A Oppido Mamertina (né altrove) “Non si può morire per strada” per un’ambulanza che non c’è! La morte di Gianni Vaccari, un brav'uomo conosciuto da tutti, colpito da un infarto, la corsa verso l'Ospedale di Polistena e la tragica fine. L'indignazione e il grido di aiuto del "Comitato 19 febbraio"
Di GiLar
Alla fine quel che resta è solamente dolore, indignazione e soprattutto arresa, sentimenti che non vorremmo mai provare ma che purtroppo puntualmente si ripresentano ad ogni tragedia quando vengono a mancare vite umane.
Ad Oppido Mamertina, città in cui in questi giorni si sta protestando per la salvaguardia dell’Ospedale accade una notte che un brav’uomo, conosciuto e stimato da tutti, di appena 59 anni viene colpito da forti dolori al petto, il presagio di un infarto, l’ambulanza non c’è, “Non può essere una fatalità che, in caso di emergenza, l’ambulanza di stanza a Oppido non sia quasi mai presente e pertanto bisogna solo prendere atto che: a prescindere che si chiami postazione di 118 o Pet, non può essere, e di fatto non lo è, sufficiente a salvare vite umane”, scrivono sulla pagina social quelli del “Comitato 19 febbraio” a difesa dell’Ospedale o quantomeno l’istituzione di un Pronto Soccorso in quel centro aspromontano della Piana, distante dall’Ospedale di Polistena oltre 23 km, ma con delle strade che farebbero raggiungere il nosocomio, se tutto va bene, con circa 40 minuti di macchina.
Ma quella notte per il povero Gianni Vaccari è stata fatale, si è sentito male, il fratello lo carica in macchina e lo porta all’Ospedale, inutile chiamare l’ambulanza che chissà quando sarebbe arrivata visto che a Oppido non c’è un’ambulanza disponibile (sic!). Gianni, l’amico di tutti, l’autista per la casa per malati di Aids della frazione Castellace, muore! Muore perché c’è carenza di servizi sanitari ed a nulla servono le parole di conforto, i selfie di circostanza, gli slogan per una Calabria migliore che sta diventando stantia e stucchevole in quanto carente di risposte adeguate e degne di un paese civile.
Il comitato “19 febbraio”, scrive nella sua pagina social delle parole che non solo fanno accapponare la pelle per l’intensità del loro significato, ma per l’indignazione che trasmettono, quando si inizia con queste frasi siamo inermi, restiamo silenziosi e inermi, “In un piccolo paesino ci sono eventi che la comunità vive in rispettoso silenzio, ma il silenzio spesso alimenta le responsabilità rendendoci complici di chi delega a terzi la risoluzione dei problemi che riguardano la collettività”. Immensa poesia nel dolore degli eventi.
E rivolgendosi al povero Gianni, “era un cittadino del sud che, rispetto ad un cittadino del nord, ha una speranza di vita media di 10 anni inferiore a causa della scarsa assistenza sanitaria”. E ancora, “Nessuno potrebbe essere in grado di dirci se qualora ci fosse stato un pronto soccorso il nostro concittadino si sarebbe salvato, ma tutti noi possiamo e dobbiamo dire che qualora ci fosse stato un pronto soccorso G. avrebbe ricevuto l’adeguata assistenza sanitaria, ovvero il minimo in una società che si definisce civile”. Appunto, “civile”, una parola spesso usata (e abusata) a volte per spiegare il nulla, l’effimero, l’apparenza etimologica di tanti perché senza risposta. “Non si può morire per strada”, continua il comitato.
No, non si può morire per strada!