Rapporto Confesercenti-Ref: 2012, la ripresa non arriva. Consumi ed export al rallentatore. Ma scendono disoccupazione e debito pubblico
redazione | Il 23, Set 2011
Venturi: “Uscire dalla logica dell’emergenza, patto per ridurre la pressione fiscale su lavoro ed imprese, tagli più coraggiosi alla spesa. Liberalizzazioni e dismissioni”
Rapporto Confesercenti-Ref: 2012, la ripresa non arriva. Consumi ed export al rallentatore. Ma scendono disoccupazione e debito pubblico
Venturi: “Uscire dalla logica dell’emergenza, patto per ridurre la pressione fiscale su lavoro ed imprese, tagli più coraggiosi alla spesa. Liberalizzazioni e dismissioni”
Il 2012 si preannuncia come l’anno della non-ripresa con un Pil che arriverà al +0,1%, i consumi delle
famiglie scendono dal +0,6% di quest’anno allo zero, con l’export che l’anno prossimo dimezza l’attuale
+4% l’anno prossimo. La situazione migliora leggermente sul piano della disoccupazione in calo dall’8,2%
del 2011 al 7,9% del 2012, mentre l’enorme debito pubblico che quest’anno toccherà il 120,5% dovrebbe
ridiscendere al 119,8%.
Un’economia ferma o quasi è la radiografia del rapporto Confesercenti-Ref che impone scelte rapide e decise
sopratutto sul versante della spesa. Ecco di seguito in breve una sintesi del rapporto.
Marco Venturi, Presidente Confesercenti sottolinea che “si deve uscire al più presto dalle logiche
dell’emergenza. Serve un doppio intervento: coraggiosi tagli delle spese a partire dai costi della politica, dallo
snellimento della P.A. e dagli sprechi; taglio delle imposte su lavoro e imprese. Sarebbe importante inoltre
che Governo e Parti sociali si impegnino su doppio tavolo di confronto per ridurre la esplosiva pressione
fiscale e per una riforma definitiva delle pensioni”.
Il rapporto Confesercenti-Ref
L’Italia è una delle economie che hanno evidenziato le maggiori perdite di prodotto durante la crisi, e un
tasso di crescita particolarmente modesta nel corso della ripresa. Naturalmente, l’andamento dell’attività
economica ha avuto anche riflessi sull’evoluzione della domanda di lavoro che, dopo una prima fase di
“attesa”, si è successivamente ridotta a tassi elevati e diffondendosi a tutti i settori. L’aumento della
disoccupazione nel complesso, però, è stato di entità contenuta, se rapportato all’entità della caduta del
prodotto. Tale effetto è la conseguenza soprattutto dell’intervento della cassa integrazione ma è anche un
esito di forme di scoraggiamento che, soprattutto al Sud, hanno portato molti lavoratori ad abbandonare la
ricerca di un posto di lavoro nella certezza di non essere in grado di trovarlo.
In queste condizioni, si comprende come la ripresa stia risultando troppo blanda per potere determinare un
recupero in tempi rapidi dell’occupazione. E’ anche per questa ragione che i benefici del recupero del ciclo
hanno tardato ad essere avvertiti dalle famiglie. Va anche considerato che, dal punto di vista congiunturale,
la ripresa ha tardato a manifestare i propri effetti sui consumatori anche a seguito dell’aumento
dell’inflazione determinato dai rincari nei prezzi delle materie prime. Tale aumento ha ridimensionato il
potere d’acquisto del reddito delle famiglie proprio quando il ciclo economico stava invertendo la rotta.
Uno dei problemi che sono emersi con crescente evidenza nel corso degli ultimi anni è rappresentato dalle
difficoltà competitive dell’economia italiana. Tali difficoltà si sono palesate nei termini di un andamento
relativamente debole delle esportazioni e, nella fase più recente, anche in una crescente tendenza della
domanda interna ad essere soddisfatta attraverso incrementi delle quantità importate. Il nostro saldo delle
partite correnti ha continuato a peggiorare nel corso degli ultimi anni, sino a raggiungere quest’anno,
secondo le stime di ref., un valore pari al 5 per cento del Pil. A questo punto la dimensione del nostro deficit
dei conti con l’estero inizia ad essere elevata, e questo suggerisce una particolare attenzione al tema.
Nonostante le famiglie abbiano fatto registrare, in una fase congiunturale molto difficile, una dinamica
debole dei consumi, questa risulta comunque addirittura relativamente sostenuta se rapportata alla ancor più
modesta crescita del reddito. Difatti, l’Italia è uno dei pochi paesi che anche durante la crisi hanno visto
ridursi il tasso di risparmio delle famiglie: le famiglie hanno cercato di contenere la riduzione del loro tenore
di vita riducendo la frazione di reddito risparmiata. Si è così completato il processo, avviatosi negli anni
duemila, di riduzione del nostro tasso di risparmio: la caratteristica dell’Italia come paese caratterizzato da
un elevato tasso di risparmio delle famiglie, è quindi venuta meno.
Anche le tendenze dell’economia italiana risentiranno della decelerazione del ciclo internazionale.
In questo contesto, le famiglie si ritrovano a subire i contraccolpi della politica fiscale in un momento in cui
non hanno avvertito ancora i benefici della ripresa. Gli aumenti dei consumi restano di modesta entità, e
condizionati dall’ipotesi che la fase di riduzione del tasso di risparmio continui ancora nel biennio di
previsione. Tale circostanza è però tutt’altro che scontata, nella misura in cui molte famiglie hanno esaurito
l’ammortizzatore rappresentato dal flusso di risparmio, e la crisi ha anche ridimensionato la platea dei
soggetti che possono contare sull’aumento del grado di indebitamento per sostenere il tenore di vita. Man
mano che le famiglie interiorizzano che le prospettive di medio termine sono poco promettenti, potrebbe anzi
verificarsi anche un nuovo aumento della quota di risparmio di natura precauzionale, finalizzata a
fronteggiare eventuali shock inattesi sul reddito.
Lo scenario che si sta materializzando vedrà inoltre con tutta probabilità comportamenti delle imprese
relativamente prudenti, sia perché vi sono ampi spazi di capacità produttiva inutilizzata, sia a causa della
posizione finanziaria delle imprese. Il ciclo degli investimenti in Italia ripartirà quindi con ritardo rispetto alle
economie che sono in una fase più avanzata del ciclo economico.
La crescita del Pil dell’economia italiana è quindi quantificata su valori bassi. Ci si muoverebbe in sostanza su
ritmi insufficienti per riportare il sistema su un trend di sviluppo rapido, e tale da ricondurci in tempi brevi sui
livelli del prodotto precedenti la crisi; tali valori, ai ritmi attuali, potrebbero essere raggiunti non prima del
2015.
Nel breve periodo la crescita risulterà ancora inferiore rispetto alle assunzioni del Governo, che si fondano su
un incremento del Pil dell’1.3 per cento nel 2012 e dell’1.5 nel 2013. Questo potrebbe condizionare
ulteriormente in senso negativo anche l’evoluzione dei conti pubblici. Ma ciò che più conta è l’aspettativa in
relazione alle tendenze di medio termine. E’ difatti soltanto da un miglioramento delle prospettive di crescita
di lungo periodo che possono scaturire scenari di sostenibilità delle finanze pubbliche credibili.
QUADRO MACROECONOMICO DELL’ECONOMIA ITALIANA – NOTA AGGIUNTIVA
La manovra 2011-2014
La manovra di bilancio che, secondo le previsioni ufficiali del Governo, dovrà portare l’indebitamento netto al
pareggio già nel 2013, ammonta complessivamente a 59 miliardi. Lo sforzo correttivo richiesto si è
intensificato con il susseguirsi degli interventi parlamentari, e rispetto alla primissima versione del decreto di
luglio 2011, con gli emendamenti apportati e la manovra aggiuntiva di agosto, l’ammontare della correzione
è più che raddoppiato.
Oltre ad incrementare il valore facciale degli interventi, la manovra aggiuntiva di agosto ha modificato il
programma in due direzioni: da un lato, se si guarda agli effetti annuali netti degli interventi, si osserva
l’anticipo di una parte della correzione al 2012. Ciò probabilmente anche nel tentativo di rendere
maggiormente credibile la politica di bilancio che altrimenti sarebbe stata demandata per quasi il 90 per
cento alla prossima legislatura, in un contesto di continui attacchi speculativi sui mercati finanziari.
Sommando gli interventi di luglio e agosto infatti, dei 59 miliardi complessivi di correzione, più di 50
graveranno sul biennio 2012-2013 (circa 25 in entrambi gli anni).
Dall’altro, rispetto all’iniziale intervento di luglio, ha inasprito ancor di più la correzione dal lato delle entrate.
che passano così dal 60 al 65 per cento, circa 39 miliardi su quasi 60 in totale. Questo tipo di approccio si
spiega in parte con la necessità di intervenire in tempi brevissimi con interventi di ampia dimensione.
Risparmi di spesa così consistenti sono certamente più difficili da realizzare, in quanto richiedono riforme di
tipo strutturale e tempi relativamente lunghi per essere messe concretamente in atto. D’altra parte la scelta
di aggravare il peso della manovra sulle entrate avrà come effetto principale quello di aumentare la
pressione fiscale, scaricandosi così principalmente sui redditi delle famiglie e ponendo un freno alle
possibilità già incerte di sviluppo per i prossimi anni. In un contesto di crescita già estremamente bassa la
manovra, nonostante l’elevato valore facciale, potrebbe però rivelarsi insufficiente anche per il suo impatto
negativo sul Pil, creando di fatto un circolo vizioso di stagnazione economica e politica fiscale restrittiva.
Anche nell’ipotesi estremamente ottimista che il Pil rimanga invariato rispetto alle ultime previsioni di
Governo, le maggiori entrate porterebbero la pressione fiscale ad aumentare di più 2 punti percentuali, dal
42.6 nel 2010 al 44.7 nel 2014.
Gli interventi sulle famiglie
Entrate
Tra le entrate, l’intervento più consistente è il taglio previsto ai regimi di esclusione e agevolazione
fiscale, che dovrebbe apportare alle casse dello Stato 4 miliardi nel 2012, 16 miliardi nel 2013 e 20 miliardi
di euro aggiuntivi a regime nel 2014. Si tratta di una clausola di salvaguardia, introdotta al fine di garantire il
maggiore gettito che dovrebbe invece derivare dalla delega per la riforma fiscale e assistenziale. Il taglio alle
agevolazioni sarebbe quindi concretamente applicato solo se la delega non venisse esercitata. Se venisse
esercitato, gli effetti sulle famiglie sarebbero peraltro dirompenti, anche in termini di equità. Dei 160 miliardi
circa di erosione dovuta alle agevolazioni fiscali, circa la metà (stima Corte dei Conti) rappresentano infatti
elementi strutturali delle imposte e fattori che introducono maggiore equità sociale. Si pensi ad esempio alle
detrazioni per i carichi familiari, alla riduzione dell’aliquota Irap per ridimensionare il cuneo fiscale, alle
aliquote agevolate Iva (che tra l’altro rispondono a normative europee). Un taglio del 20 per cento sulle sole
agevolazioni che esulano da queste categorie ammonterebbe a soli 16 miliardi. Pertanto, per totalizzare il
gettito stimato di 20 miliardi i tagli potrebbero minare la stabilità del sistema, certamente dal punto di vista
della distribuzione del carico fiscale.
L’altro intervento sulle entrate dal gettito più consistente pari a 4.2 miliardi è l’aumento dell’Iva di un punto
percentuale, dal 20 al 21 per cento. In qualche modo questa disposizione anticipa la riforma fiscale,
incrementando i prelievi indiretti, e ha in certa misura sostituito l’iniziale previsione di un contributo di
solidarietà (ai fini Irpef) che era stato previsto inizialmente nella manovra di agosto, poi modificato in larga
parte riducendo la platea dei soggetti interessati (redditi superiori ai 300 mila euro e non più ai 90 mila come
inizialmente previsto, con un gettito complessivo di circa 270 milioni di euro, rispetto ai 2.8 miliardi
inizialmente previsti).
Circa 2.5 miliardi a regime dovrebbero poi derivare dall’aumento dell’imposta di bollo sui conti di
deposito titoli, che da un’imposta in somma fissa, contestualmente all’aumento, vede l’introduzione di
qualche forma di progressività, per cui l’ammontare varierà a seconda del valore nominale dei depositi.
Tra gli interventi che incidono sulle entrate delle famiglie si registra anche l’aumento dell’aliquota
sull’accisa dei carburanti che dovrebbe generare un maggior gettito di circa 2 miliardi e che graverà in
modo cospicuo sulle persone fisiche, per le quali non è prevista alcuna agevolazione, a differenza invece
degli operatori esercenti nel settore dei trasporti.
Vi sono poi una serie di disposizioni in materia di giochi e sulle imposte sui tabacchi che
verosimilmente potrebbero tradursi in maggiori costi a carico dei consumatori e le quali, in particolare le
prime, incidono principalmente sulle fasce di popolazione a reddito medio-basso. Complessivamente, tra la
manovra di luglio e quella di agosto, queste disposizioni dovrebbero comportare entrate aggiuntive per circa
2 miliardi.
L’aumento dell’addizionale Ires sul settore energetico (la cosiddetta Robin Hood Tax, + 4 punti
percentuali, dal 6.5 al 10.5 per cento, 1.8 miliardi nel 2012, 900 milioni nel 2013 e nel 2014) in teoria non
dovrebbe comportare maggiori costi per i consumatori, in quanto il decreto prevede espressivamente il
divieto di traslare l’onere sui prezzi al consumo. Su questo punto sono stati sollevati alcuni dubbi in merito
alla possibilità di osservare tale divieto2, soprattutto in considerazione dell’aumento considerevole
dell’aliquota che, dal suo livello iniziale del 2009 del 5.5 per cento è quasi raddoppiata.
Spese
Anche tra gli interventi di spesa si registrano alcuni effetti sul reddito delle famiglie, alcuni più diretti, altri che
formalmente non incidono sul reddito ma potrebbero comunque comportare conseguenze in termini di
benessere delle famiglie, sia in termini di carenza di servizi pubblici, sia in termini di compensazione su altri
fronti come nel caso del Patto di Stabilità Interno per gli enti locali.
Gli interventi che incidono direttamente sulle famiglie riguardano in particolare il settore della previdenza.
L’anticipo al 2016 dell’allineamento dell’età pensionabile per le lavoratrici del settore privato a quelle del
pubblico non comporterà ovviamente effetti significativi prima di quella data. Vi sono comunque una serie di
disposizioni degne di nota: l’armonizzazione delle regole di decorrenza del pensionamento del settore scuola
a quelle degli altri settori, i cui risparmi sono quantificati in 1 miliardo nel 2013 e 800 milioni circa nel 2014,
tra minore spesa pensionistica e minori esborsi per la buonuscita; il posticipo delle scadenze utili per il
riconoscimento dei trattamenti di fine servizio per il settore pubblico (+ 6 mesi per pensionamenti di vecchiaia
e +24 mesi per pensionamenti anticipati), con economie stimate in 330 milioni nel 2012 e 1 miliardo a
regime; le modifiche al meccanismo di indicizzazione delle pensioni, per un risparmio di circa 1
miliardo a regime (al lordo degli effetti fiscali).
Sulle famiglie incide anche il blocco dei salari pubblici, già disposto dalla manovra dell’anno scorso (dl.
78/2010), e prorogato per un ulteriore anno dalla manovra di luglio.
Infine, effetti indiretti sul reddito delle famiglie potrebbero derivare dagli altri risparmi di spesa previsti. Da un
lato, i tagli lineari alle spese dei Ministeri, così come i tagli al finanziamento del Fondo Sanitario Nazionale,
potrebbero tradursi in minori servizi o servizi di minore qualità per i cittadini.
Lo stesso dicasi per l’inasprimento dei vincoli del Patto di Stabilità Interno per le Amministrazioni Locali, che
prevede un contributo alla manovra degli enti pari a 6.4 miliardi a regime, e che con il decreto di agosto è
stato incrementato per il 2013 (da 3.2 miliardi a 6.4) e anticipato al 2012 per complessivi 6 miliardi. Da un
lato, le difficoltà per gli enti locali a far fronte agli impegni del Patto determinano già da alcuni anni una
contrazione della parte più velocemente manovrabile della spesa degli enti, tipicamente spesa per
investimenti e spesa sociale. Dall’altro, lo sblocco dell’autonomia tributaria potrebbe comportare una parziale
traslazione della manovra degli enti sui cittadini attraverso un ulteriore aumento della pressione fiscale.
Questa seconda via appare però al momento scarsamente percorribile nel breve termine. Per quanto
riguarda il 2011 sarebbero infatti pochi gli enti nelle condizioni di aumentare l’addizionale Irpef rispetto
all’aliquota attualmente vigente.
Il cumulo degli interventi a carico delle famiglie in un contesto congiunturale sfavorevole conduce a
prospettare anche per il prossimo anno una contrazione del rispettivo potere d’acquisto. I consumi
registrerebbero così una nuova correzione, la cui entità potrebbe risultare anche rilevante se le tensioni sui
mercati finanziari dovessero incidere in misura significativa sul clima di fiducia.
PROPOSTE CONFESERCENTI
Complessivamente, al 2014, l’importo della manovra è diventato di 59 miliardi di euro (era inizialmente di
55).
La composizione (a regime, al 2014) sarà:
– 40 miliardi entrate (compreso 1,2 mld dal recupero di evasione e 20 miliardi che dovrebbero
provenire dalla “riforma fiscale” abolendo una quota delle detrazioni e deduzioni), pari al 68%;
– 20,4 miliardi minori spese (compresi 7,4 miliardi di minori trasferimenti agli EELL, sempre al 2014).
Sono previsti degli inasprimenti per gli studi di settore.
Se teniamo conto che realisticamente gli enti locali trasformeranno i tagli in aumenti delle addizionali IRPEF,
fino ai limiti consentiti loro già dal 2012, allora la quota delle maggiori entrate salirà all’80%.
Lapressione fiscale nel 2014 si attesterebbe al massimo storico del 44,7 per cento. Tale livello sarebbe
ancora maggiore se gli enti decentrati compensassero, anche solo in parte, la riduzione dei trasferimenti
statali con un aumento dell’imposizione a livello locale: si supererebbe il 45%.
Quindi la Manovra, nelle sue diverse versioni, ha dato la priorità alla messa in sicurezza dei conti pubblici.
Fuori dall’emergenza, lavorare per la crescita
Con le previsioni di crescita esposte nel Rapporto, la costruzione di una strategia di sviluppo assume nel
nostro Paese carattere di maggiore delicatezza e rischiosità. A questi tassi si recupererebbero i livelli pre-crisi
soltanto nel 2015-2016.
Siamo costretti, purtroppo, a ribadire che questo stato di cose implica l’urgenza di lanciare una grande
“operazione sviluppo”. Già lo scorso anno proponevamo una sorta di Stati generali per lo sviluppo –
governo, regioni, parti sociali – che lavori concretamente su progetti utili al futuro del Paese visto che
neanche le esportazioni riescono più a darci quelle prospettive che storicamente ci hanno permesso di uscire
dalle crisi.
Quindi, a nostro parere:
– si deve, innanzitutto, uscire, una volta per tutte, dall’ottica dell’emergenza che impedisce di
guardare al di là di un orizzonte limitato e del piccolo cabotaggio, va creato un nuovo clima di fiducia
e di certezza, condizioni necessarie per le imprese (investire, assumere) e per le famiglie (decisioni
di spesa, programmi sul futuro);
– è inconcepibile una situazione in cui la pressione fiscale sia a livelli “nordici”, con una rete di
servizi per cittadini ed imprese assolutamente inefficiente ed inefficace, se paragonato a quei paesi;
– vanno tagliati sul serio la spesa improduttiva e gli sprechi, va razionalizzata ulteriormente la
spesa per acquisti, per riportare – con un piano pluriennale-rigoroso – il debito pubblico sotto il
100%; a questo scopo si deve avere anche la capacità di riprendere il percorso di vendita di una
parte del patrimonio pubblico dello Stato e degli EELL e di ridurre la partecipazione pubblica in Enti
non strategici. Una vendita del 5% del patrimonio non utilizzato potrebbe fornire circa 3 punti di PIL
(50 miliardi);
– si deve agire con coraggio sui costi della politica. La somma dei costi diretti e di funzionamento
collegati alla rappresentanza politica – comprensivi, cioè, degli emolumenti al corpo politico e di tutti
gli altri costi (costo del lavoro dei dipendenti pubblici e consumi intermedi) connessi all’attività – si
può ragionevolmente stimare ammonti a circa 10 miliardi di euro, di questi sicuramente 2,2 miliardi
di euro vanno per le indennità di parlamentari e consiglieri di assemblee legislative a qualunque
livello di governo. Nel complesso, il costo della rappresentanza politica è di 400 euro per ciascun
nucleo familiare italiano. Serve anche, ovviamente, una riforma complessiva dell’organizzazione del
nostro sistema amministrativo per definire un quadro chiaro e condiviso delle funzioni a tutti i livelli
di governo. Da qui anche la necessità dell’abolizione delle Province, senza più rinvii.
Occorre riconsiderare anche il sistema delle esternalizzazioni e degli appalti della Pubblica
Amministrazione, recuperando criteri di trasparenza e appropriatezza per evitare la catena degli
sprechi e clientele.
Infine, va riformato anche il settore dei servizi pubblici locali: nel 1996 c’erano 30 aziende
municipalizzate in forma di SpA, oggi ce ne sono quasi 800. Nelle società di capitali partecipate dagli
enti locali si contano oltre 38mila persone con cariche sociali. I compensi dovuti al moltiplicarsi di
incarichi nei CdA andrebbero computati tra i costi della politica a pieno titolo;
– bisogna riprendere il cammino delle liberalizzazioni: il settore distributivo è uno dei pochi che in
maniera sistematica è stato oggetto di ripetuti interventi in questo senso. E’ ora di aumentare i livelli
di concorrenza di tutto il sistema: le utilities, i servizi pubblici locali, il trasporto ferroviario regionale,
le professioni;
– va affrontato con una sessione separata e con il coinvolgimento delle parti sociali il tema di una vera
riforma organica del fisco, che ridistribuisca il carico delle imposte, semplifichi il sistema, lasci in
pace chi rispetta gli studi di settore, aggredisca l’elusione delle grandi imprese, colpisca l’abusivismo
dilagante ed il doppio lavoro in nero. Si fissi – come in Francia – un tetto massimo ad una pressione
che se sommerà interventi nazionali a nuovi interventi di stampo “federalistico” – come sembra si
stia facendo sinora – rischierà di far collassate il sistema, riduca la pressione sul lavoro e l’impresa.
– va altresì portato a termine una volta per tutte il tema della riforma previdenziale, per eliminare i
continui aggiustamenti che creano incertezze perenni ai cittadini su un tema delicato come quello
legato alle prospettive delle condizioni di vita;
– si deve rilanciare la spesa per infrastrutture, più che mai necessaria sia in funzione anticiclica che
per rilanciare lo sviluppo meridionale: dare contenuti produttivi alla domanda pubblica, attraverso il
varo di un piano di investimenti pubblici che operi da volano dell’economia (con effetti immediati sul
versante occupazionale). Va rivisto il programma delle “grandi opere”, concentrando la maggior
parte delle risorse finanziarie disponibili al completamento accelerato delle più rilevanti opere
avviate, quelle con progetti immediatamente cantierabili; stanziare il restante per un ampio
programma di manutenzioni straordinarie delle aree urbane, degli edifici scolastici e di riassetto del
territorio nelle regioni più a rischio.
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