Marina di Gioiosa Jonica, catturato il latitante Giuseppe Aquino
redazione | Il 01, Ago 2012
“Peppi u pacciu” si trovava in un bunker sotterraneo ricavato nella cantina dell’abitazione della madre – ULTIMI AGGIORNAMENTI
Marina di Gioiosa Jonica, catturato il latitante Giuseppe Aquino
“Peppi u pacciu” si trovava in un bunker sotterraneo ricavato nella cantina dell’abitazione della madre
Nel pomeriggio di ieri, i Carabinieri hanno arrestato in Calabria il latitante AQUINO Giuseppe, elemento di spicco dell’omonima cosca, mentre si trovava nascosto all’interno di un bunker sotterraneo di piccole dimensioni, ricavato nel pavimento dell’abitazione della madre, a Marina di Gioiosa Jonica. L’accesso al nascondiglio, perfettamente camuffato, era possibile facendo traslare su rotaie due gradini in marmo di una scala interna, attraverso un sofisticato congegno elettromeccanico.
AQUINO Giuseppe, detto “Peppe o pacciu”, era ricercato per associazione mafiosa a seguito di un provvedimento restrittivo che lo aveva raggiunto al termine della prima fase della maxi operazione “Il Crimine”, conclusa nel mese di luglio 2010 e coordinata dalle Procure Distrettuali di Reggio Calabria e Milano. L’attività investigativa che aveva portato all’arresto di circa 300 indagati per associazione mafiosa ed altro, aveva tra l’altro delineato la figura del predetto latitante all’interno del “locale” di ndrangheta di Marina di Gioiosa Jonica.
Giudicato con il rito abbreviato in data 08.03.2012, AQUINO Giuseppe è stato condannato dal GUP di Reggio Calabria alla pena di anni 3 e mesi 4 di reclusione (Il Pubblico Ministero ne aveva chiesto la condanna a 16 anni di reclusione).
Tra il 2010 ed il 2011, l’Arma, sotto il coordinamento della Procura Distrettuale di Reggio Calabria, aveva individuato e sequestrato bunker risultati nella disponibilità del latitante, presso la propria abitazione ovvero di soggetti individuati quali fiancheggiatori. In particolare:
(1) in data 11.10.2010, nel corso di perquisizioni domiciliari presso le abitazioni dei latitanti AQUINO Domenico, AQUINO Giuseppe e AQUINO Rocco siti in Marina di Gioiosa Jonica strada Porticato, venivano rinvenuti n. 2 bunker, di cui il primo presso l’abitazione di AQUINO Giuseppe di piccole dimensioni, con chiusura azionata da un congegno meccanico scorrevole tramite un telecomando che emetteva segnali ad un lampione in ferro presente all’interno della villa posta nelle vicinanze del cancello d’entrata; il secondo presso l’abitazione del fratello Domenico, nel garage seminterrato dell’abitazione, avente notevoli dimensioni, addirittura metri 6,50 x 2,50 circa, il cui accesso era celato da una parete mobile azionata da un congegno meccanico scorrevole su binari;
(2) in data 29.06.2011, nel garage dell’abitazione del latitante Giuseppe AQUINO veniva rinvenuto un BUNKER delle dimensioni di mt. 1,60x 1,70 x 2,00, accessibile attraverso una botola a scorrimento manuale della larghezza di mt.0,90.-
La perquisizione veniva estesa anche all’abitazione di TASSONE Rocco nato a Gioiosa Jonica il 13.04.1953, residente a Marina Gioiosa Jonica Strada Pantalogna n.50, presunto fiancheggiatore del latitante, ove veniva scovato un altro bunker delle dimensioni di metri 1,10 x 1,15 e 2,50, accessibile per il tramite di una botola dell’ampiezza di metri 0,90, con possibilità di apertura sia tramite scorrimento manuale, sia elettricamente. All’interno di quest’ultimo rifugio venivano rinvenuti kg. 8,8 di sostanza stupefacente da taglio per la droga del tipo prometazone e grammi 200 di dorozen;
(3) In data 11.10.2011, presso l’abitazione del latitante, in particolare nel vano seminterrato, veniva scoperto un bunker accessibile tramite un’apertura di cm 70×70, profondo mt. 3 circa, che conduceva ad un vano di metri 3×3 ed un’altezza di metri 2,50, sottoposto a sequestro unitamente a n.42 banconote da euro 50,00.
Nel febbraio scorso i Carabinieri avevano tratto in arresto il fratello AQUINO Rocco cl.1960, già inserito nell’elenco dei latitanti pericolosi stilato dal Ministero dell’Interno, esponente apicale della “Provincia” e di vertice del “locale” di Marina di Gioiosa Jonica.
L’odierno intervento, eseguito dai Carabinieri del ROS, del Comando Provinciale Carabinieri di Reggio Calabria e dello Squadrone Eliportato Cacciatori di “Calabria”, costituisce un risultato di eccezionale rilevanza nell’ambito di un’ampia manovra investigativa sviluppata dai Carabinieri e coordinata dalla Procura Distrettuale di Reggio Calabria nei confronti delle cosche della ‘ndrangheta che ha determinato, a partire dal 2004, la cattura di numerosi capi clan del calibro di Giuseppe MORABITO, Pasquale CONDELLO, Gregorio e Giuseppe BELLOCCO, Giuseppe e Salvatore COLUCCIO, Antonio PELLE, Girolamo MOLÈ, Sebastiano PELLE, Santo GLIGORA, Saverio TRIMBOLI, Francesco PERRE e Francesco PESCE, AQUINO Rocco e da ultimo TRIMBOLI Rocco che, dalla latitanza, continuavano a dirigere i sodalizi di riferimento.
AQUINO Giuseppe (20.02.1962), figlio di Vincenzo e fratello di Rocco (cl. 60), compare per la prima volta nelle cronache giudiziarie il 28 gennaio 1980, quando il Tribunale per i Minorenni di Reggio Calabria, in ordine al reato di detenzione abusiva di cartucce caricate a pallettoni, dichiarava non doversi procedere nei suoi confronti per concessione del perdono giudiziale.
Il 04.12.1997 era colpito da ordinanza di custodia cautelare emessa dal GIP presso il Tribunale di Reggio Calabria per usura e riciclaggio, a seguito del quale si rendeva irreperibile; in relazione a tale vicenda, in data 13.07.1998 il GIP ne disponeva il rinvio a giudizio davanti al Tribunale di Locri (RC).
Tra la fine degli anni ’80 ed i primi anni ’90, era risultato coinvolto nell’operazione “Zagara” coordinata dall’A.G. di Reggio Calabria, che ne accertava il ruolo all’interno della famiglia AQUINO, anche per il controllo del narcotraffico -1-. Le indagini inoltre avevano documentato i consolidati rapporti tra gli Ursino-Macrì di Gioiosa Jonica, gli AQUINO-Coluccio–Scali di Marina di Gioiosa Jonica ed i Commisso di Siderno. Significative, a riguardo, le dichiarazioni all’epoca rese dal noto collaboratore Ierinò Vittorio, in base alle quali le famiglie egemoni a Gioiosa Marina risultavano proprio essere quelle dei Mazzaferro e degli AQUINO, questi ultimi in conflitto con i primi -2- ed in strettissimi rapporti di affari con i Coluccio nonché i Commisso e gli Scarfò di Siderno, a favore dei quali si erano schierati nella sanguinosa guerra contro i Costa, poi decimati.
All’interno della famiglia AQUINO risultavano peraltro inseriti noti brokers internazionali del traffico di cocaina dal Sud America, come gli Scali (Antonio, Natale e Vincenzo) ed i Lucà (Francesco, Nicola e Giuseppe), alcuni dei quali al centro dell’indagine “Decollo” del ROS che nel gennaio 2004, aveva consentito l’esecuzione di complessivi 154 provvedimenti restrittivi con il sequestro di oltre 5000 kg di cocaina e la documentata importazione di altri 7800 kg. Le indagini avevano anche documentato l’evoluzione criminale della famiglia AQUINO, dedita negli anni ’70 soprattutto alla commissione di truffe e fallimenti fraudolenti e, in una seconda fase, pienamente attiva nel narcotraffico internazionale con collegamenti funzionali in Canada e negli U.S.A. oltre che nel riciclaggio dei relativi proventi, per lo più reinvestiti nel settore immobiliare.
Come anticipato, AQUINO Giuseppe era stato infine colpito da un ulteriore provvedimento di fermo per il quale era ricercato, emesso dalla Procura Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, nell’ambito dell’operazione “Il Crimine”. L’operazione, nel cui ambito le Autorità Giudiziarie di Milano e Reggio Calabria hanno raccordato e coordinato numerosi procedimenti penali collegati fornendo un quadro complessivo ed unitario degli assetti organizzativi della ‘ndrangheta, delle sue articolazioni extraregionali e dei comuni interessi illeciti, ha accertato come la matrice criminale, dopo un lento processo evolutivo, già delineato da alcuni collaboratori di giustizia nei primi anni ’90, abbia raggiunto una nuova configurazione organizzativa, in grado di coordinare le iniziative criminali delle singole articolazioni, soprattutto nei settori dell’infiltrazione negli appalti pubblici e del traffico internazionale di stupefacenti -3-.
Le citate indagini hanno infatti tecnicamente documentato come le cosche della provincia di Reggio Calabria rimangano il centro propulsore delle iniziative dell’intera ‘ndrangheta, nonché il principale punto di riferimento di tutte le articolazioni extraregionali, nazionali ed estere. A tal fine è stato creato un organismo assolutamente inedito, denominato “Provincia”, riferimento dei responsabili di tre “mandamenti” in cui sono stati ripartiti i “locali” del capoluogo e delle aree tirrenica e ionica. Un ordine gerarchico all’interno di tale organismo che, tuttavia, garantisce ai singoli sodalizi ampi margini di autonomia, risulta assicurato dai tradizionali gradi (“sgarro”, “santa”, “vangelo”) e ruoli (capocrimine, mastro di giornata e contabile) nei diversi livelli dell’organizzazione. L’attività investigativa ha documentato come tale modello organizzativo sia stato esteso anche alle proiezioni nel nord Italia (Lombardia, Liguria e Piemonte) e all’estero (in Svizzera e Germania -4-), con la costituzione di “locali” e, laddove maggiore è risultata la loro concentrazione, di organismi assimilabili ai “mandamenti”, come in Lombardia e Liguria. Tali articolazioni, seppur dotate di libertà decisionale relativamente alle attività locali, rimangono comunque dipendenti dalla ‘ndrangheta della provincia di Reggio Calabria. Proprio nel corso delle indagini in parola, sono state documentate numerose riunioni tra i maggiori esponenti delle cosche del mandamento ionico, per la risoluzione di problematiche interne, tra cui quella relativa all’omicidio di Novella Carmelo. Sono così emerse ulteriori conferme circa l’operatività degli organismi denominati “provincia” e “mandamento” e la rispettiva influenza nella determinazione degli assetti dei sodalizi dipendenti, tra cui quello di Gioiosa Ionica, all’interno del quale veniva ricomposta una scissione, con la nomina a capo società di AQUINO Rocco, fratello di AQUINO Giuseppe, in sostituzione di AQUINO Nicola Rocco. Inoltre è stato possibile individuare gli interessi economici della cosca nella gestione, anche attraverso prestanome, di alberghi, esercizi pubblici, imprese edili ed immobili. Alcuni di essi, per un valore di 10 milioni di euro -5-, venivano sottoposti ad un provvedimento di sequestro preventivo.
1 – CAPO “I”: “del delitto p.e p. dall’art. 416 bis, commi 1, 2, 4, 6 e 8, C.P., per avere fatto parte di una associazione di tipo mafioso, diretta, avvalendosi della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva, condizioni tipiche della zona di insediamento, caratterizzata da antica e persistente presenza mafiosa, a commettere delitti di ogni genere ed in particolare omicidi, tentati omicidi, estorsioni, traffico di sostanze stupefacenti, usura, ad acquisire in modo diretto od indiretto la gestione o comunque il controllo di attiviotà ed iniziative economiche pubbliche e private, a realizzare profitti e vantaggi ingiusti anche di tipo elettorale, con l’aggravante della disponibilità di armi, munizioni ed esplosivo e della provenienza delittuosa delle risorse finanziarie mediante le quali acquisire e mantenere il controllo di attività economiche, nonchè della qualità di capi, promotori ed organizzatori per AQUINO Francesco ed AQUINO Giuseppe.”
2 – …omissis… Nel colloquio del 1.10.1992 MAZZAFERRO Vincenzo riferì a proposito degli AQUINO che essi erano ancora dediti al traffico di sostanze stupefacenti e che anzi non avevano mai smesso di operare in questo settore. La droga trattata era sia la cocaina che l’eroina, che arrivava in grosse forniture dall’estero, come il MAZZAFERRO sapeva da fonte sicura, assai vicina agli AQUINO, tanto da potere affermare “comunque la portano, e ce l’hanno continuamente”. E più oltre riferisce: “Comunque tenga presente che la roba ce l’hanno. E gli arriva. Di questo qui ne è certo quello che fa più…che è proprio a capo della situazione è proprio Giuseppe, con suo zio Rocco”. E’ più oltre MAZZAFERRO ribadisce tale affermazione, aggiungendo ai due l’altro fratello più piccolo (“quello lì che lo mandano avanti indietro”), vale a dire Domenico il biondino. A questi componenti della famiglia AQUINO vanno aggiunti i fratelli COLUCCIO, quelli dell’Hotel Kennedy. E proprio a proposito di “Domenico il Biondino”, MAZZAFERRO aggiunge che sarebbe l’elemento utilizzato per i collegamenti con Rosarno, soprattutto dopo l’arresto di Rocco, e precisamente con i PISANO, cuigli AQUINO “forniscono grossi quantitativi di droga”. Altre località rifornite di droga dagli AQUINO sarebbero inoltre – secondo MAZZAFERRO – Soverato e Crotone e tra i più stretti collaboratori del gruppo vi sarebbe SCALI Pasquale, anch’egli utilizzato come corriere. La parte più cospicua delle forniture era pur sempre quella effettuata verso i PISANO, e precisamente verso “Turi” PISANO. Chiariva ancora il MAZZAFERRO che gli AQUINO (che insieme agli URSINO-MACRI’ erano quelli che in quel momento “hanno la droga ad alto livello”) non avevano bisogno di trasferire a Gioiosa, nel proprio territorio, tutta la droga acquistata, preferendo anzi “parcheggiarla a Catanzaro, Crotone, Bari, ovunque”, trasferendola poi presso di loro man mano che serve. Riferiva ancora MAZZAFERRO di aver saputo che circa tre mesi prima (e dunque nell’estate del 1992) era arrivato agli AQUINO un carico di 100 kg. di droga “e l’avevano tutto giù”, la maggior parte della quale era stata poi ceduta a Turi PISANO…omissis…”.
3 – In tali settori, infatti, le attività investigative dell’ultimo decennio avevano rilevato la costituzione di “cartelli” di cosche per la gestione, attraverso imprese di riferimento, di importanti opere infrastrutturali ricadenti nel territorio di più sodalizi, nonché per l’organizzazione di ingenti quantitativi di cocaina dal sudamerica, attraverso i contatti di “brokers” calabresi con le organizzazioni produttrici.
4 – Nella zona di Zurigo, nonché nelle città di Singen, Francoforte ed altre località tedesche.
5 – Consistenti in un albergo, un bar e 2 imprese attive nel settore edile.
GRATTERI: GIUSEPPE AQUINO E’ BRACCIO ARMATO COSCA
“Giuseppe Aquino può essere considerato il ‘braccio armato’ dell’omonima cosca mafiosa di Marina di Gioiosa Ionica”. E’ quanto ha detto il Procuratore aggiunto della Dda di Reggio Calabria, Nicola Gratteri, che ha coordinato le indagini dei carabinieri del Ros e del comando provinciale di Reggio Calabria che ieri hanno arrestato il latitante Giuseppe Aquino. “L’arresto di Aquino – ha aggiunto – è da ascrivere interamente al pressante controllo del territorio da parte dei carabinieri del comando provinciale, del Ros, dei ‘Cacciatori’ e dello speciale nucleo di stanza a Locri”. Giuseppe Aquino, detto ‘u pacciu’, è stato condannato in primo grado a 3 anni e quattro mesi di reclusione nell’ambito dell’operazione ‘Crimine’, l’inchiesta che ha svelato gli assetti della ‘Ndrangheta nel reggino ed a Milano. Aquino, che era latitante dal 2010, e’ stato rintracciato in un bunker sotterraneo ricavato nell’abitazione della madre a Marina di Gioiosa Jonica. “Un luogo evidentemente ritenuto sicuro – ha proseguito Gratteri – da dove poteva proseguire la sua attività di coordinatore delle attività illecite del suo clan (gestione di alberghi, imprese edili e servizi pubblici), decapitato dopo la cattura del fratello Rocco. E’ stata un’indagine classica fatta di pedinamenti e di monitoraggi ambientali e telefoniche, fino a che è stato valutato il momento opportuno per sorprenderlo dentro il nascondiglio. Gli Aquino sono tra i promotori, con i Coluccio, dei traffici internazionali di stupefacenti, di cocaina, tramite broker internazionali che agiscono, con grande disponibilità di denaro, per loro conto in Centro e Sud America. Grazie a quegli enormi introiti il gruppo Aquino ha scalato non solo le gerarchie della ndrangheta calabrese, ma è divenuto il centro di un sistema attorno a cui ruota una miriade di imprese ‘pulite’ nei più disparati settori dell’economia”.
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