La lanterna di Diogene
Giuseppe Larosa | Il 07, Mar 2012
Festa delle donne (coraggiose). “Sono forti e coraggiose, le donne. Quando scelgono la solitudine, rinunciando a un falso amore, smascherandone la superficialità”
a cura di GIUSEPPE LAROSA
La lanterna di Diogene
Festa delle donne (coraggiose). “Sono forti e coraggiose, le donne. Quando scelgono la solitudine, rinunciando a un falso amore, smascherandone la superficialità”
a cura di Giuseppe Larosa
L’antimafia è una vocazione culturale e chi la fa deve avere la consapevolezza dell’essere umile e di affrontare ogni dialogo non solo con coraggio ma anche con umiltà. Ma soprattutto non deve mai essere un investimento per trarre benefici economici né tantomeno dovrà essere una professione né un mezzo per diventare parlamentare. Questa non è “antimafia”, è sciacallaggio e abuso della parola stessa.
John Fitzgerald Kennedy disse «Un uomo fa quello che è suo dovere fare, quali che siano le conseguenze personali, quali che siano gli ostacoli, i pericoli o le pressioni. Questa è la base di tutta la moralità umana», frase menzionata spesso da Giovanni Falcone e poco applicata da chi non conosce la condizione morale delle esistenze e dei rapporti sociali nei propri doveri.
Ritornare sul discorso di questi concetti espressi sopra, è solo per dire che chi dovrebbe presentarsi umile davanti alle critiche, molto spesso risponde come si fa di solito nelle pratiche mafiose, minacciando, magari con querele, denunce e altro ancora, oltre ai toni molto spesso duri e insultanti.
Questa volta però, si parla di vera antimafia, non quella degli slogan, degli striscioni o delle frasi fatte (e/o copiate), si parla di concretezza specie in questa data vicina all’8 marzo, quando viene festeggiata la donna in quanto tale. Tre nomi inizialmente erano state fatte per dedicare il giorno della festa; tre donne che hanno avuto il coraggio di ribellarsi dalla persecuzione mafiosa che vigeva dentro le loro case perché parenti e mogli degli aguzzini mafiosi. Tre donne come Lea Garofalo (sciolta nell’acido dal proprio compagno), Maria Concetta Cacciola (suicidatasi misteriosamente ingerendo acido muriatico dopo aver collaborato con la giustizia) e Giuseppina Pesce. Per loro in una Calabria fatta di “professionisti dell’antimafia”, di falsi collaboratori e di “servi della plebe”, va dedicato il giorno delle donne così come aveva proposto il direttore del Quotidiano della Calabria Matteo Cosenza, dicendo che “Hanno pagato un prezzo altissimo, ma lo pagheranno ancora di più se saranno dimenticate e il loro esempio non diventerà un patrimonio collettivo che rigenera in bene e felicità le azioni della gente di questa terra”.
E parlo di loro con la stessa voglia che Diderot diceva delle donne quando si scrive di loro «bisogna intingere la penna nell’arcobaleno e asciugare la pagina con la polvere delle ali delle farfalle», specie per chi si è ribellato all’interno contro lo strapotere e l’arroganza di una famiglia mafiosa. Contro quella mafia che è “una montagna di merda”, che adotta la violenza come scopo principale dei propri affari e della loro esistenza opprimendo un territorio ed un tessuto sociale debole che molte volte stenta a respirare perché soffocato dalle ingiustizie e dalla perseveranza del violento sul debole.
Queste donne hanno giocato una partita drammatica, alcune hanno vinto però hanno pagato con la loro vita, altre, ed è il caso di Giuseppina Pesce hanno contribuito a delle condanne pesantissime per i loro loschi affari illeciti, rischiando di entrare in un vortice pericoloso così come poi sono entrati in quanto hanno rischiato la propria vita cambiandola completamente. E lo hanno fatto per dare un miglioramento a questa società, a questa terra martoriata e dare così un futuro ed una speranza ai giovani che osservano il loro futuro con molte incertezze in un contesto sociale che offre ben poco di ilarità e di freschezze future.
A queste donne già citate, vorrei senza azzardare o sembrare impopolare aggiungere un’altra donna coraggio che ha avuto il senso della legalità contro la violenza della propria famiglia, e questa volta lo ha fatto per amore. Un amore sfociato tra le pagine del web e che l’ha portata a incontrare il giovane Fabrizio per dare un senso ad un amore nato tra le righe del virtuale e realizzarlo nella realtà del tessuto sociale malato che aveva attorno. Parlo di Simona Napoli e del suo coraggio di denunciare un fatto che ancora oggi tiene sotto scacco una famiglia ed un’intera comunità perché da quel 23 febbraio scorso di Fabrizio Pioli non si hanno più notizie.
Storie di quattro donne che in un mondo fatto di ipocrisie antimafia e di pseudo arrampicatori di questa parola hanno un senso molto particolare e ben articolato nei suoi minimi particolari. Storie che hanno il sapore della giustizia insieme alla ribellione ma soprattutto consegnano uno spaccato di vita reale nel creare la fiducia verso le istituzioni per amore della giustizia. Per amore dei propri figli e per amore della loro vita vissuto in un mondo sbagliato.
lalanternadidiogene@approdonews.it