piroscafi e il dramma dellemigrazione italiana e delle vedove bianche , lasciate – come Giannuzza – senza un arrivederci da uomini che nel nuovo mondo talvolta videro solo il miraggio di un Puerto Escondido dentro il quale lasciarsi alle spalle tutto: Ansie, ubbie, famiglie, mogli e figli. Affetti abbandonati che poi subiscono il tarlo della solitudine , lonta dei pregiudizi, il peso della prevenzione e la necessità di sopravvivere comunque, fra i tanti lezzi di una società codina, anodina, arida ma ciononostante vorticosamente viva e in costante divenire. In questo scenario, Caterina Sorbara, con rara maestria, disegna la vicenda di questa donna arcigna, altera misteriosa e solitaria , comunque affascinante : Giannuzza. Venditrice di pesce porta a porta con il suo ampio canestro di vimini intrecciati e la voce ora squillante , ora stridula nellidioma dialettale . E non bisogna andare lontano con la memoria noi gente della Piana del Tauro – che fino a pochi anni fa le pescivendole come Giannuzza le vedevamo e le sentivamo quando gridavano a squarciagola : Alìci , alìci belle, nnannàta ( neonata Ndr) sardi ( sarde) e cristardèlli. I pisci , i pisci du mari marùsu ( del mare maroso ovvero dalle lunghe onde) U Piscispata ( il pescespada) Erano le voci di Mela, di Rosa di Caterina di Libèràta e di tante altre donne, colleghe di Giannuzza che però, diversamente da lei non vissero in gioventù – come lautrice racconta la fiaba di una vita diversa- alla corte di una gentildonna e il sogno di un amore: il primo , puro casto, passionale fatto di sogni costruiti allimbrunire fra le ginestre e il profumo dei fiori del giardino del grande palazzo nobiliare nel quale aveva avuto il privilegio di essere ammessa e che era così diverso dalla modesta capanna alla marina, a ridosso della spiaggia, odorante di salmastro e di pesce, esposta al vento e ai flutti. E poco importa se il grande amore, fosse un forestiero:lo chaffeur oggi diremmo lautista – del signorotto. Ecco che latmosfera dichiaratamente verghiana di case che ricordano Acitrezza e di vinti che ricordano i Malavoglia muta di epoca e di prospettiva e assume luminescenze e vedute amplissime che sembrano avvolgere e affabulare quasi come nelle atmosfere di un quadro del Cataletto o di un affresco ottocentesco fatto di vedute luminose il lettore , che si cala nella realtà di una Napoli umbertina, di piroscafi che salpano e che incarnano il sogno di chi parte e lincubo di chi resta e poi, dopo labbandono da parte del marito partito senza un addio , nuovamente il sogno e una prospettiva ottocentesca di suore e di conventi , di ancelle e di orfanelle ancora a lottare a credere a sperare a sognare: Ancora una volta la tenacia è premiata Giannuzza ammessa a corte vive la magia di un amore, fiabesco e impossibile, con un principe che pur lama appassionatamente ma che alla fine è incapace di ribellarsi alla ragion di stato. Ancora dolore, ancora dispiacere per Giannuzza incinta di una creatura – che trova conforto nel convento dove impara – strano per un luogo di preghiera e di meditazione a leggere il futuro dalle carte a ciò istruita da altra compagna di sventura nel silenzio delle notti di luna a scrutare raggi di luce notturna e forse il luccichio della spuma dei piroscafi su un mare che anche se non si vede o non viene evocato nel racconto è come se ci fosse e fosse sempre presente e incombente a ricordare che la vita forse venne dal mare e che il mare – specie per i pescatori- è vita e morte ; è essenza ed anima ; è tutto e niente ma è: esiste , incombe e attrae. E così alla fine Giannuzza ritorna alla marina . Alla capanna della sua fanciullezza, al dolore dei ricordi troppo dolci e dolorosi e brucianti della sua gioventù e riprende o forse inizia sopravvissuta ai sogni di una gioventù appassita troppo in fretta a vendere il pesce nei paesi. Pescivendola marinota. Con la sua enorme dignità con il peso dellalone di mistero legato a quel mazzo di carte con le quali ha imparato a leggere il futuro e che la rendono personaggio a tratti ieratico , a tratti inquietante, a tratti affascinante. Simile al Melquiadès che tanto peso ebbe nella disgregante vicenda dei Buendìa di Marques . Nella storia di Giannuzza, si legge lanima stessa del sud. Di un sud troppe volte tradito e troppe volte costretto a ritornare alla marina, senza sogni e senza speranze. Giannuzza stessa è la parafrasi di un Sud vinto ma non sconfitto. Un Sud che ha la sua dignità. E che non si vende. In questo, Caterina Sorbara è chiarissima: il suo è un messaggio sociale di prepotente attualità è di grande dignità . Bisognerebbe pertanto regalare il suo libro- ai politici calabresi, molti dei quali oggi hanno smarrito proprio il concetto della dignità: quella dignità fatta di povertà e di orgoglio che rende Giannuzza personaggio vivo, reale vicino e vero. Più di quanto queste modeste righe riescano a dire.
redazione@approdonews.it