Il contributo dei Caduti sammartinesi per l’Unità d’Italia
redazione | Il 18, Nov 2011
L’associazione socio culturale “Castello” onlus di San Martino, con il patrocinio del comune di Taurianova, il 4 novembre 2011 ha deposto una lapide commemorativa presso il monumento di largo Kennedy
di DOMENICO CARUSO
Il contributo dei Caduti sammartinesi per l’Unità d’Italia
L’associazione socio culturale “Castello” onlus di San Martino, con il patrocinio del comune di Taurianova, il 4 novembre 2011 ha deposto una lapide commemorativa presso il monumento di largo Kennedy
«Fatta l’Italia, ora bisogna fare gli italiani», pare sia stata la frase divenuta proverbiale pronunziata dal marchese Massimo d’Azeglio (1798-1866) nel commentare l’unificazione nazionale. Purtroppo, la realtà si dimostrò fin d’allora ben diversa. Il generale sabaudo Enrico Cialdini (1811-1892), dopo aver compiuto il massacro di Gaeta, comunicò al governatore del Molise: «Faccia pubblicare un bando che fucilo tutti i paesani che piglio armati e do quartiere solo alla truppa». Le popolazioni del Meridione vennero definite barbare, primitive ed analfabete. L’antropologo e criminologo veronese Cesare Lombroso (1835-1909), noto per la sua teoria dell’uomo delinquente nato o atavico, nel giudicare il brigante Giuseppe Musolino – “il re dell’Aspromonte” – (1876-1956), sostenne che la sua violenza era dovuta all’ambiente sociale e alla razza di appartenenza. Il Sud, che sotto i Borbone aveva goduto di un certo sviluppo industriale e dove Napoli costituiva un florido centro culturale, in seguito all’Unità d’Italia si vide depredato dei suoi beni portati al Nord e per la prima volta fu angustiato dalla piaga dell’emigrazione. Il 17 marzo 1861, nascita dello Stato italiano proclamato con la nomina del Re Vittorio Emanuele II, avrebbe dovuto – secondo Alessandro Manzoni (1785-1873) – far sorgere: «Una gente che libera tutta / o fia serva tra l’Alpe ed il mare; / una d’arme, di lingua, d’altare, / di memorie, di sangue e di cor». (Dall’ode “Marzo 1821”). Un popolo, quindi, da riconoscersi nello stesso esercito, nella comune lingua e religione, nella medesima storia ed origine, negli stessi sentimenti. Rimanevano da far parte del nostro Stato: il Veneto, il Trentino, il Friuli e Venezia Giulia ancora nell’Impero Austro-Ungarico. Dopo mezzo secolo, il 17 marzo 1911, si unirono all’Italia il Veneto e parte del Friuli; nel novembre 1918, distaccandosi con il Sud Tirolo, pure la Venezia Giulia ed il Trentino. Nel secondo dopoguerra, alla svolta del centenario furono perduti tutti i territori ad est di Trieste e Gorizia.
All’indomani dell’Unità, l’Italia si presentava divisa in due grandi aree così qualificate: il Nord in senso più mercantile, manifatturiero e finanziario; il Sud per la sua economia agraria. Ma lo squilibrio apparve evidente, perché mentre il modello di sviluppo del primo fu di tipo capitalistico con l’ammodernamento costante degli strumenti di produzione delle aziende agricole, in quella del Sud la gestione delle terre rimase di origine feudale. Pertanto, qui il fenomeno del “brigantaggio” rappresentò il simbolo del malcontento dei contadini delusi nelle loro aspettative.
Nel 1875 Pasquale Villari (1826-1917) con le sue “Lettere Meridionali” denunciò per primo lo stato di profonda crisi delle nostre popolazioni. Per quanto riguardava “I rimedi”, lo storico napoletano affermò: «Noi potremmo essere uniti, liberi, indipendenti, con le finanze in equilibrio, e pure formare una nazione senza significato nel mondo. Occorre che un nuovo spirito ci animi, che un nuovo ideale baleni dinanzi a noi. E questo ideale è la giustizia sociale, che dobbiamo compiere prima che ci sia domandata. È necessario ridestare in noi quella vita morale, senza cui una nazione non ha scopo, non esiste. Ed è necessario al nostro bene materiale e morale. Senza liberare gli oppressi, non aumenterà fra noi il lavoro, non crescerà la produzione, non avremo la forza e la ricchezza necessarie ad una grande nazione. L’uomo che vive in mezzo agli schiavi, accanto agli oppressi e corrotti, senza resistere, senza reagire, senza combattere, è un uomo immorale che ogni giorno decade. La camorra, la mafia ed il brigantaggio diventano inevitabili». Come s’è visto, l’emigrazione segnò per la nostra gente l’unica via di salvezza. All’inizio del secolo oltre mezzo milione di italiani varcò l’Oceano e fino al 1914 circa 8 milioni abbandonarono la Patria; metà di essi era costituita da meridionali in cerca di fortuna negli Stati Uniti e nel Sud America. Il tenore di vita migliorò allorquando incominciarono a pervenire alle famiglie proletarie le rimesse di grandi somme di danaro da parte dei congiunti emigrati e ciò contribuì pure a risanare la bilancia commerciale nazionale. Con il Fascismo, precluso lo sbocco dell’emigrazione, si poté soltanto arruolare tra i “volontari” dell’Etiopia.
Nel 1945, al termine del secondo conflitto mondiale, ebbero inizio le lotte sociali e le invasioni delle terre.
Il Governo fu costretto a varare le leggi di riforma agraria e a creare la “Cassa del Mezzogiorno”, con risultati insoddisfacenti. A rimediare fu ancora l’emigrazione, intensificatasi specialmente verso l’Europa e l’Italia del Nord. L’episodio sensazionale riguardante l’occupazione delle terre incolte fu l’eccidio di Melissa (Crotone) nel 1949, dove – oltre ai feriti – tre giovani caddero colpiti dalle Forze dell’Ordine. Quel sabato 29 ottobre erano giunti con i propri compagni nella zona di Fragalà, muniti soltanto di attrezzi agricoli e con una frugale cibaria, per coltivare un pezzo di terra e sfamare i propri familiari. L’ideale di uguaglianza e di libertà che ritenevano d’aver raggiunto veniva infranto dai poliziotti chiamati ad intervenire dallo strapotere degli agrari.
La celebrazione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, a San Martino di Taurianova (R.C.), merita un plauso sincero. Il contributo dei combattenti che abbandonarono il focolare domestico per un supremo ideale trova in Dante l’appropriata definizione: «Libertà va cercando, ch’è sí cara, / come sa chi per lei vita rifiuta» (Purg. I, 71-72). I nostri militari, sacrificando la propria vita, realizzarono l’ideale espresso dall’artista polistenese Francesco Jerace (1853-1937): «Patisco d’amor patrio, soffro di sentimentalità per il glorioso nostro passato, mi cruccio dell’abbandono in cui siamo caduti e tenuti… e specialmente cerco di far apparire nobile, grande e bella la nostra Calabria, anche quando è giustamente accusata».
Durante la mia carriera d’insegnante ho diverse volte commemorato, con i colleghi dell’intero plesso scolastico, i nostri Caduti in guerra coinvolgendo i Cavalieri viventi di Vittorio Veneto, le autorità ed i cittadini.
Il “Filo diretto” de “Il Bollettino” – mensile dell’Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi di Guerra con sede a Roma (Anno LXX – N. 10/11) – Ottobre/Novembre 1988) ha sottolineato la nostra iniziativa del 70° anniversario della Vittoria. In precedenza, il 5 novembre1974 dalle colonne de “Il Tempo” di Roma (Anno XXXI – n. 302) avevo scritto:
«Dopo le onoranze ai Caduti della Città di Taurianova, con vero disappunto dobbiamo rilevare la mancanza di un monumento che ricordi gli eroici combattenti di S. Martino. Sono parecchi, infatti, i soldati del generoso paese che, durante il primo conflitto mondiale, immolarono la loro vita per la grandezza della Patria. Si ritiene urgente erigere per essi almeno una stele nel luogo natale […]». Oggi, grazie all’opera assidua e scrupolosa di Rocco Carpentieri e di Francesco Forestieri, abbiamo potuto finalmente rendere giustizia ai nostri numerosi combattenti.
Visionando l’albo d’oro della prima guerra mondiale (edito nel 1930 dal Ministro della Guerra), il giovane Carpentieri ha registrato i nomi dei militari di Jatrinoli e selezionato, quindi, quelli dei sammartinesi.
Per non incorrere in errori, lo stesso ha controllato i connotati personali dei Caduti nel registro delle nascite della locale Parrocchia.
Per quanto riguarda i militari del secondo conflitto mondiale sono stati esaminati i documenti e le lettere custoditi dalle famiglie, nonché ascoltato le testimonianze delle stesse. Così, il 150° anniversario dell’Unità d’Italia, alla presenza delle Autorità civili – militari e religiose, nonché dell’intera popolazione, si è rivelato un evento straordinario.
L’Associazione Socio Culturale “Castello” Onlus di S. Martino, con il patrocinio del Comune di Taurianova, il 4 novembre 2011 ha deposto una lapide commemorativa presso il monumento di Largo Kennedy con i nomi che seguono (in ordine alfabetico).
Caduti della prima guerra mondiale: Giuseppe Albanese (anni 20), Diego Carrozza (anni 23), Vincenzo Chirico (anni 28), Domenico Ciano (anni 20), Francesco Ciano (anni 38), Francesco Antonio Ciano (anni 24), Giuseppe Condello (anni 32), Vincenzo Cordì (anni 20), Francesco Cutrì (anni 22), Sebastiano De Marco (21 anni), Salvatore Falleti (19 anni), Salvatore Frazzica (anni 25), Salvatore Furina (anni 20), Antonio Garreffa (anni 26), Giuseppe Mammoliti (anni 20), Rocco Parisi (anni 34), Vincenzo Salvatore Parisi (anni 23), Luigi Politi (anni 28), Bruno Romeo (anni 22), Angelo Scali (anni 27), Domenico Scarfone (anni 30), Pasquale Scarfone (28 anni), Vincenzo Sicari (anni 24) e Francesco Ventrice (anni 26).
Caduti della seconda guerra mondiale: Natale Caminiti (anni 20), Domenico Cammarere (anni 22), Pasquale Carpentieri (anni 23), Salvatore Carrozza (anni 34), Giuseppe Chirico (anni 31), Martino Frazzica (anni 24), Santo Galluccio (anni 22), Salvatore Nicola Laganà (anni 28), Vincenzo Lollio (anni 20), Domenico Politi (anni 30), Martino Principato (anni 26), Salvatore Ruffo (anni 27), Salvatore Scordo (anni 21), Gaetano Sorace (anni 34), Martino Trimarchi (anni 21) e Martino Zoccali (anni 39).
Alle famiglie dei quaranta Caduti è stata consegnata una medaglia ricordo con il nome del proprio congiunto.
Emblematica risulta la citazione riportata nell’invito della manifestazione:
«Da oggi, fino alla fine del mondo, noi che siamo qui verremo ricordati. Noi pochi fortunati, noi banda di fratelli. Perché colui che oggi è con me e versa il suo sangue sul campo, colui è mio fratello». (Da “Enrico V” di William Shakespeare).
Domenico Caruso
S. Martino di Taurianova (Reggio Cal.)
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